La Festa dell’Olio di Oliva è riuscita bene...
La Festa dell’Olio di Oliva è riuscita bene, a maggior gloria del Presidente Enrico Lupi, che di questa ricorrenza annuale è il “Dominus”: anzi addirittura il “Deus ex machina”, essendosi rivelato capace di placare magicamente l’autentico uragano abbattutosi su Oneglia proprio nel giorno della vigilia, consacrato alla predisposizione degli allestimenti.
Suo degno deuteragonista si è rivelato – anche in questo caso rispettando una tradizione ormai consolidata – Osvaldo “Braccioforte” Martini Tiragallo, distintosi nel servizio di ristorazione elargito alle numerose personalità presenti in rappresentanza delle Istituzioni e dei “mass media”.
Abbiamo notato anche la partecipazione di un Alto Ufficiale della Marina Militare, dovuta evidentemente all’incombente clima di guerra.
Trascorsa la festa ed acquisito ogni possibile introito, gli eventi bellici possono aver corso.
Come il Re Sole, il Presidente Lupi può ben dire: “Après moi le déluge”.
Il diluvio si sta infatti scatenando, malgrado un suo tentativo di mediazione nel conflitto del Medio Oriente, che lo portò a confrontarsi personalmente addirittura con Yasser Arafat: la controparte israeliana non volle invece riceverlo.
La narrazione di questo colloquio che abbiamo udito dalla viva voce del Presidente assume toni epici e leggendari.
Dice Lupi che il Capo dei Palestinesi, allettato dalla prospettiva di entrare nell’organizzazione internazionale delle Città dell’Olio, si sentì particolarmente lusingato: sia per prospettiva politica di un ulteriore riconoscimento; sia per il possibile vantaggio economico (Arafat era molto portato al “business”, come dimostra la sua amicizia con Craxi); sia infine per il richiamo al significato religioso dell’albero sacro per eccellenza.
Se poi questo racconto sia stato influenzato da una certa tendenza di Lupi alla megalomania, nessuno lo può dire: i protagonisti conferirono infatti a quattr’occhi, non sappiamo in quale lingua.
Il fallimento di questo e di ogni altro tentativo di portare la pace in Terrasanta non pare tuttavia turbare il Presidente, che si consola con i ludi oleari celebrati sotto la sua regia nella nostra Città.
In merito ai quali dobbiamo attenerci al motto “De oleis nisi bene”.
L’annata è scarsa per quantità del prodotto, ma eccellente per la sua qualità: il che fa schizzare il prezzo, a prescindere dal bisogno di accaparramento determinato dai venti di guerra.
Non possiamo tuttavia prescindere da una valutazione politica – sia pure “lato sensu” – dell’evento.
Si moltiplica il numero di aziende che rivalutano e recuperano ogni produzione tipica, di questo come di ogni altro luogo.
La gamma di quanto viene messo in vendita si sta allargando: dalle birre artigianali all’archeologia agricola, che permette il recupero di produzioni tradizionali ormai desuete; dai salumi ai formaggi; dai dolciumi ai vini pregiati.
L’elenco risulta inevitabilmente incompleto, ma questa rivalutazione del “blut und boden” – che accentua naturalmente il “boden”, ma contribuisce comunque a sostenere l’orgoglio etnico – rivela un aspetto non certo tra i meno importanti della tendenza identitaria.
Che ha nella festa di Oneglia una sua manifestazione soprattutto economica: anche se non mancano i risvolti sociologici, rappresentati dal progressivo ritorno alla terra delle nuove generazioni, come quelli culturali, attestati da un’ampia pubblicistica e da un susseguirsi di eventi aventi per sede le località rurali.
Siamo in presenza di un fenomeno – ancora agli inizi, ma destinato inevitabilmente ad accentuarsi – simile a quello che si produsse tra la decadenza dell’Impero Romano e l’Alto Medio Evo: dalle città si torna alle campagne, che così ridivengono il centro della vita collettiva, in tutte le sue espressioni.
Verrà inevitabilmente il momento in cui si formeranno progressivamente delle nuove entità statuali.
In questa zona dominò la leggendaria Contessa di Tenda, il cui feudo originò più tardi la Contea di Nizza.
Che non fu soltanto un centro del potere politico, ma anche il luogo in cui si definì una ben precisa identità culturale, sviluppatasi attraverso i secoli come una tipica identità di transizione.
È vero che le categorie protagoniste di questo come di altri eventi trovano per ora nella Destra la propria rappresentanza politica, ma i loro interessi sono in prospettiva antitetici al centralismo dello Stato nazionale.
Questa contraddizione è destinata inevitabilmente ad accentuarsi.
La Sinistra non è però in grado di approfittarne, e neanche di rendersene conto.
Gli interessi economici intorno a cui essa continua a coagularsi in sede locale risultano infatti ancora più antitetici rispetto a quelli propri degli espositori.
Ricordiamo il resoconto che molti anni or sono ci fece un esperto di economia agraria di ritorno da un viaggio nell’Unione Sovietica.
La sua delegazione era stata solennemente ed amichevolmente ricevuta in un “kolkoz”.
Il nostro rappresentante calcolò che questa impresa, nel contesto occidentale, sarebbe fallita in pochi giorni.
Come facevano dunque i contadini a sopravvivere?
Grazie al fatto che lo Stato compensava le perdite con i proventi dell’esportazione dei prodotti del sottosuolo.
La Società importatrice di selvaggina che ha dominato i giochi politici locali sarebbe fallita ancor prima del “kolkoz” sovietico se avesse dovuto affrontare il libero mercato, ma gli Enti Locali venivano praticamente costretti ad acquistare da tale soggetto i capi destinati al ripopolamento.
Non solo ad un prezzo enormemente superiore a quello di mercato, ma anche in quantità sproporzionata rispetto alle necessità.
I contadini che offrono i loro prodotti alla fiera di Oneglia devono di conseguenza difendere le coltivazioni dallo straripamento dei cinghiali.
Inutilmente, i veterinari e gli esperti di Scienze Forestali hanno ammonito per anni che ce n’erano troppi, e che l’equilibrio tra le specie animali e vegetali ne veniva gravemente danneggiato.
Le necessità della politica prevalevano sempre su quelle dell’economia.
Il che contraddiceva il pensiero di Carlo Marx: malgrado gli importatori di selvaggina si annoverassero tra i più dogmatici dei suoi seguaci.
Se vogliamo mangiare gli ottimi cibi esposti per le nostre vie, e soprattutto acquistarli ad un prezzo abbordabile, non dobbiamo limitarci ad incoraggiare i cacciatori, dediti al meritorio compito di contenere i capi della cosiddetta “grossa selvaggina”.
Dobbiamo ridurne l’importazione.
Anche se ciò aggraverà i problemi dei Commercialisti “di Sinistra”, che stentano a quadrare i conti di chi la pratica.
La Sinistra ha il compito di ottenere un’equa ripartizione dei profitti.
Non certo quello di farli crescere ai danni dell’interesse generale.
Lo scontro avverrà comunque tra il centralismo ed i soggetti locali dediti alla produzione.
Gli speculatori sono un terzo incomodo, da eliminare quanto prima.
Se si tiene a cuore l’interesse generale.

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Mario Castellano  14/11/2023
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