La novità, per quanto ormai attesa e sicura, non risulta per questo meno importante: soprattutto se si valutano attentamente i dettagli.
La novità, per quanto ormai attesa e sicura, non risulta per questo meno importante: soprattutto se si valutano attentamente i dettagli.
Sanchez è stato rieletto Presidente del Governo della Spagna, dopo avere dapprima raggiunto un accordo in base al quale il maggiore Partito indipendentista della Catalogna, erede tanto della storica “Uniò” di Macià quanto della “Liga” di Cambò – l’una di radice liberale, l’altra di ispirazione cattolica - entra a far parte della Maggioranza.
A questa intesa ne ha fatto seguito una analoga con il Partito Nazionalista Basco.
Alla Maggioranza si sono però anche aggregate altre formazioni regionali: in primo luogo la Sinistra Repubblicana della Catalogna, che governa la Generalità insieme con “Junts”, cui appartengono tanto Puigdemont quanto l’attuale Presidente Torrà; in secondo luogo, il Partito indipendentista basco di Sinistra; infine, gli autonomisti del Blocco Galiziano – i quali in passato hanno governato la loro Regione - e quelli delle Canarie.
Tutte le forze rappresentative delle minoranze alloglotte rappresentate nel Parlamento di Madrid confluiscono ora con quelle della Sinistra nazionale, cioè i Socialisti e gli ex Comunisti.
Rimane autoescluso il Partito di Herri Batasuna, braccio politico dell’ETA, che considera illegittimo il controllo della “Euzkadi” da parte di ogni Autorità spagnola.
Una maggioranza simile non si vedeva dal tempo della Repubblica.
Noi italiani, tanto democratici quanto autonomisti, dobbiamo dare a questo risultato un contributo tale - per quanto possibile - da consolidarlo, vigilando contro i tentativi di ingerenza negli affari interni di un altro Stato che la Meloni si accinge certamente ad esperire, in linea con il suo appoggio dichiarato ai propositi dell’estrema Destra spagnola: la quale si riprometteva di abrogare gli Statuti di Autonomia, ed ora non riconosce la legittimità del nuovo Governo.
Che è stato invece costituito nel più scrupoloso rispetto della Costituzione: tanto più in quanto la maggioranza, che sembrava in origine risicata, si è ora rafforzata.
Fino ad includere tutti quanti intendono difendere tanto la democrazia quanto il decentramento.
Anche altrove, in Europa Occidentale, si è determinata una analoga convergenza: pensiamo alla maggioranza trasversale che ha eletto Macron, ed a quelle costituite in tutte le Regioni della Francia in cui ciò risultava necessario – come è avvenuto nella Costa Azzurra – Provenza intorno al nostro amico Estrosi - per fermare l’estrema Destra.
Questa formula non si è ripetuta in Italia a causa dell’errore compiuto a suo tempo dal gruppo dirigente comunista: che cercò l’intesa con la Destra democristiana, sacrificando tutta la Sinistra cattolica, o per meglio dire cristiana.
Il risultato di questa scelta è consistito nell’eliminazione del settore moderato – ma convintamente democratico – che nel nostro Paese come dovunque costituisce il naturale interlocutore della Sinistra.
I berlusconiani – o quanto ne rimane – sono completamente appiattiti, salvo alcune defezioni individuali, causate dal rifiuto di sottostare alla Meloni, sull’estrema Destra.
Quanto ai Leghisti, convertiti da un secessionismo farsesco ad un centralismo purtroppo serio nelle sue ripercussioni sulle Autonomie Locali, dovrebbero essere sconfessati da nuovi soggetti autenticamente indipendentisti.
Un barlume di speranza, in questo senso, viene dalla alleanza ampia – comprendente per l’appunto la Sinistra nazionale ed i “Sardisti” – che si è costituita intorno ad una candidatura unitaria per la Presidenza della Regione.
