Quando venne stipulato tra l’Italia e la Francia il Trattato detto “del Quirinale”, ...
Quando venne stipulato tra l’Italia e la Francia il Trattato detto “del Quirinale”, la Meloni protestò con veemenza, asserendo che esso conteneva delle clausole lesive della nostra sovranità nazionale.
Una volta giunta al Governo, si è però ben guardata dal denunziarlo.
Anche perché tale passo risulterebbe possibile solo se la controparte lo avesse violato.
Questo è peraltro improbabile, per il semplice motivo che quanto più il Trattato viene messo in pratica, tanto maggiore è il vantaggio per la Francia.
Vale la pena sottolineare due aspetti riguardanti la stipula di questo atto di Diritto Internazionale.
In primo luogo, la parte francese aveva fatto tutto il possibile per accelerare la conclusione delle trattative, temendo che il previsto avvento dell’estrema Destra al Governo dell’Italia impedisse una loro conclusione positiva.
In secondo luogo, è molto raro che l’organo incaricato di rappresentare una Nazione nella stipula di un Trattato sia il Presidente della Repubblica: in genere, tale compito è affidato al Primo Ministro, al Ministro degli Esteri o addirittura ad un diplomatico.
Solo in pochi casi, la sottoscrizione avviene da parte del Capo dello Stato.
Se costui vi provvede personalmente, ciò significa che le parti intendono attribuire alla firma del Trattato la massima solennità, al fine di sottolinearne l’importanza.
Un precedente, riguardante precisamente la Francia, fu costituito dallo storico accordo tra De Gaulle ed Adenauer, che il Generale stipulò in quanto Capo del Governo: altrimenti, la sua controparte sarebbe stato il Presidente della Germania, e non il Cancelliere Federale.
Sul merito dei Trattato del Quirinale, abbiamo già scritto ampiamente.
Anche se ciò non viene espressamente dichiarato nelle sue clausole, possiamo affermare che le due Alte Parti contraenti si riconoscono reciprocamente quali Potenze Protettrici delle popolazioni – non soltanto alloglotte – residenti sui due lati del confine comune.
È addirittura prevista esplicitamente la possibilità di un intervento protettivo delle Forze Armate sul territorio straniero.
Le norme destinate ad una più sollecita attuazione sono però quelle relative ai rapporti culturali, che prevedono l’incoraggiamento dell’insegnamento delle rispettive lingue nelle zone di frontiera, e più in generale la valorizzazione della cultura comune alle loro popolazioni.
Questo significa riconoscere l’esistenza di una identità di transizione.
Che costituisce la base dei rapporti già stabiliti, per iniziativa tanto degli Enti Locali quanto anche di molti soggetti di Diritto Privato.
L’obiettivo che noi stessi perseguiamo, concordemente con i nostri vicini, non consiste nel trasferire dall’uno all’altro Stato la sovranità su certi territori, quanto piuttosto – almeno in prospettiva storica – nel costituire progressivamente delle nuove entità territoriali, munite di competenze esercitate in precedenza tanto dagli Enti Locali quanto dalle Autorità centrali.
Tali entità non saranno necessariamente – e tanto meno immediatamente – dei nuovi soggetti di Diritto Internazionale, ma potranno progressivamente assumere la competenza sulla gestione del territorio e dei servizi pubblici: intesi nel senso più ampio, fino a comprendere in particolare l’insegnamento.
Che dovrà essere necessariamente bilingue.
Tutte le norme del Trattato hanno naturalmente il carattere della pariteticità e della reciprocità, ma si deve tenere conto del fatto che in territorio italiano si trovano comunità tanto di lingua francese quanto di lingua occitana.
Queste ultime costituiscono una importante propaggine di un’area culturale che si sviluppa ampliamente sull’altro versante delle Alpi, arrivando fino ai Pirenei.
La novità intervenuta nei giorni scorsi consiste nel fatto che l’Italia ha stipulato con la Germania un atto di Diritto Internazionale le cui norme ricalcano quelle del Trattato del Quirinale.
Ricordiamo che, quando quest’ultimo venne sottoscritto ci si rammaricò per non avergli dato un “pendant” riguardante il Nord – Est.
Esistevano, naturalmente, gli Accordi de Gasperi – Gruber ed il cosiddetto “Pacchetto”, posti a tutela della minoranza di lingua tedesca residente nel Tirolo Meridionale.
Il Trattato che si voleva stipulare con la Germania, e che finalmente è stato sottoscritto, si riferiva però ad una materia diversa.
Non esiste infatti soltanto il problema derivante dal dovere di rispettare le caratteristiche culturali proprie degli alloglotti e degli allogeni.
Il Nord -Est dell’Italia compone un’area ben più vasta, la cui comunanza tanto di cultura quanto di interessi economici riguarda delle aree confinanti molto ampie, comprendendo le Regioni alpine dell’Austria, e soprattutto la Baviera.
