Cosimo Giacomo Sallusti Salvemini, Salvemini “Non mollare è il nostro motto” ...
Cosimo Giacomo Sallusti Salvemini, Salvemini “Non mollare è il nostro motto”, Edizioni Movimento Salvemini, 576 pagine, 25 euro.
Il nipote del grande Gaetano Salvemini ha dedicato alla figura dell’illustre zio un bel libro, in cui si mescolano le memorie familiari, la ricostruzione storica dell’opera svolta dall’esule e dirigente antifascista ed una esposizione della persistente validità del suo pensiero nel contesto storico attuale.
Il suo Partito d’Azione non accettò la scelta, compiuta dai Comunisti e dai Democristiani - sulla quale conversero, sia pure con qualche perplessità e resistenza, anche i Socialisti - di inserire nella Costituzione un esplicito richiamo ai Patti Lateranensi.
In realtà, questa decisione era destinata a produrre soltanto degli effetti politici: tutti gli atti di Diritto Internazionale, una volta ratificati, sono infatti collocati allo stesso livello della Costituzione nella gerarchia delle Fonti del Diritto.
Il problema consisteva dunque nel denunziare o mantenere in vigore quanto stipulato nel 1929 tra Mussolini ed il Cardinale Gasparri.
La scelta di rispettare i Patti Lateranensi risultava inevitabile, se si voleva evitare in Italia una guerra di religione.
L’Autore non condivide tuttavia questa opzione, sostanzialmente per due motivi.
Il primo consiste nel fatto che il Concordato aveva trasformato l’Italia in uno Stato confessionale.
Non solo e non tanto perché dichiarava fin dal suo primo articolo che il Cattolicesimo era la “religione ufficiale”, quanto perché la norma canonica veniva riflessa – in particolare per quanto riguarda la disciplina degli effetti del matrimonio – in quella dello Stato.
L’altro motivo di contrarietà consiste nella contraddizione tra il principio dell’uguaglianza tra le diverse confessioni religiose, affermato dalla Costituzione, ed il fatto che lo “status” proprio di una di esse venga definito bilateralmente, mediante atti di Diritto Internazionale.
I quali, per loro natura, costituiscono il risultato di un patteggiamento tra lo Stato ed un altro soggetto.
Questa contraddizione, in prospettiva storica, dovrà indubbiamente essere risolta.
Ciò però non risulterà possibile fino a quando la Chiesa Cattolica riterrà che solo un atto di Diritto Internazionale stipulato con la Santa Sede possa tutelare la libertà di culto e di coscienza dei propri seguaci.
Se lo Stato rifiuta questa postulazione di principio, traendone tutte le conseguenze sul piano giuridico, si riapre inevitabilmente il conflitto aperto nel 1870 – ma in realtà risalente alle cosiddette “Leggi Siccardi” del 1855 - e chiuso nel 1929.
Questo non significa però di per sé che lo Stato sia confessionale.
Il nuovo Concordato, stipulato nel 1984 tra Craxi e Casaroli, riconosce in effetti pienamente il carattere laico della Repubblica.
L’Autore manifesta, tuttavia, il timore che tale carattere possa essere messo in discussione.
Questo in tanto avverrebbe in quanto la Chiesa richiedesse una nuova revisione dell’accordo vigente.
Tale ipotesi ci pare – dati gli orientamenti dell’attuale Pontificato – completamente irrealistica.
Il Cardinale Parolin non perde occasione per riaffermare come l’unico obiettivo perseguito dalla Santa Sede mediante la stipula dei Concordati consista nel garantire a sé stessa – possibilmente nel quadro di una generale libertà religiosa – la possibilità di esprimersi e di svolgere la propria funzione di cura delle anime.
Nessun privilegio viene rivendicato, e lo prova il fatto che laddove veniva riconosciuto – come nel caso della Spagna – si è provveduto ad abolirlo: con il pieno consenso della Santa Sede.
