La Signora Fiamma Nirenstein, ottima giornalista ed acuta analista delle vicende del Medio Oriente...
La Signora Fiamma Nirenstein, ottima giornalista ed acuta analista delle vicende del Medio Oriente, ripete spesso come tra tutte le ideologie che hanno contrassegnato il Novecento, cioè il comunismo, il fascismo, il nazismo e lo stesso liberalismo, una sola si sia affermata e sia sopravvissuta: il sionismo.
Non si può certamente negare che questo movimento, dedicato alla rinascita nazionale ad all’esercizio del diritto all’autodeterminazione da parte del popolo ebraico, abbia raggiunto i propri obiettivi.
Ci permettiamo tuttavia di dissentire dalla illustre collega laddove afferma che si tratti dell’unico soggetto politico i cui disegni si sono realizzati in modo non effimero.
Questo esito è infatti condiviso con tutti i nazionalismi.
I quali si sono rivelati tanto più forti quanto maggiori sono state le difficoltà superate per affermarsi.
Il sionismo, cioè il movimento ideato e fondato da Teodoro Herzl e mirante a costituire lo Stato nazionale degli Israeliti – il suo manifesto si intitolava non a caso “Das Juden Staat” - si è rivelato più forte degli altri in quanto non doveva soltanto liberare un territorio dal dominio straniero, bensì riunire in esso coloro che, essendone originari, si erano allontanati e dispersi: per l’appunto la Diaspora.
Non è stato tuttavia quello degli Ebrei l’unico movimento che ha realizzato l’obiettivo di costituire uno Stato nazionale.
Altrimenti il numero dei soggetti di Diritto Internazionale esistenti nel mondo non sarebbe arrivato a duecentoquindici, destinati inevitabilmente ad aumentare.
L’esempio offerto da quanti raggiungono l’Indipendenza risulta infatti tanto più contagioso quanto più essi sono numerosi, e quanto maggiori sono state le difficoltà superate per conseguire l’obiettivo.
Se la Signora Nirenstein – a nostro modesto avviso – esprime una parziale inesattezza, dobbiamo astenerci a nostra volta da qualsiasi schematizzazione delle vicende storiche: il che avviene ogniqualvolta si indica in una data la cesura tra un’epoca e un’altra.
L’era dei nazionalismi si fa risalire al fatidico Ventotto Giugno del 1914, quando a Sarajevo scoccò la scintilla del conflitto che avrebbe posto fine agli Imperi, fondati sul principio di legittimità.
Alcuni Stati nazionali – tra cui quello italiano – si erano però già costituiti nel corso dell’Ottocento: che fu anzi – dal punto di vista culturale - il secolo dei nazionalismi.
Il cui trionfo nel 1918 provocò certamente una reazione contraria, che avrebbe generato il tentativo – compiuto da alcune ideologie - di cancellare non soltanto i confini, bensì le stesse diverse identità dei popoli.
L’inno del movimento socialista affermava per l’appunto: “Riuniamoci e domani l’Internazionale sarà il genere umano”.
Se tale era indubbiamente l’utopia che veniva perseguita, si credette paradossalmente di averla realizzata in quelle situazioni dove essa aveva piuttosto fornito lo strumento politico impiegato per raggiungere l’Indipendenza: che consiste viceversa nel separarsi da qualcun altro, nel tracciare dei nuovi confini anziché abolire quelli esistenti.
Già Marx, d’altronde, aveva indirizzato il suo Manifesto non soltanto ai “proletari di tutti i Paesi”, ma anche ai “popoli oppressi”.
Partendo dal presupposto che lo sviluppo del capitalismo schiavizzava tanto i lavoratori delle Nazioni dove era più avanzato il progresso industriale quanto le popolazioni assoggettate al dominio coloniale.
Le quali, in alcuni casi, hanno fatto la Rivoluzione: che invece non è avvenuta nei Paesi in cui Marx la riteneva più prossima.
Lo stesso Lenin credeva – in base a tale schema - che la Russia avrebbe adottato per ultima il socialismo.
Non è questa la sede per valutare come si cadde in questo errore.
Limitiamoci a considerare come nel momento attuale è soprattutto in Cina che il nazionalismo innalza ancora la bandiera rossa, e l’ideologia ufficiale è il marxismo.
Altra cosa, tuttavia, è l’identità nazionale, ed altra cosa la cultura politica usata per affermarla.
Che a volte risulta radicalmente cambiata, come per l’appunto nel caso dello Stato di Israele, concepito e fondato quale progetto socialista e poi evoluto verso il confessionalismo; anche l’India, dopo essere stata condotta all’Indipendenza e poi governata da un uomo di formazione laica come Nehru, si è avviata verso il nazionalismo religioso.
Possiamo dunque concludere che il nazionalismo, dopo il tramonto delle ideologie e l’avvento dell’identitarismo, ha mutato la propria ispirazione, il proprio involucro politico, mantenendo tuttavia i suoi obiettivi.
