Pier Paolo Pasolini, il quale - pur essendo uomo di ampia e profonda cultura - preferiva ricorrere alla sensibilità ed alla intuizione...
Pier Paolo Pasolini, il quale - pur essendo uomo di ampia e profonda cultura - preferiva ricorrere alla sensibilità ed alla intuizione proprie die grandi artisti per decifrare la realtà, aveva visto giusto nel futuro del nostro Paese.
Altri, molto meglio di noi, hanno commentato la sua opera.
Ai fini del nostro discorso, estrapoliamo due tra le sue osservazioni.
Una riguardava la perdita della cultura popolare, che costituisce la essenza della identità di un popolo.
Per quanto si possa perpetuare la cultura ufficiale e accademica, è precisamente dalla cultura popolare che dipende la sopravvivenza della identità collettiva.
Da quando essa è divenuta il fattore decisivo della contesa politica, ci siamo resi conto di come la perdita denunziata da Pasolini ci abbia resi disarmati e impotenti.
Da questa perdita deriva infatti - ben più che dalle vicende economiche e dalla crisi delle ideologie - il logoramento del tessuto sociale, il venir meno di tutte le forme di solidarietà.
Una altra grande intuizione di Pasolini riguardava gli atteggiamenti della borghesia italiana.
Che non ci si può limitare a definire egoistici.
La autoreferenzialità di questo ceto andava infatti ben oltre la preservazione dei suoi privilegi.
Quando il grande regista e letterato friulano si schierava dalla parte dei poliziotti - che a Valle Giulia vennero picchiati dagli studenti più ancora di quanto li avessero picchiati - egli si rendeva conto di un fatto che tutta la cosiddetta Sinistra preferiva ignorare e sussumere: se pur lo aveva percepito.
Era già venuta meno completamente la capacità di capire il popolo, di relazionarsi con gli altri ceti sociali, ma soprattutto con chi era depositario di una cultura ritenuta ingiustamente subalterna.
Dato che la borghesia sedicente progressista aveva già assunto la leadership della Sinistra, ne derivava che questa parte politica non sarebbe mai stata egemone.
Se Pasolini fosse ancora vivo, avrebbe almeno la soddisfazione tardiva di constatare quanto avesse visto giusto.
Si ha un bel dire che la Meloni è fascista: il che – oltretutto – costituisce una semplificazione fuorviante della realtà.
Se comunque questa Signora sta realizzando un disegno autoritario, la Sinistra evita di domandarsi perché costei abbia conquistato la egemonia.
Eppure, il motivo risulta semplice ed evidente: per quanto sia nefasto il modo in cui ella impiega il proprio consenso, lo ha comunque ottenuto perché non ha perso il contatto col popolo.
O almeno con la sua maggioranza.
In questi giorni, chi ancora legge La Repubblica può rendersi conto di quale fine hanno fatto gli studenti che Pasolini criticava dopo la cosiddetta Battaglia di Valle Giulia.
O almeno quelli che, grazie alle raccomandazioni, sono entrati alla RAI.
Gli altri – salvo poche eccezioni – sono divenuti dei finti liberi professionisti, cui oggi vengono meno gli incarichi da parte dello Stato e degli altri Enti Pubblici.
Poi ci sono quelli che bivaccano in via Cristoforo Colombo, i quali hanno finalmente trovato qualcosa di cui scrivere.
Vale a dire la persecuzione subita dai loro amici e colleghi di viale Mazzini.
La svolta di Destra che avrebbe trasformato tale enorme stipendificio in una caserma (La Repubblica dixit) riguarda le liti coi Direttori di Rete ed i Capi Servizio in merito alla opportunità di pubblicare le note di costume riguardanti il sessismo della Destra.
Che indubbiamente esiste, ma a ben vedere riguarda anche i rampolli delle altre parti politiche.
Il copione della vicenda in cui è coinvolto il figlio di La Russa riproduce pedissequamente la perversione sessuale dimostrata da quello di Grillo.
