I resoconti dedicati alle Ghiurnate di Corte permettono di fare il punto tanto sul dibattito...
I resoconti dedicati alle Ghiurnate di Corte permettono di fare il punto tanto sul dibattito tra gli indipendentisti corsi quanto sulla discussione che si svolge tra costoro ed i movimenti dediti alla stessa causa in Europa Occidentale e nel mondo.
Negli altri Continenti, essi agiscono contro le ultime sopravvivenze del Colonialismo, ed il rilievo dato loro in Corsica è dovuto essenzialmente al fatto di avere lo stesso nemico, cioè lo Stato francese.
Vorremmo sottolineare piuttosto, restringendo il discorso alla Europa Occidentale, tre aspetti del dibattito, cui ha partecipato soltanto Corsica Libera, espressione politica di una delle due tendenze in cui si sono divisi i nazionalisti isolani, cioè la più radicale.
La contrapposizione in atto con i moderati avrebbe peraltro reso impossibile agli anfitrioni del convegno esprimersi con una sola voce.
Corsica Libera – citiamo testualmente il resoconto del dibattito – chiama ad un nuovo ciclo di mobilitazioni, ma questo raggruppamento – munito di una forte rappresentanza elettorale, il che esclude trattarsi di un atteggiamento velleitario – non precisa esplicitamente quale espressione esso intende dare a questa mobilitazione.
Noi – esso afferma – lanciamo solennemente la chiamata.
La forma rimane da definire.
Tanto riserbo potrebbe sottintendere la intenzione di passare a forme di lotta illegali.
Nel Paese Basco si sta profilando la stessa tendenza, nel caso malaugurato che dalla attuale crisi di Governo in Spagna si dovesse uscire con un Esecutivo influenzato dalla estrema Destra.
Prendiamo atto di queste possibili scelte, su cui – non essendo corsi, né baschi - ci asteniamo dallo esprimere una valutazione.
Notiamo soltanto come esse causerebbero una nuova rottura tra i nazionalisti di entrambi i Paesi, ma anche con tutto coloro che, data la loro situazione, non potrebbero comunque uscire dallo ambito della azione legalitaria.
La rottura con i nazionalisti moderati si è consumata in Corsica sui contenuti dei negoziati in corso con le Autorità di Parigi.
I Radicali constatano che un obiettivo di queste trattative è la citazione della Corsica nella Costituzione francese, ma il Governo transalpino è disposto soltanto a riconoscere il diritto di questa Regione alla autonomia: non già, invece, a prendere atto della esistenza del popolo corso quale soggetto distinto, sia pure convivente nello stesso Stato.
Il che sarebbe comunque molto meno del riconoscimento del suo diritto alla Autodeterminazione.
Ricordiamo, a questo riguardo, quanto era avvenuto in Spagna al termine del procedimento che aveva portato alla entrata in vigore del nuovo Statuto della Generalità della Catalogna.
Il Tribunale Costituzionale non cassò nessuna delle norme che prevedevano il trasferimento a Barcellona di nuove competenze legislative ed amministrative, ma eliminò tutte le affermazioni programmatiche concernenti precisamente il diritto alla Autodeterminazione.
Impedendo così un eventuale – benché improbabile - accordo tra lo Stato Centrale e la Regione in merito ad un processo concordato che portasse a tale risultato.
È curioso notare come simili affermazioni – riguardanti tanto la identità del Popolo ligure quanto la sua aspirazione alla Indipendenza, fondata sul richiamo al precedente storico della Repubblica di Genova - si trovino invece iscritte nel nostro Statuto.
Che fu approvato dal Consiglio Regionale nel 1970, e quindi entrò in vigore per effetto di una Legge Ordinaria emanata dai due rami del Parlamento italiano.
Se si eccettua il caso della Scozia – di cui Londra avrebbe accettato la secessione se tale fosse stato il risultato del referendum – gli Stati nazionali europei tollerano le affermazioni di principio laddove non hanno possibilità di realizzarsi in concreto, mentre le osteggiano quando sono sostenute da un movimento popolare abbastanza ampio e radicato da renderne possibile il compimento.
È ormai il militantismo di piazza – conclude il commentatore - che sembra essere la priorità di Corsica Libera.
Questa è la conseguenza logica della constatazione dei limiti – citiamo di nuovo testualmente – della autonomia, cui si contrappongono le opportunità della piena sovranità.
Noi siamo del parere – maturato in base alle diverse esperienze storiche - che i limiti della autonomia possono essere di due tipi.
Uno è quello proprio delle autonomie apparenti, come nei casi della Unione Sovietica e della Jugoslavia in passato, del Tibet e del Xinxiang nella Cina di oggi.
