Quando muore un eroe, la gente si guarda intorno cercandone un altro, ma non lo trova.
Quando muore un eroe, la gente si guarda intorno cercandone un altro, ma non lo trova.
Ecco dunque nascere il mito, che sorge precisamente in quanto gli eroi sono uomini irripetibili, uomini senza uguali.
Un eroe può essere infatti imitato, può costituire un riferimento, un esempio, ma sappiamo che non ve ne potrà essere un altro.
Anche gli eroi sportivi – come i vecchi soldati - non muoiono: essi scompaiono nella nebbia,
si dileguano in una dimensione fantastica, fatta di leggende che non hanno riscontro nel mondo reale.
Infinite volte, conversando con Duilio Durante, abbiamo rievocato la nascita del suo mito, della sua leggenda.
In una Italia ancora ferita, che si riprendeva dai disastri della guerra, un ragazzo proveniente dalla provincia era arrivato a Genova per intraprendere la strada difficile del pugilato.
Che cosa avvenne quella sera, nella vecchia palestra di corso Europa?
Forse non lo saprà mai nessuno, ma è proprio così che nasce il mito, nei luoghi e nei tempi dove la realtà si perde nella fantasia.
Durante abbatté veramente, novello Davide, il Golia tunisino Ben Kaddah, oppure perse ingloriosamente per squalifica?
Una cosa é certa: da quella volta, il nostro eroe abbandonò il pugilato.
Forse affinché la sua gloria rimanesse incontaminata, oppure perché la vergogna non poteva essere cancellata.
Durante smise comunque di combattere.
In realtà, però, continuò a farlo, affrontando una vita difficile con il coraggio proprio di chi nutre delle convinzioni profonde.
San Paolo, in una delle Epistole, prende il pugile come termine di comparazione.
Lo fa per significare che non vi può essere fede senza combattimento, perché il mondo la nega, ed il credente la difende.
Durante, pur senza essere praticante, era uomo di convinzioni profonde, uomo di fede.
Fede, in primo luogo, nello sport.
Quello sport che nella nostra Città, come dovunque, alimenta lo spirito civico, incarna la tradizione, perpetua la identità collettiva.
Durante sentiva la responsabilità derivante dal rappresentare tutti questi valori, e ciò gli diede la forza necessaria per affrontare le difficoltà della vita.
Una vita fatta anche, purtroppo, di incomprensione.
Non mancò tuttavia mai, per fortuna più nostra che sua, chi continuò a vedere in lui un eroe.
Un eroe sportivo, certamente, ma soprattutto un eroe civile.
Lo sport imperiese ha dato molto per costituire e cementare la nostra comunità, e non merita certamente di essere rappresentato nelle Istituzioni secondo i criteri corrotti e nepotistici della successione dinastica.
Durante avrebbe meritato di essere un dirigente, ma dirigere non era la sua vocazione.
La sua vocazione consisteva piuttosto nel dare un esempio.
Ed il suo esempio fu così limpido ed indiscusso da innalzare la figura di Duilio al di sopra delle dispute di parte: malgrado egli fosse uomo di parte, come il suo amico Benvenuti.
Né Benvenuti, né Durante vollero tuttavia mettere al servizio della loro parte la gloria sportiva.
Questo lascito, secondo loro, apparteneva a tutti.
Oggi lo raccogliamo con gratitudine, chiedendo scusa alla memoria di Duilio se durante la sua vita non lo abbiamo apprezzato abbastanza.
Non lo abbiamo apprezzato abbastanza noi, come cittadini, non lo ha apprezzato abbastanza la Città, che egli aveva onorato senza esserne onorato, non lo ha apprezzato soprattutto il Comitato Olimpico, preferendogli chi non era mai stato un vero campione, ma pretendeva di sostituire la gloria ed il sudore con una tessera di partito.
Ora Durante si trova nel suo Olimpo, popolato di eroi, e guarda alle nostre miserie con quella superiorità che solo i grandi sanno concepire.