Perfino le “pulizie etniche” possono essere di prima o di seconda categoria.
Passi per quanto venne perpetrato ai danni degli Italiani dell’Istria e della Dalmazia, che ci riguardava direttamente, ma anche alle persecuzioni consumate nella ex Jugoslavia si prestò a suo tempo una attenzione ben maggiore rispetto a quella dimostrata oggi per i malcapitati armeni del Nagorno – Karabak.
I quali per fortuna non vengono sterminati, ma per evitare tale esito tragico possono soltanto fuggire - con le poche, povere cose che in questi casi si è autorizzati a portar via – verso la Madrepatria.
Ci capitò una volta di raccogliere la testimonianza di una Signora residente a Nizza, già appartenente alla Comunità Israelitica dell’Algeria: al momento dell’Indipendenza, suo padre venne ucciso, ed il resto della famiglia dovette decidere che cosa salvare.
Non fu scelto un bene personale, ma i Rotoli della Legge custoditi nel Tempio, che ora si trovano in una Sinagoga di Tolosa.
Se la Francia fu in grado di dare ai profughi una accoglienza dignitosa, gli Armeni fuggono oggi verso un paese piccolo e povero, che tuttavia fa fronte orgogliosamente al proprio dovere di ospitalità.
Gli Armeni diasporici, che condividono con gli Israeliti la capacità di mantenere la propria identità nei luoghi di esilio anche al di là della prima generazione, si presteranno di certo ad aiutare i loro sventurati compatrioti.
L’Occidente si dimostra invece distratto, malgrado molti abbiano letto il famoso libro “I Quaranta Giorni del Mussa Dagh”, opera non eccelsa dal punto di vista estetico, ma che costituì a suo tempo un esempio di, da manuale di guerra propagandistica, o psicologica.
A questo genere letterario ci si è sempre dedicati ogni volta che si trattava di far conoscere la causa di un popolo perseguitato.
In Italia non mancano gli esempi: Giovanni Ruffini, nostro conterraneo di Taggia, scrisse durante l’esilio, condiviso a Londra con Giuseppe Mazzini, “Il Dottor Antonio”.
L’opera, redatta in inglese, fece conoscere in Gran Bretagna l’aspirazione degli Italiani all’Unità ed alla Indipendenza, ma promosse anche il turismo diretto verso la nostra Riviera.
Un tempo si potevano trovare dei sudditi di Sua Maestà Britannica che percorrevano come in pellegrinaggio la discesa della Madonna della Ruota, sulla via Aurelia, dove la giovane Lucy Davenne era rimasta vittima con la sua carrozza di un incidente stradale.
La narrazione mise anche in luce l’ospitalità della nostra gente, nonché il valore scientifico del personale medico italiano, e la stessa presenza in Liguria di un professionista siciliano anticipò la successiva immigrazione interna.
Il capolavoro insuperabile in questo genere venne però scritto da Silvio Pellico, mediocre autore di teatro ma eccellente panflettista: si disse a proposito de “Le Mie Prigioni” che questo libro aveva nuociuto all’Austria più di una guerra perduta.
L’abilità dell’Autore consiste nel fatto che non vi si trova un solo austriaco cattivo, nel qual caso sarebbe scattata inevitabilmente l’accusa di razzismo.
Il Pellico non combatteva invece i popoli, bensì i Governi.
Oggi neanche il ricordo degli eroi del Mussa Dagh induce a commuoversi per la triste sorte degli Armeni.
Eppure, a parte tutte le considerazioni di carattere umanitario, la situazione si presta per alcune considerazioni - di ordine tanto politico quanto giuridico - che possono riguardare tutti noi.
Sul piano politico, si rivela il pericolo costituito per le minoranze – siano esse etniche, linguistiche o religiose – dall’avvento dei regimi autoritari, comunque mascherati.
I cui Governi tendono inevitabilmente all’accentramento, a volte giustificato con la negazione della stessa esistenza di genti di diversa origine o di diversa fede nell’ambito dello Stato.
Le democrazie propendono invece sempre per il decentramento, come dimostra la differenza tra il Fascismo e la Repubblica.