Il carattere ideologico dello Stato porta con sé inevitabilmente il centralismo, che a sua volta priva di ogni contenuto effettivo le autonomie eventualmente riconosciute in linea di principio.
Del tutto diverso è il caso delle democrazie rappresentative.
Le quali tendono viceversa per loro natura al decentramento, che a sua volta presenta quanto meno un vantaggio in quanto permette la piena e libera espressione delle diverse identità che convivono in uno Stato, anche se esclude la possibilità di una secessione.
La impostazione terzomondista ed antimperialista – nel senso che aveva assunto questo termine nei decenni passati – ha probabilmente escluso da Corte la presenza dei Tibetani e degli Uiguri.
I quali, per il fatto di potersi esprimere solo allo estero nella loro lingua, avrebbero implicitamente affermato questa differenza.
Su cui fa comunque premio la comune rivendicazione della Autodeterminazione, che a sua volta può comunque realizzarsi con un atto rivoluzionario.
La distinzione riguarda tuttavia la situazione precedente tale momento, ed anche quella successiva.
Per quanto attiene al prius, altra cosa è la possibilità di esprimere la propria identità, ed altra cosa è il suo pratico divieto.
Per quanto invece riguarda il posterius, altra cosa è arrivare alla Indipendenza con una Amministrazione Pubblica funzionante ed esperta, radicata nella realtà di un Paese, altra cosa è pervenire a questo esito compiendo un salto nel buio.
Necessario, certo, ma traumatico: si pensi a quanto avvenne nei Paesi della Africa Nera.
Ci sono poi le realtà come la nostra.
Noi siamo ancora nella fase della attività metapolitica, finalizzata a rendere cosciente il popolo della sua identità, e dei diritti che ne conseguono.
Se fosse scritto domani sui giornali che in Corsica e nel Paese Basco si è ricominciato a sparare, subiremmo una demonizzazione che ci respingerebbe molto allo indietro.
Lucio Caracciolo, su Il Secolo XIX dello Otto Agosto, afferma che forse gli Stati Uniti vogliono balcanizzare la Cina, e la Cina vuole fare lo stesso con loro.
Questo avvenne con gli Imperi europei nel 1918.
Ci volle però una Guerra Mondiale, e noi speriamo di evitare la Terza.
Cari amici corsi, la vostra e la nostra meta si possono anche raggiungere attraverso il pieno sviluppo della unità democratica della nostra Europa.
Noi ci impegniamo a costruirla insieme, ma proprio per questo non siamo di accordo con le fughe in avanti.
Se Dio vorrà, ne parleremo tutti insieme il prossimo anno.
Arrivederci a Corte!




Il più importante annunzio sortito dalla Ghiurnate di Corte riguarda il proposito – manifestato in termini insinuanti ma minacciosi dai dirigenti di Corsica Libera, i quali ormai si sono appropriati in esclusiva di questa manifestazione, di abbandonare i metodi politici e legalitari per ritornare ad un tipo di azione che si suppone violenta.
Ci auguriamo di avere malinteso tale dichiarazione di intenti, ma non è proprio del carattere nazionale dei Corsi il formulare minacce a vuoto.
Non sappiamo se la decisione adottata sia frutto di qualche coordinamento con i Baschi.
A proposito dei quali – o meglio, del loro settore radicale, che agisce mediante la ETA sul piano militare e attraverso Herri Batasuna in campo politico – riconfermiamo la nostra valutazione circa la probabilità di un ritorno alla prassi insurrezionale qualora dalla attuale crisi di Governo in Spagna dovesse uscire un Esecutivo di coalizione tra la estrema Destra di Abascal ed i Popolari.
Le trattative in corso tra la vecchia Maggioranza, composta da Socialisti e Comunisti, ed i nazionalisti catalani possono sortire un accordo, come anche fallire.
Pur escludendo dal negoziato un riconoscimento del diritto alla Autodeterminazione, la stessa attribuzione alla competenza della Generalità di nuove materie può esporre i Socialista alla accusa - da parte dei Popolari - di minacciare ed intaccare la sovranità dello Stato.
Risulta dunque anche possibile che dalla crisi si esca con un Governo di Destra, intenzionato a contrastare le Autonomie, ma tuttavia reso possibile dalla astensione di una parte della Sinistra.
Non manca, tra i Socialisti, chi propende per questa soluzione.
Nel qual caso i nazionalisti baschi radicali considererebbero seriamente una ripresa delle azioni violente.
Potremmo dunque addirittura ipotizzare – anche se si tratta di una nostra illazione – che i Baschi abbiano mandato i Corsi in avanscoperta.