Dalla quale si è però staccato l’ex “Governatore” Soru: se la sua dissidenza non rientrerà, le elezioni saranno perdute in partenza.
Rimane comunque la novità positiva rappresentata dal fronte comune in difesa dello Statuto Speciale ed allo stesso tempo della democrazia nell’insieme dello Stato italiano.
Resta altresì la necessità di promuovere ovunque delle liste autonomiste, valutando caso per caso la possibilità di apparentarsi con l’Opposizione, ovvero di correre da soli.
Di quanto avvenuto a Madrid, non possiamo naturalmente che rallegrarci.
Esprimendo, però, una paradossale riserva, riguardante la velocità con cui procedono i nostri amici catalani e baschi.
La loro locomotiva è così veloce che i vagoni rischiano di rimanere staccati.
Noi abbiamo sempre ritenuto che il discorso indipendentista – in tutta l’Europa Occidentale – fosse destinato a giungere a maturazione contemporaneamente in tutte le situazioni.
Precisamente come era accaduto per l’Europa Orientale a partire dal 1989.
Ora, però, dobbiamo prendere atto di una prospettiva diversa, e cioè che il processo separatista giunga a compimento in anticipo per quanto riguarda la Penisola Iberica.
Se ciò dovesse accadere, ci schieriamo fin d’ora con quanti non ritengono opportuno porre freni alla tendenza che si manifesta a Barcellona e a Bilbao: la quale costituisce comunque per noi un precedente importante, come è sempre avvenuto laddove si è riusciti a realizzare ed a difendere l’Autodeterminazione.
La Spagna ed il Portogallo, non essendo stati coinvolti nella Seconda Guerra Mondiale, hanno camminato con una velocità diversa dalla nostra, ma soprattutto procedendo secondo una logica in parte differente.
La sopravvivenza fino al 1974 – 1975 dei regimi autoritari sembrava avere condannato questi due Paesi ad un irrimediabile ritardo.
L’elaborazione della Costituzione democratica spagnola, ed il ruolo riconosciuto da essa alle Autonomie – in particolare la Generalità Catalana ed il “Fuero” del Paese Basco – ha potuto tener conto di un ritardo culturale che non era proprio degli Spagnoli, bensì degli altri Europei Occidentali.
I quali – specialmente noi Italiani – erano rimasti fermi nell’attribuire un valore “progressista” all’Unità nazionale.
Il che era vero nel tempo delle ideologie, ma non lo è più nel tempo delle identità.
Questo ritardo riguarda in particolare la Sinistra.
Con la quale deve dialogare un forte movimento autonomista.
La saggezza dei Costituenti spagnoli è consistita nell’avere rinunziato ad una petizione di principio, quella riguardante l’assetto istituzionale dello Stato.
Se però la Spagna è una Monarchia, possiamo dire che è anche composta da tante Repubbliche quante sono le Autonomie.
Due delle quali hanno dignità di Stati.
Non già essendo soggetti di Diritto Internazionale, ma risultando tali in base all’ordinamento giuridico interno: precisamente come avviene in America.
Le Prefetture, di conseguenza, non esistono più in Catalogna fin da quando è entrato in vigore il primo Statuto di Autonomia.
Ora però si comincia ad affermare perfino una sorta di personalità attenuata di Diritto Internazionale: le eventuali controversie tra Madrid e Barcellona sull’accordo che ha permesso di insediare il nuovo Governo verranno deferite all’arbitrato di un soggetto né catalano, né spagnolo.
Come avviene precisamente per regolare il contenzioso tra diversi Stati sovrani.
Questa esperienza è molto importante e significativa per noi.
Attendiamo dunque con impazienza che la Rappresentanza in Italia della Generalità di Catalogna ci mandi – come ha promesso – un esperto incaricato di spiegare le radici storiche e giuridiche delle attuali conquiste.
Per le quali ci congratuliamo con i nostri amici e vicini di casa.