Dopo il Concilio di Firenze, che sancì l’effimera conciliazione tra la Chiesa d’Oriente e la Chiesa di Occidente...
Dopo il Concilio di Firenze, che sancì l’effimera conciliazione tra la Chiesa d’Oriente e la Chiesa di Occidente, gli irriducibili monaci ortodossi di Bisanzio rinnegarono l’accordo, frutto della sapienza teologica e dell’abilità diplomatica del futuro Cardinale Bessarione, capo della delegazione inviata dal Patriarca di Costantinopoli.
Il quale ottenne la Porpora proprio perché rimase fedele a quanto pattuito sulla famosa clausola del “filioque”, ed aderì al Cattolicesimo.
La stessa scelta venne compiuta da centinaia di suoi accompagnatori, i quali rimasero in Italia a spese del Papa, sottraendosi tanto alle ire dei loro ex correligionari quanto all’imminente caduta della Città “Basilissa” nelle mani dei Turchi.
La scelta compiuta da Bessarione era stata dettata dalla vana speranza di ottenere una protezione da parte dell’Occidente: le Potenze cristiane avevano già deciso di abbandonare l’Impero d’Oriente al suo destino.
Questa storia si ripete a distanza di secoli per una infinità di soggetti etnici, politici e religiosi che a vario titolo si identificano con l’Occidente, e sono di conseguenza costretti a fuggire da tutte le aree poste al di fuori dei suoi sempre più ristretti confini.
Tutti costoro cercano rifugio sotto la protezione delle ex Potenze coloniali, ovvero – nel caso dei prelati e dei cattolici praticanti – della Santa Sede.
È di ieri una notizia proveniente dal nostro Paese di adozione: la Nunziatura Apostolica ha negoziato con Ortega il trasferimento a Roma di ben dieci preti, detenuti in quanto considerati oppositori del regime.
Questi Sacerdoti saranno ospitati a Roma in non meglio precisate “strutture della Santa Sede”, dove presumibilmente non rimarranno a lungo: data la crisi delle vocazioni, le diverse Diocesi se li contenderanno con lauti compensi.
La corsa verso Occidente – simile per dimensioni a quella immortalata dai film “western”, ma con la differenza che allora avveniva per conquistare, mentre ora ha luogo in quanto si viene conquistati – assume dimensioni sempre maggiori, man mano che si succedono le ritirate (niente affatto strategiche).
Zaki, dopo essersi laureato a Bologna senza sapere una parola di italiano (il figlio di Bossi si è addottorato a sua volta a Tirana senza sapere una parola di albanese, sostenendo per giunta gli esami a distanza), e dopo avere trascorso un periodo di detenzione nelle galere del Generale Sisi, da cui per fortuna è uscito vivo e in buona salute (almeno a giudicare dalla sua stazza), ha trovato impiego nei “talk shows”.
Si tratta di un lavoro più rilassante e meglio retribuito di quello del ricercatore, cui il soggetto pareva destinato presso la sua “Alma Mater”.
Molti anni or sono, un “talent scout” dell’Imperia asserì di avere scovato un campione brasiliano, disposto però a giocare in Quarta Serie: noi tifosi accorremmo al suo debutto, accorgendoci – ahimè – che costui non sapeva nemmeno se la palla fosse rotonda o quadrata.
L’imbroglione era però riuscito a farsi pagare la traversata dell’Atlantico.
Tutti gli sportivi afgani ed ucraini sono stati tesserati per Società occidentali: un “calciatore” inesperto in materia aeronautica perì essendosi aggrappato al carrello di un aeroplano in partenza da Kabul.
Il suo sacrificio propiziò però l’accoglienza di tutti i colleghi delle più svariate discipline.
“Sans vouloir nous flatter”, anche noi riuscimmo a far fuggire dal Paese di adozione buona parte del parentado.
Una nipote venne spacciata per funzionaria della Camera dei deputati in missione presso il Congresso degli Stati Uniti, dove riuscì dapprima ad entrare legalmente, e poi ad ottenere la “green card” in occasione della prima amnistia per i cosiddetti “illegali”.
A volte, le battaglie di retroguardia riescono a contenere l’avanzata dei nemici, come nel caso dell’Ucraina.
Da dove però sono scappate tutte le donne, insieme con tutti i bambini, nonché i renitenti alla leva.
Come avevamo previsto, il “Generale Inverno” propizierà una tregua di fatto, e Zelensky se la caverà con una cessione territoriale.
Né si comprende perché noi ci siamo rassegnati a perdere i territori dell’Istria e della Dalmazia popolati da italiani, mentre l’Ucraina vuole mantenere sotto la sua sovranità i russofoni dell’Est.
È chiaro che la violazione della sovranità di uno Stato non si può accettare.
Altra cosa è però il Diritto Internazionale, ed altra cosa sono le aspirazioni delle popolazioni: se i Tirolesi Meridionali potessero ricongiungersi con quelli Settentrionali, ne sarebbero ben contenti.
Lo dimostra il fatto che il nuovo capo dei separatisti si è fatto ritrarre indossando il costume tradizionale, come fanno gli Indiani d’America ostentando i loro ornamenti piumati.
Del tutto diverso è il caso di Israele.
I simpatizzanti nostrani di Hamas – compresi quelli accreditati presso la Sala Stampa del Vaticano – accettano supinamente le tesi di questo movimento terroristico, ma è la loro stessa formulazione a rendere doverosa ed inevitabile la solidarietà con gli Israeliti.
Diciamo Israeliti, e non Israeliani, per due motivi.
Il primo dei quali consiste nel fatto che risulta insostenibile l’esclusione degli Ebrei dal diritto all’autodeterminazione.