Il legame del Nord – Est italiano con queste realtà ha origini e caratteristiche diverse dà luogo a luogo.
Se il Veneto ed il Friuli sono già integrati dal punto di vista economico con i territori posti a Settentrione del Brennero, il Porto di Trieste è l’unico – in tutta Italia – che non è stato accaparrato, né rischia di essere acquisito, dai Cinesi: la Germania se ne è assicurata il controllo, mettendo le basi del ritorno alla funzione storica di questo scalo quale sbocco naturale sull’Adriatico di un ampio settore della Mitteleuropa, coincidente con buona parte dell’antico Impero Austriaco.
Il Trentino – che nei Paesi di lingua tedesca è comunque considerato parte del Tirolo - ha un legame storico ed economico con l’Austria ben più forte di quello, meramente linguistico, esistente con l’Italia.
Se un giorno tutta quest’area potesse configurarsi come un nuovo ed ampio soggetto politico e giuridico, il suo centro si troverebbe non tanto ad Innsbruck quanto a Monaco di Baviera.
Esattamente come Nizza è già il punto di riferimento sia per Imperia, sia per Cuneo.
Il tedesco, d’altronde, è più conosciuto ed usato nel Nord – Est di quanto lo sia il francese da noi.
Ciò è dovuto tanto a ragioni storiche quanto a motivi economici.
L’integrazione non può consistere soltanto nella crescente dislocazione di imprese italiane in Austria, né nel commercio con la Baviera e con tutti gli altri territori collocati oltre il Brennero.
Se si potesse costituire un’area omogenea dal punto di vista legislativo, tante attività produttive godrebbero – rimanendo dislocate dove si trovano attualmente - degli stessi benefici che oggi ricercano oltre confine.
Perché la Meloni ha firmato quella che dal suo punto di vista equivale ad una capitolazione, contraddicendo manifestamente i motivi invocati a suo tempo per la virulenta opposizione al Trattato del Quirinale?
Essenzialmente perché ogni atto di Diritto Internazionale riflette e sancisce sostanzialmente il rapporto di forze tra le parti contraenti.
La Presidente del Consiglio – detto molto volgarmente – non può sputare nel piatto in cui mangia: non può, cioè, contraddire quei soggetti esteri che hanno contribuito a propiziare il suo accesso al potere.
Dai quali dipende anche la sua permanenza in tale posizione.
Vedremo se il Trattato verrà portato non soltanto alla conoscenza, ma anche alla ratifica del Parlamento.
Le Camere hanno potuto valutare il discutibile patto con l’Albania solo perché il Governo di Tirana lo ha reso pubblico.
Forse Berlino dovrà fare lo stesso, dato che la Meloni potrebbe provare imbarazzo per avere stipulato un accordo i cui contenuti contraddicono manifestamente il suo dichiarato centralismo.
Nella situazione determinata dalla firma del Trattato con la Germania, diviene in pratica ininfluente la scelta del partner con cui Fugatti ed il suo collega di Bolzano comporranno le rispettive Giunte Provinciali.
I Partiti nazionali di Destra sono stati infatti scavalcati, e la loro opposizione ad un ampliamento dell’autonomia è stata sostanzialmente sconfessata dalla scelta compiuta dal Governo di Roma.
Il quale ha dovuto prendere atto degli attuali rapporti di forza in Europa.
Dove la Germania e l’Austria hanno certamente interesse a controbilanciare la deriva mediterranea presa da un Governo di Roma sempre più influenzato dal Meridione: tanto dell’Italia quanto del mondo.
Il “Governatore” della Liguria farebbe bene a studiare la lezione impartita dal Nord – Est.
I suoi colleghi di Venezia e di Udine non possono, dal canto loro, far dimenticare le passate invettive contro Roma, registrate diligentemente nelle Cancellerie di Vienna e di Berlino.
Costoro hanno anzi l’occasione per ricollegarsi con esse: se non nella forma, certamente nella sostanza.
Le dinamiche dell’economia, insieme con la tendenza ad affermare le diverse identità, risultano ben più forti della retorica nazionalista.
Di cui qualcuno continua a riempirsi la bocca.
Tanto a Roma quanto a Genova.
Nel 1686, il Doge Francesco Maria Imperiale Lercari, essendo in sostanza la Repubblica di Genova uno Stato vassallo della Francia, venne ricevuto a Versailles.
Quando gli domandarono che cosa lo avesse impressionato di più, rispose con la famosa frase “Mi chi”: cioè, che un poveretto come lui si trovasse in un luogo simile.
Noi, Liguri del Ponente, siamo stati sempre meno provinciali dei Genovesi.

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Mario Castellano  03/12/2023
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