Landini si è esibito in piazza del Popolo, evitando l’imbarazzante confronto con uomini ben più prestigiosi di lui: i quali un tempo riempivano piazza San Giovanni, facendo debordare la folla in tutte le vie adiacenti.
Non si ravvisa, in questo mediocre uomo di apparato, né il messianismo meridionale e laico di Giuseppe Di Vittorio, né la passione civile di Luciano Lama, né il rigore di Bruno Trentin, e neanche l’istintiva capacità di mobilitazione di Sergio Cofferati.
Il quale riuscì a riempire addirittura l’immenso catino del Circo Massimo, suscitando le invidie dei burocrati delle Botteghe Oscure: i quali videro in lui – per giunta sospettandolo ingiustamente – un potenziale rivale, voglioso di contendere la loro “leadership” traballante.
Questi sospetti si ridestano ora nella Schlein, e perfino nell’Avvocato di Volturara Apula: il quale c’entra col Movimento dei Lavoratori come i cavoli a merenda, ma viene considerato dal Nazareno un interlocutore indispensabile.
Col risultato che la piazza della cosiddetta “Sinistra”, già esigua, si spacca in due.
Andando avanti di questo passo, giungeremo alla scissione dell’atomo.
La Meloni applica intanto ai suoi rivali la regola del “Divide et impera”.
I giornali hanno riportato – del discorso di Landini – la fosca previsione sul Governo che “va a battere”.
Essendo questa proposizione priva di congiuntivi, il Segretario è riuscito a pronunziarla senza commettere errori, e tanto basta per promuoverlo al rango dell’intellettuale.
La profezia di Landini si basa sulla disanima della situazione economica, che certamente è disastrosa.
L’uomo però risulta incapace dell’unica alzata di ingegno di Berlinguer: il quale – proprio grazie alla sua cupezza da calvinista sardo – scorse nella incombente povertà una occasione propizia per praticare non solo e non tanto l’egualitarismo, quanto piuttosto la austerità.
Che è cosa ben diversa dalla “austerity”, cioè dai meri tagli di bilancio praticati dai Governi in tempi di vacche magre: per questo, basta farsi imprestare qualche “tecnico” dalla Banca d’Italia.
L’austerità consiste condividere i sacrifici, nel privilegiare il solidarismo rispetto all’egoismo ed al cannibalismo sociale, potremmo anzi dire la spiritualità rispetto al materialismo connaturato nel consumismo.
Quanto manca a Landini è la capacità di andare oltre il contingente.
È vero che l’attuale Governo prosegue nell’opera di impoverimento dei cittadini, ma è anche vero che questa tendenza non è iniziata con l’avvento della Meloni.
Essa è stata iniziata dai Governi, in gran parte di Centro – Sinistra, che l’hanno preceduta.
Fino a quando il completamento dell’opera, non bastando più l’acquiescenza dimostrata fino a quel momento dai Sindacati e dalla “Sinistra”, richiedeva che si mettesse mano all’assetto istituzionale.
Da una parte trasferendo in sostanza al Presidente del Consiglio l’esercizio del Potere Legislativo, poi abolendo di fatto il diritto di riunione, ed ora – “dulcis in fundo” – privando i lavoratori del diritto di sciopero.
Tutte queste misure risultano comunque pleonastiche: la gente ha perduto infatti da tempo la voglia di manifestare, la voglia di scioperare e perfino la voglia di votare.
A chi adotta misure restrittive ben si addice dunque la famosa frase pronunziata – secondo il Guerrazzi – da Francesco Ferruccio: “Tu uccidi un uomo morto”.
Anche Mussolini impose le Leggi dette “fascistissime” non già come strumento per vincere la guerra civile, bensì quale coronamento del suo potere.
Allora, però, l’opposizione gli aveva resistito fino a quando ciò era risultato possibile.
Ora, invece, ci si è arresi senza combattere.
La Meloni è dunque il becchino del movimento democratico, e non il suo uccisore.
Per decenni, si è chiesto ai lavoratori di fare sacrifici per sostenere una democrazia che non li tutelava, e che addirittura progressivamente li escludeva.
Fino a quando si sono resi conto che si trattava di un mero simulacro, ed hanno smesso di lottare per farlo sopravvivere.
Si continuava però ad esortarli affinché proteggessero i privilegi di una “nomenklatura” simile a quella dei vecchi regimi comunisti: cioè, di un ceto incapace non soltanto di generare benessere, ma anche di produrre cultura.
Occorrerà attendere che veramente si “vada a sbattere” perché rinasca un nuovo soggetto politico, espressione della realtà sociale.
E che sappia guadagnare sul campo quel prestigio che i vari Schlein e Landini non hanno mai dimostrato di possedere.
Questo movimento dovrà esprimere certamente il malcontento sociale degli esclusi, ma anche fare propria la causa della democrazia e dello Stato di Diritto.
Gli attuali dirigenti continuano invece a perseguire la linea di un rivendicazionismo spicciolo, avendo però perduto la capacità di mobilitare la base per sostenerlo.
Questo sarebbe invece il momento – se la classe operaia avesse dei dirigenti all’altezza del compito – in cui dimostrare di saper esercitare l’egemonia, di essere – come si diceva un tempo – “Classe Generale”.
Curiosamente, la cancellazione sostanziale del diritto di sciopero viene dopo la privazione della libertà di intrapresa.
Ci ricordiamo bene – “sans vouloir nous flatter” fummo gli unici a segnalarlo – di quando un economista della Lega venne a dire ai nostri imprenditori che questa libertà sarebbe stata d’ora in poi sottomessa alla discrezione – o meglio, all’arbitrio – di quello stesso Governo che essi stavano portando al potere.
Questo però darebbe al Movimento dei Lavoratori la possibilità di rappresentare gli stessi interessi della sua controparte: proprio in quanto la libertà economica, senza la libertà politica, è soltanto apparente.
Ed è appunto la libertà politica quanto è venuto a mancare per effetto dell’avvento della Meloni.
Rimane la speranza di rientrare nel novero dei privilegiati tenuti in vita per far credere che la libera impresa esiste ancora.
Come rimane la speranza – da parte della gente come Landini e la Schlein – di essere preservati per fingere che esiste ancora la libertà politica e sindacale.
Ridotta però a finzione, essendo venuti a mancare gli strumenti necessari per esprimere la rappresentanza degli esclusi.
Proprio quando costoro sono divenuti maggioranza.
Se il Sindacato avesse saputo e voluto essere egemone, avrebbe protestato per l’uso dei Decreti del Presidente del Consiglio, e per la cancellazione del diritto di riunione.
A Landini basta invece che questo diritto possa esercitarlo lui.
Dimenticando che a questo punto è diventato un privilegio.
E che egli si riduce per l’appunto a difendere i privilegi.