Ricordava un uomo di Sinistra come Napolitano come questa sia né più né meno che l’ennesima manifestazione dell’antisemitismo.
Incuranti di così autorevole ammonizione, i “Compagni” di Imperia si schierano però con Hamas: speriamo che Gaza non esporti selvaggina, altrimenti entreremmo in guerra contro Israele.
L’esistenza dello Stato di Israele risulta tanto più necessaria poiché in moltissime parti del mondo gli Ebrei diasporici sono stati vittime – o possono diventar lo – della cosiddetta “pulizia etnica”.
Per cui risulta indispensabile avere un luogo in cui essi possano vivere senza timore di venire uccisi, o assoggettata all’assimilazione forzata, o espulsi con la forza.
Se Israele venisse malauguratamente distrutto, il diritto all’autodeterminazione sarebbe comunque rimesso in discussione per tutti: tanto per coloro che lo hanno già esercitato quanto per chi si propone di esercitarlo nel futuro.
Quanto accaduto nel Nagorno Karabak risulta sinistramente illuminante: la vigenza di questo diritto dipende non tanto dalla protezione offerta dalla Comunità Internazionale, quanto dalla capacità di ciascuno di difenderlo con le proprie forze.
La Carta delle Nazioni Unite sancisce non a caso anche il diritto all’autodifesa di chi è aggredito: “Vim vi repellere licet”.
Una volta stabilito che Israele ha diritto all’esistenza, ed ha di conseguenza diritto all’autodifesa, non è lecito sindacare dall’esterno sui mezzi che le sue Autorità decidono di impiegare per esercitarlo.
Naturalmente, ogni Governo può commettere degli errori, e certa stampa internazionale si sofferma su quelli commessi da Netanyahu.
Il quale probabilmente ha sbagliato: non però essendo stato troppo energico, bensì per il motivo esattamente opposto, cioè per non avere saputo prevenire una minaccia la cui gravità e le cui dimensioni sono sotto gli occhi di tutti.
Gli amici e gli alleati consigliano – come sempre – la moderazione.
Il problema è da quale punto di vista la si debba valutare.
La reazione viene ritenuta troppo forte in quanto può danneggiare gli interessi dell’America e dell’Europa Occidentale, che devono mantenere buoni rapporti con gli Arabi per non compromettere le forniture di petrolio.
La valutazione che spetta alle Autorità di Israele deve essere invece compiuta secondo un metro diverso: si deve decidere che cosa occorre fare per eliminare una minaccia riguardante la stessa esistenza della loro Nazione.
Immaginiamo che i separatisti del Tirolo Meridionale non rivendicassero soltanto la secessione dall’Italia della Provincia di Bolzano, ma volessero arrivare al Capo Lilibeo.
Immaginiamo anzi che costoro si proponessero di sterminare tutti gli Italiani, compresi quelli residenti all’estero.
Tutto questo ci dà un’idea della situazione in cui si trova Israele.
Ciò detto, occorre però aggiungere un’altra considerazione.
Non si può tenere nei riguardi dei cittadini di Israele lo stesso atteggiamento che l’Occidente ha tenuto nel caso – tanto per fare due esempi tra i molti – dei Sudvietnamiti o dei Boeri del Sud Africa.
A prescindere da ogni valutazione sulle ragioni e sui torti di costoro, la differenza consiste nel fatto che in questi casi non era in gioco la nostra stessa sopravvivenza.
Per cui ci si poteva, ed anzi ci si doveva astenere da ogni partecipazione a guerre che non ci riguardavano, adempiendo tutt’al più al dovere umanitario di soccorrere e di ospitare le loro vittime.
Come era stato fatto precisamente per i Greci venuti al Concilio di Firenze.
Quando si dice che l’Occidente viene difeso sulle mura di Gerusalemme non si pronunzia uno slogan inventato dagli Israeliti e dai loro simpatizzanti, ma si descriva la realtà in cui - piaccia o meno -siamo immersi tutti quanti: anche coloro che manifestano in solidarietà coi terroristi.
La cui minaccia deve essere presa sul serio in quanto non avanzano una rivendicazione territoriale, accettabile o meno, ma rivelano le loro vere intenzioni sia quando si propongono di distruggere Israele e di sterminare tutti gli Ebrei, sia quando inquadrano tali obiettivi in un disegno di dominio sull’intero Occidente.
L’Italia esiste ancora malgrado le perdite di territori sul confine orientale, e l’Ucraina esisterà ancora anche se dovrà rinunziare alla Crimea.
Se invece l’Occidente accettasse di perdere Israele, esso non sopravvivrebbe, risultando impossibile fermare l’avanzata del nemico con il patteggiamento di concessioni territoriali.
Quanto manca, da parte dei Cristiani – gli Israeliti diasporici, al di là del loro giusto e comprensibile sentimento di solidarietà e di identificazione coi propri correligionari, ne sono pienamente consapevoli – è la coscienza di essere parte in causa.
Che dipende dall’esistenza e dalla profondità del nostro senso identitario.
Le attuali classi dirigenti non lo coltivano, ed anzi dimostrano di non percepirlo affatto.
Una volta sentimmo dire che non si ovvia a questa mancanza sacralizzando l’esercizio del potere.
Noi siamo stati sempre contrari alla teocrazia ed al confessionalismo, e neanche le attuali tragiche circostanze ci inducono a cambiare parere.
Non dobbiamo dunque contrapporre al Califfato un ricostituito Sacro Romano Impero.
Occorre piuttosto essere consapevoli del carattere sacro della responsabilità che comporta l’esercizio del potere.
La classe dirigente occidentale si dimostrerà all’altezza del suo compito solo se acquisirà questa coscienza.

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Mario Castellano  4/11/2023
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