Risulta comunque certo che i vari movimenti indipendentisti non si limitano a scambiare informazioni e valutazioni, ma tendono anche a coordinare le loro rispettive scelte strategiche.
Dopo il Sessantotto, quando si ricostituì la IRA irlandese, e sorsero la ETA basca ed il Fronte Nazionale della Corsica, tutti i movimenti sorti per effetto di quella svolta storica – tanto armati quanto legalitari - finirono prima o poi per estinguersi.
Salvo precisamente quelli che esprimevano una rivendicazione nazionale.
Questi soggetti commisero tuttavia tanti errori quanti i loro omologhi ispirati dalle ideologie.
La scia di sangue lasciata dagli Etarras e dai cosiddetti Soldati del Destino irlandesi allontanò molte simpatie dalla loro causa.
Per giunta, nel caso di Herri Batasuna, non è stato mai riveduta la fedeltà al Marxismo – Leninismo.
Per cui una Euzkadi indipendente guidata da questo Partito sarebbe – nella Europa Occidentale di oggi – una specie di fossile vivente.
Il sostegno popolare – per quanto minoritario – non è tuttavia mai venuto a mancare.
Malgrado anche i risultati che possono vantare i nazionalisti moderati: dagli Accordi del Venerdí Santo per la Irlanda del Nord al secondo Statuto di Autonomia della Catalogna fino a quello acquisito dalla Corsica.
La discussione tra moderati e radicali è però sterile, in quanto verte su dei postulati, proprio come avviene tra i credenti e gli atei.
Se i moderati vantano dei risultati indiscutibili, i loro oppositori hanno buon gioco nello affermare che la autonomia può certamente evolvere ed ampliarsi, ma porta con sé una sorta di eredità genetica diversa dalla Indipendenza: che verosimilmente costituirà dunque in ogni caso il risultato – in un futuro imprevedibile – di un atto rivoluzionario.
Il prevalere degli uni o degli altri non dipende dunque da una valutazione razionale della situazione, bensì da una sorta di Zeit geist che determina i comportamenti in base alle emozioni collettive.
Viene in mente il vecchio aneddoto dello inglese che domanda allo irlandese che cosa sia la IRA, e si sente rispondere che si tratta di uno stato di animo.
Proprio come quello che determinò il Sessantotto.
Quel movimento sorse per effetto del volontarismo, che prescinde del tutto dal calcolo del rapporto di forze.
Anche se a volte finisce col modificarlo.
Generando, nel caso specifico, dei nuovi soggetti politici, sopravvissuti laddove esisteva un fondamento identitario.
Risultava dunque inevitabile che lo identitarismo producesse delle conseguenze anche sulla Europa Occidentale.
La coincidenza cronologica tra Lisbona e Corte è stata indubbiamente casuale, ma non lo è altrettanto quella per così dire ontologica tra la riscoperta della identità etnica ed il risorgere della identità religiosa.
In ambedue i casi, provocando inevitabilmente una radicalizzazione.
Come precisamente avvenne già nel Sessantotto, quando si credeva che la Indipendenza fosse a portata di mano, ma si nutriva uguale fiducia nella possibilità di fare della Religione uno strumento rivoluzionario.
Che cosa è cambiato, rispetto ad allora?
Il principio di Autodeterminazione ha continuato ad affermarsi, ed il fatto che lo si riconosca per la Ucraina – fino al punto di provocare un intervento militare, sia pure indiretto – pone inevitabilmente la domanda: Perché non per altri Paesi?
La Chiesa è percorsa a sua volta da fermenti rivoluzionari, non più rivolti – come un tempo – contro il Papa, bensì provocati proprio da lui.
Rimane il problema del rapporto di forze, che non si risolve certamente cercando le scorciatoie consistenti in appoggi esteri equivoci ed inquinanti: a Corte, abbiamo certamente constatato una propensione del movimento indipendentista verso il Sud del mondo, ma non abbiamo scorto sintomi di strumentalizzazione.
Che ci fu invece dopo il Sessantotto, ma solo quando il movimento di massa originario si era isterilito nel settarismo.
Questo rischio non esiste più, in quanto oggi ci si muove nel nome della Nazione, oppure nel nome della Fede, e non già essendo motivati dalle ideologie.
I mesi che mancano alla fine del 2023, con il sopraggiungere dello Autunno, daranno la misura della ampiezza e del radicamento dei movimenti che cominciano ad annunziarsi.

Send Comments mail@yourwebsite.com Saturday, April 25, 2020

Mario Castellano  11/8/2023
Copyright ilblogdimario.com
All Rights Reserved