Il pericolo di un ritorno al confessionalismo tuttavia esiste, ma viene paradossalmente dalla riva sinistra del Tevere.
Non vi è dubbio sul fatto che la Chiesa, in cambio dei privilegi ottenuti nel 1929, divenne una delle tante organizzazioni di massa poste al servizio del Regime fascista.
L’opera di Salvemini lo riafferma e lo spiega molto bene, e ci dà soddisfazione trovare un riscontro alle nostre tesi da parte di una fonte così autorevole.
L’Autore mette anche giustamente in risalto le voci critiche che in ambito cattolico denunziarono questa situazione come pericolosa per l’indipendenza – nonché per il prestigio – della Chiesa.
Quanto Salvemini non coglie è l’origine del pericolo che una simile situazione si ripeta, sia pure “mutatis mutandis”.
Se una dittatura dichiarata mira a rendere obbligatorio il consenso, una “democratura” – come quella attualmente in via di instaurazione – non toglie formalmente il diritto di esprimersi a chi dissente, ma favorisce sistematicamente i soggetti che manifestano e promuovono il consenso.
Abbiamo già spiegato come noi non temiamo un confessionalismo alimentato dal Vaticano, quanto piuttosto un confessionalismo promosso da Palazzo Chigi, nonché da tutte le ramificazioni periferiche del nuovo potere.
L’esempio dell’insegnamento risulta molto significativo a questo riguardo.
È incontrovertibile che la libertà religiosa comprenda anche la possibilità di aprire scuole cattoliche, naturalmente - come dice la Costituzione - “senza oneri per lo Stato.
Non risulta invece costituzionalmente legittima l’imposizione dell’educazione cattolica.
Questo però è precisamente quanto sta avvenendo grazie all’applicazione del cosiddetto “Principio di Sussidiarietà”.
In base al quale, qualora l’Ente Pubblico non sia in grado – o dichiari di non essere in grado - di impartire l’istruzione in un determinato ambito territoriale, può incaricare un soggetto privato di svolgere tale funzione in sua vece.
Costringendo anche chi appartiene ad una diversa religione – o non appartiene a nessuna religione - a ricevere una educazione cattolica.
Nella Sanità, l’unica conseguenza di tale prassi consiste – per quanto riguarda gli utenti del servizio – nel non potere accedere all’aborto o alla eutanasia passiva.
I Medici reclutati dalle cooperative facenti capo alla Società delle Opere che gestiscono i reparti dei nostri Ospedali non sono però reclutati mediante concorso pubblico, bensì esclusivamente in base ai criteri propri del loro datore di lavoro.
Viene così vulnerato il principio di eguaglianza, oltre a permettere l’usurpazione di una funzione pubblica da parte di un soggetto di Diritto Privato.
Grazie alla progressiva estensione dei servizi gestiti da soggetti non soltanto cattolici, bensì dichiaratamente confessionalisti, si accresce la loro influenza: da una parte nella sfera pubblica, dall’altra parte nello stesso ambito ecclesiastico.
La Meloni tende a creare una sorta di Chiesa nella Chiesa, conferendole tutti quegli apporti economici che possono venire erogati dallo Stato e dagli Enti Locali.
Che cosa avverrebbe se il Governo della Chiesa non fosse più esercitato da persone ispirate, come Bergoglio, dal Cattolicesimo liberale?
Verosimilmente, si premerebbe sullo Stato per un ritorno a quei criteri confessionali che vennero instaurati nel 1929.
Se quel giorno sarà ancora a Palazzo Chigi la Signora Meloni, questa pretesa si sposerà con l’orientamento prevalente sull’altra sponda del Tevere.
Per contrastare un simile esito, ci vorrebbero degli altri Salvemini, e degli altri Sturzo.
Ci sono invece soltanto Lollobrigida e Formigoni. 

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Mario Castellano  23/1/2024
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