I governanti dei vari Paesi non hanno d’altronde atteso questo cambiamento, ed anzi ne hanno tratto le conseguenze in anticipo: Russi e Cinesi si scontrarono sull’Ussuri quando erano ancora tutti e due comunisti, ed oggi si ritrovano d’accordo in quanto i loro interessi sono tornati a coincidere.
Le verbose dispute ideologiche dei tempi che precedettero la caduta dell’Unione Sovietica tentavano di dare un fondamento teorico a discrepanze che avevano tutt’altra motivazione reale.
Che cosa contraddistingue il Sionismo o, meglio, la politica concretamente seguita da Israele, rispetto al resto dell’Occidente, fino al punto che le Autorità di Gerusalemme si sentono abbastanza forti e prestigiose da rigettare anche le raccomandazioni espresse dagli Stati Uniti?
Non certo la fede in una ideologia, quanto piuttosto la consapevolezza di disporre del consenso sia dei propri concittadini, sia della grande maggioranza degli Israeliti diasporici.
Anche noi, d’altronde - pur non essendo tali, e valutando la situazione dall’esterno - riteniamo che le scelte attuali non abbiano alternative.
Si tratta essenzialmente di una manifestazione della condivisione di una stessa identità.
Il discorso, a questo punto, si distacca però dalla valutazione politica, e torna a proiettarsi nell’ambito spirituale.
Quando il Papa dice che gli Israeliti sono i “fratelli maggiori” dei Cristiani – il che è indubbiamente vero – deve mettere nel conto che i fratelli minori dovrebbero adeguarsi al loro consiglio.
E quando il Pontefice riconosce che gli Israeliti continuano ad essere il “Popolo Eletto” (anche questo è vero), deve considerare tuttora valida la promessa di Dio riguardante la terra loro assegnata.
Gesù Cristo disse, profetizzando la caduta di Gerusalemme: “Queste pietre saranno calpestate dai pagani fino a quando i tempi delle genti (cioè dei gentili, vale a dire dei non Ebrei) saranno compiuti”.
Se oggi quelle pietre non sono più calpestate dai pagani, significa dunque che sono finiti i tempi del predominio dei gentili: lo dice il Nuovo Testamento, e non quello Antico.
La profezia può essere dunque interpretata come il ripristino del primato del Popolo di Israele.
Non vogliamo cadere nel millenarismo, ma semplicemente constatiamo che proprio nella Terra di Israele si sta decidendo il nostro stesso destino, e che la sopravvivenza della civiltà cristiana dipende dalla sopravvivenza della civiltà giudaica.
L’una e l’altra sono d’altronde considerate da molto tempo come un “unicum” inscindibile.
La differenza consiste nel fatto che noi abbiamo una identità molto più debole.
Il che induce molti a non solidarizzare con gli Israeliti, continuando per giunta a valutare l’attuale contingenza storica con gli strumenti culturali elaborati nel tempo in cui dominavano le ideologie.
La prova di tale anacronismo sta nel fatto che i cortei in favore della Palestina – o meglio, in favore dei terroristi – vedono sfilare, insieme coi Musulmani (i quali una identità certamente la posseggono) anche i nostalgici occidentali del Comunismo, del Fascismo e del Nazismo.
Tutti costoro sono certamente dei fossili viventi, ma non vengono adeguatamente contrastati in quanto la mancanza di una identità forte induce a ragionare soltanto in base alla convenienza momentanea.
Non ci riferiamo soltanto a quei soggetti politici che sopravvivono esclusivamente in funzione di interessi corporativi: pare che i Portuali di Genova si siano distinti nel manifestare “per la Palestina”.
Parliamo di un ambito sociale più ampio e – come si diceva un tempo – più “qualificato”.
I superstiti di una certa intellettualità “di Sinistra”, lasciati gli Assessorati – dove, comunque, si devono fare i conti coi problemi concreti e prosaici della gente comune – godono i privilegi offerti dalle più prestigiose (?!) redazioni.
Dove un tempo si trovavano degli autentici studiosi, portatori di una loro cultura, oggi prosperano gli ex funzionari di Partito che dedicano i loro “pezzi di colore” ai disastri patiti dagli abitanti di Gaza.
I quali certamente stanno soffrendo, e meritano ogni umana comprensione.
Il compito di chi informa e forma l’opinione pubblica dovrebbe però consistere nello spiegare i veri motivi di questa sofferenza.
Risulta tuttavia difficile trovare il minimo cenno al fatto che tutti i piani di spartizione della Palestina sono stati respinti dagli Arabi.
I quali avrebbero da molto tempo uno Stato, se soltanto li avessero accettati.
Gli Israeliti non posseggono naturalmente la verità per diritto divino, ma la verità finisce sempre per imporsi, testimoniando le loro ragioni.
Per questo, a prescindere da ogni riferimento religioso – che pure ci coinvolge in quanto credenti – riconosciamo laicamente i diritti di Israele.

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Mario Castellano  14/11/2023
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