La serata in discoteca culmina nella assunzione – volontaria o indotta – di alcol e droga.
Segue la nottata in casa dello amico occasionale, nel corso della quale non occorre lo stupro per ottenere die rapporti sessuali senza consenso.
Il violentatore non merita attenuanti, né siamo tra quanti affermano che le donne sono sempre colpevoli per i loro rapporti indesiderati.
Ci sia però permesso di ricordare il proverbio che dice: Dimmi con chi vai e ti dirò chi sei.
Ora apprendiamo che la battaglia sulla libertà di informazione verte su simili vicende.
Fa male naturalmente chi – per compiacere quanti lo hanno sistemato – censura questo tipo di notizie.
Formuliamo tuttavia una domanda: Se la Destra non fosse sessista, il pericolo per la democrazia risulterebbe forse minore?
No, esso risulterebbe peggiore, data la impossibilità di mettere in cattiva luce i gerarchi per lo squallore della loro vita privata.
Il compito di una informazione libera e critica non consiste nella investigazione di questa materia.
Esso riguarda piuttosto la analisi dei meccanismi mediante i quali si instaura un regime autoritario.
Se i nostri giornalisti vogliono ispirarsi ad un esempio di professionalità, leggano quanto scrive – con la tenacia e la meticolosità proprie di chi è abituato a combattere le dittature – la loro collega Anna Zafesova su La Stampa di Torino circa i metodi usati da Putin.
Vi troveranno la indagine sociologica, la conoscenza della storia del suo Paese, ma soprattutto la descrizione di come si cambiano le regole del gioco, cioè di come si distrugge lo Stato di Diritto.
Questo, però, avviene anche in Italia.
Seguendo due strade, cui abbiamo dedicato la nostra modesta analisi.
Che non richiede nessun mezzo economico particolare, ma soltanto un minimo di cultura giuridica.
La Meloni procede lungo due direttrici.
Una consiste nella abolizione dei reati cosiddetti amministrativi, che rende il Potere Esecutivo legibus solutus.
Una altra via è la distruzione delle Autonomie Locali, cioè della vecchia Italia dei campanili e degli Arenghi.
Cioè, die luoghi - anche fisici – dove si è operato prima per uscire dalla dittatura, e poi per tentare di costruire la democrazia.
Descrivere pazientemente come alle Regioni sia stata tolta la competenza in materia sanitaria; come si sia introdotta una nuova Fonte del Diritto – i famigerati Decreti del Presidente del Consiglio - sottratti completamente ad ogni valutazione da parte del Parlamento; come la nomina dei Commissari – ora ne abbiamo addirittura uno addetto ad una emergenza futura ed eventuale, cioè la siccità – tolga alle Regioni altri poteri; tutto questo significa fare del giornalismo di approfondimento, e non del facile scandalismo.
Tra questi due modi di concepire la professione corre la stessa differenza che esiste tra il Financial Times, autorevole in tutto il mondo, ed i tabloid che descrivono le corna nella Famiglia Reale britannica.
Che cosa difendono dunque i giornalisti della RAI?
Non la professionalità, né la libertà, quanto piuttosto la piscina.
Alla quale, se fossero degli autentici fautori della democrazia, avrebbero già rinunziato per venire ad aiutare noi, che ci dedichiamo ogni giorno a denunziare quanto avviene nella Italia profonda, nel Paese reale.
Compreso il disagio sociale.
I giornalisti della vecchia Unità erano anche essi die bons vivants, ma almeno scrivevano degli scioperi e dei disoccupati.
Il Partito li mandava a coprire questi fatti.
Ora i dirigenti del Nazareno sono in altre faccende affaccendati.
La Schlein che si preoccupa solo del colore die suoi vestiti è ancora più distaccata dal popolo che la Meloni
I rampolli del cosiddetto Generone romano collocati alla RAI pretendono che la gente li difenda.
Dopo che di questa gente non si sono mai interessati.
Aveva ragione Pasolini quando prevedeva che fine avrebbero fatto.

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Mario Castellano  16/7/2023
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