La quale ha tenuto fede al principio costituzionale per cui essa “riconosce e promuove le autonomie locali”.
Che infatti si sono costantemente rafforzate dopo la Liberazione.
Oggi è in atto una preoccupante inversione di questa tendenza: se qualcuno ancora dubita della natura intrinsecamente autoritaria dell’attuale Governo, lo invitiamo a considerare il suo atteggiamento ostile nei confronti delle Regioni e dei Comuni.
Bonaccini ha certamente commesso degli errori, ma ciò non giustifica la sottrazione delle prerogative costituzionali perpetrata ai danni della Regione in seguito all’alluvione.
A suo tempo, però, tutti i cosiddetti ”Governatori” si lasciarono privare senza battere ciglio della competenza tanto legislativa quanto amministrativa in materia sanitaria, giustificata dal Governo di allora con l’epidemia.
Le Autorità dell’Azerbaigian hanno invitato gli Armeni a lasciarsi “integrare”: il che significa – al di fuori del ristretto ambito delle democrazie liberali dell’Occidente – accettare passivamente l’assimilazione forzata.
Una volta, un profugo istriano disse al Presidente Scalfaro: “Siamo fuggiti per rimanere italiani”.
Oggi gli Armeni fuggono a loro volta per salvare la propria identità, se non addirittura la vita.
Se il Governo di Vienna ha deciso di concedere la cittadinanza a tutti gli abitanti - non soltanto
di lingua tedesca – del Tirolo Meridionale e del Trentino, ciò significa che certe tendenze delle Autorità di Roma non gli sono sfuggite.
Infatti, la Lega evoca addirittura l’invasione nazista per fare propaganda antitedesca.
Dimenticando che a Berlino non sono al potere i nostalgici di Hitler, mentre a Roma comandano dei personaggi secondo i quali tutto quanto è venuto dopo Mussolini costituisce una degenerazione: intesa anche come abdicazione alla concezione nazionalistica propria del Fascismo.
Sul piano giuridico, si ripropone la contraddizione insanabile tra un Istituto del Diritto Internazionale, quale è il Principio di Autodeterminazione, e gli ordinamenti interni.
Questo conflitto si è determinato anche laddove il diritto alla secessione, proprio dei soggetti componenti una Federazione, veniva espressamente riconosciuto nella Costituzione: si veda il caso dell’Unione Sovietica.
Occorre ricordare inoltre come tale diritto sia comunque connaturato allo stesso assetto federale degli Stati: il potere di imperio attribuito a ciascun dei soggetti che li compongono è infatti tanto originale quanto quello proprio dell’Autorità centrale.
Il principio consacrato nella Carta delle Nazioni Unite vale però anche per gli Stati unitari: lo “status” giuridico di ogni territorio deve infatti conformarsi unicamente alla volontà – comunque venga espressa – dei suoi abitanti.
Quelli del Nagorno - Karabak hanno scelto per l’Indipendenza, che oggi viene però cancellata con la forza.
La Comunità Internazionale non interviene neanche sul piano politico, trincerandosi dietro al fatto che questo territorio è da essa considerato parte dell’Azerbaigian.
Applicando questo criterio, nessuna colonia appartenente agli Stati europei sarebbe mai divenuta indipendente.
Eppure, il Principio di Autodeterminazione era stato inserito nella Carta delle Nazioni Unite, e dunque nell’ordinamento internazionale, precisamente per favorire il processo di decolonizzazione.
L’unico mezzo per ottenere l’Indipendenza consiste nell’approfittare di un cambiamento nei rapporti di forza, oppure nel modificarlo mediante un conflitto.
Dove il rapporto di forze impedisce l’esercizio dell’Autodeterminazione, ben difficilmente si può contare su di un aiuto straniero.
Che si è verificato soltanto nel caso del Kuwait: sia in quanto si trattava di uno Stato riconosciuto dalla Comunità Internazionale, sia soprattutto perché esporta petrolio.
All’epoca dell’intervento occidentale, qualcuno si domandò se questo Paese sarebbe stato soccorso qualora avesse prodotto dei broccoli.
Il Nagorno - Karabak non ha neanche quelli.

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Mario Castellano  02/10/2023
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