Quello che la Destra ha inscenato a Cernobbio è soltanto un gioco delle parti, come avviene tra il “poliziotto buono” ed il “poliziotto cattivo”, nel quale i giornalisti de “La Repubblica” sono puntualmente ed ingenuamente cascati.
Quello che la Destra ha inscenato a Cernobbio è soltanto un gioco delle parti, come avviene tra il “poliziotto buono” ed il “poliziotto cattivo”, nel quale i giornalisti de “La Repubblica” sono puntualmente ed ingenuamente cascati.
Il grande Von Karajan diceva che bisogna pagare bene gli orchestrali se si vuole che suonino bene.
Gli emolumenti elargiti in via Cristoforo Colombo si sono ridotti, e con essi la professionalità degli stipendiati.
Mentre Salvini esibisce il suo atteggiamento filorusso, la Meloni rassicura – parlando dell’appoggio all’Ucraina – chi si illude che l’Italia rimanga in Occidente.
Anche sull’economia si ripete lo stesso copione: la pescivendola che si erge ad alfiere della finanza pubblica, negando agli industriali anche la piccola boccata di ossigeno che potrebbe venire da uno scostamento di bilancio, mentre il “Capitano” viceversa lo esige, interpretando la parte del demagogo, che non si cura di fare dei debiti pur di accontentare i propri elettori.
Sembra sfuggire, davanti a questa suddivisione delle parti in commedia, il denominatore comune tra i due personaggi, e cioè l’orientamento di fondo del prossimo Governo.
Nel Donbass, non appena le piogge dell’autunno, che da quelle parti è ben più precoce rispetto all’Italia, trasformeranno la steppa in un immenso acquitrino di fango, consistente ed appiccicoso come la colla del falegname, si determinerà un cessate il fuoco di fatto: i Russi terranno i territori occupati, e gli Ucraini manterranno il controllo di quanto sono riusciti a difendere.
Con la fine di fatto delle ostilità, il problema delle sanzioni perderà l’importanza e la drammaticità che gli viene attribuita nel dibattito elettorale, ma rimarrà quello – ben più grave – della collocazione internazionale dell’Italia, mantenuto in vita – ed anzi aggravato – dall’intenzione di Putin di produrre una catastrofe sociale nell’Occidente.
Su questo tema non ci sono - tra i Leghisti ed i “Fratelli d’Italia” - differenze sostanziali.
Marc Lazar, un altro intellettuale israelita francese accomunato dalla stessa sensibilità con Bernard Henry Lévy, scrive proprio su “La Repubblica” che tra la Meloni e Macron , tra Parigi e Roma, si apre un dissidio di fondo, che il noto commentatore transalpino individua nella differenza tra l’euro scetticismo dell’una e l’europeismo dell’altro; in realtà, però, il contrasto risulta ancora più profondo, essendo determinato da due culture politiche contrapposte, quella “terzomondista” ed autoritaria dell’aspirante Presidente del Consiglio e quella occidentale e liberaldemocratica del Presidente.
Il quale – come abbiamo già ricordato – si accinge a visitare ancora una volta il Papa prima che per arrivare in Vaticano occorra passare per una Italia ridotta a “democratura”.
Ancora una volta, si constata quanto l’azione ecumenica della Santa Sede abbia bisogno di svolgersi nell’ambito – anche territoriale - di una Italia democratica.
Nei Consigli Europei si finisce sempre per trovare qualche forma di compromesso, e la Meloni è pronta a transigere – pur di apparire affidabile in Occidente – su tutte le questioni che non siano di principio.
Non, però, sulla sua concezione nazionalista, centralista e per l’appunto autoritaria dell’Italia.
Sul nostro confine del Nord – Ovest, non avremo le esibizioni di odio antifrancese che caratterizzarono la breve stagione di Salvini: non verrà riesumata la politica dei “cannoni a Ventimiglia”, ma le conseguenze dei nuovi indirizzi di Roma si faranno sentire sulla collaborazione tra i due lati della frontiera.
Salvo che insorga contro tale indirizzo un forte movimento autonomista: il che dipende da quanto i Liguri ed i Piemontesi saranno disposti ad impegnarsi, e da quanto i Nizzardi vorranno fare per aiutarli.
Per quanto riguarda il governo dell’economia, il problema non è costituito dalla piccola mancia che Salvini è disposto a concedere agli imprenditori in difficoltà, ma dalla concezione della libertà di intrapresa, sulla cui limitazione i due dirigenti della Destra convergono senza apprezzabili differenze tra l’uno e l’altra.
Chi ha portato la loro linea alla Assemblea degli Industriali della nostra Provincia – pur essendo di estrazione leghista – ha espresso la loro posizione comune.
La libertà di impresa non verrà apertamente revocata, ma d’ora in poi si tratterà di una libertà “ottriata”, come si dice nel linguaggio giuridico, cioè concessa dal Potere Esecutivo: non, cioè concordata con le cosiddette “parti sociali” nei suoi termini e nella sua estensione, e neanche stabilita dal Potere Legislativo.
E’ proprio su questo punto che si supera – più facilmente ancora che nelle questioni attinenti ai diritti personali e civili – la linea divisoria tra la democrazia liberale e l’autoritarismo.
“La Repubblica” – per non parlare degli “imprenditori” riuniti a pranzo a Cernobbio – plaude alla Meloni e depreca Salvini perché l’una è disposta a riconoscere dei margini più ampi rispetto all’altro.
Il problema non è però quanto il Governo concede, ma la sua subordinazione alla Costituzione ed alle altre leggi.
Su questo, la Destra non è disposta a dare nessuna garanzia.

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Mario Castellano  08/9/2022
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