“Il Venerdì di Repubblica” viene usato dalla Redazione di via Cristoforo Colombo – che non è precisamente un alveare di lavoro – per canalizzare tutti gli articoli cosiddetti di scarto, non atti ad essere pubblicati sul quotidiano. Poiché però i criteri con cui avviene questa selezione rispondono alle esigenze propagandistiche espresse da Nazareno (altro notorio ricettacolo di fancazzisti della “Città Eterna”), succede a volte che sul supplemento settimanale finiscano i “pezzi” migliori. Come quello recentemente dedicato alla Comunità monastica fondata da Don Giuseppe Dossetti a Montesole, sull’Appennino Emiliano, a poca distanza da Marzabotto. Un compito assunto da Dossetti, e trasmesso ai suoi continuatori, consiste nel vegliare sui resti mortali - ma soprattutto sulla memoria – dei suoi Caduti. Il Sacerdote emiliano, ultimo rappresentante di una tradizione di preti padani comprendente figure come quelle di Don Zeno Saltini e di Don Primo Mazzolari, aveva sofferto molte delusioni nella sua vita pubblica. La Destra della Democrazia Cristiana lo calunniò – tanto in vita quanto “post mortem” - al fine di scoraggiare chi si proponeva di raccogliere la sua eredità politica: egli venne infatti descritto come un confessionalista, mentre tale critica non fu mai formulata nei confronti di personaggi squallidi come Formigoni. Sarebbe fin troppo facile comparare la loro figura con quella di un uomo che fu sempre, da laico e da Sacerdote, coerente ed esemplare. L’asserito confessionalismo di Dossetti non poteva essere decentemente riferito alla sua visione dei rapporti tra Chiesa e Stato: il prestigioso centro di Studi sulla Storia della Chiesa – affidato al Professor Alberigo e tuttora attivo sulla scena civile di Bologna e dell’Italia – ha sempre coerentemente difeso le ragioni del Cattolicesimo liberale. Quello che la Destra spacciava per confessionalismo era viceversa la coerenza – inutilmente invocata da Dossetti – tra la vocazione sociale del Partito cattolico e la sua prassi di Governo. Quando qualcuno – magari in modo confuso e velleitario, ma sempre animato da intenzioni positive – tentò di risolvere questa contraddizione, venne puntuale il suo linciaggio morale da parte della pubblicistica reazionaria. Cui la Destra democristiana riforniva la manovalanza dei suoi pennivendoli. Ci riferiamo a Mattei, con la sua politica energetica indipendente, al Fanfani promotore del Centro – Sinistra, e soprattutto a La Pira, con la sua trasposizione dell’ecumenismo nell’azione internazionale. Dossetti si fece Sacerdote per non rompere il Partito in un momento nel quale la Santa Sede non avrebbe accettato questa scelta: e si dimostrò doppiamente obbediente, alla Chiesa ed alla parte politica in cui aveva deciso di militare. Ci fu una occasione in cui si disse – non sappiamo con quale fondamento – che “Don Pippo” fosse pronto a dismettere il talare, ritornando all’impegno politico: fu quando l’Italia si dimostrò pronta – grazie all’evoluzione della situazione interna ed internazionale – per realizzare l’alternativa. Se Dossetti ebbe veramente questa intenzione, chi lo dissuase dal metterla in pratica furono Rodano e Berlinguer: l’uno precisamente nel nome di quel disegno confessionale che Dossetti aveva sempre rifiutato, l’altro usandolo come copertura del proprio opportunismo. Il momento in cui il Marchese sardo propose il “Compromesso Storico” segnò la fine della Sinistra democristiana, e più in generale della Sinistra cristiana. Non rimaneva dunque che mantenersi appartati nell’eremo sull’Appennino: dove – come dice l’articolo – si prega e si lavora, secondo l’insegnamento di San Benedetto, ma soprattutto si studia. Ed attraverso lo studio e la meditazione si perpetua l’identità di un Cristianesimo sostanziato nell’impegno sociale e nella democrazia. A Montesole – come anche a Bose, dove un’altra Comunità è stata costituita da Padre Bianchi, un uomo di Dio la cui vicenda personale presenta tante similitudini con quella di Don Dossetti - si mantiene accesa la fiaccola della cultura cattolica liberale. Si ripete il fenomeno vissuto dalla Chiesa – e dalla nostra intera civiltà – con il Monachesimo benedettino. Che non conservò soltanto la cultura classica, ma operò per il riscatto delle plebi rurali, bonificando e coltivando le terre incolte. In seguito, quando la rinnovata produzione agricola espresse il bisogno di commerciare e trasformare il prodotto, portando alla costituzione dei Liberi Comuni Urbani, toccò agli Ordini Mendicanti recare in essi la testimonianza del Vangelo: anche in questo caso dimostrando che la solidarietà tra i “comites” o “compagni” – così si chiamavano i loro componenti – era espressione dell’ideale cristiano. Oggi, però, le Città sono abbandonate ad un Governo – ed a una cultura politica – che costituisce l’antitesi di questo ideale. Per cui non rimane che isolarsi nei monasteri, come fece Fabrizio del Dongo nella Certosa di Parma dopo la Restaurazione. Verrà certamente il momento in cui una nuova generazione, che si sta formando attraverso la frequentazione dei luoghi della Fede e dei Maestri che vi svolgono il loro insegnamento, scenderà nuovamente a valle. Il nostro auspicio è che questi giovani cristiani trovino un interlocutore degno di loro. La generazione cresciuta dopo il Concilio, studiosa, appassionata e piena di fervore e di speranza, non trovò nell’ambiente laico chi fosse in grado di capire quale apporto poteva venire da essa alla causa della democrazia. Nella nostra piccola realtà provinciale, credevamo di incontrare Gramsci, ma trovammo soltanto Castagno e Rainisio. La cultura cristiana si trova in questo momento nuovamente sola nella ricerca di una via di uscita dall’attuale crisi, al contempo civile e spirituale. Ciò non deve portare naturalmente ad una tentazione confessionale, ma è inevitabile che le nuove espressioni politiche siano caratterizzate dalla loro radice religiosa. Non è colpa nostra, peraltro, se la cultura politica laica si è inaridita. La Schlein non è neanche in grado di cogliere i fermenti espressi dal mondo cattolico. Questa Signora è infatti un’apolide, incapace di capire la cultura specifica del Paese dove è stata destinata, e della nostra identità dimostra di capire ancor meno di un Prefetto o di un Questore. Lo rivela la sua inettitudine a decidere di fronte alla guerra che è iniziata. Togliatti – che pure considerava come sua vera Patria la Russia comunista – capì che bisognava fare propria la causa nazionale, ed allearsi con chiunque fosse disposto a combattere per cacciare lo straniero. Questa scelta conferì radicamento e prestigio al suo Partito: un patrimonio che è stato in seguito dilapidato. E che non si ricostituisce sfilando dietro le bandiere di Hamas. La quale non esporta neanche la selvaggina. “Il Venerdì di Repubblica” viene usato dalla Redazione di via Cristoforo Colombo – che non è precisamente un alveare di lavoro – per canalizzare tutti gli articoli cosiddetti di scarto, non atti ad essere pubblicati sul quotidiano.
“Il Venerdì di Repubblica” viene usato dalla Redazione di via Cristoforo Colombo – che non è precisamente un alveare di lavoro – per canalizzare tutti gli articoli cosiddetti di scarto, non atti ad essere pubblicati sul quotidiano.
“Il Venerdì di Repubblica” viene usato dalla Redazione di via Cristoforo Colombo – che non è precisamente un alveare di lavoro – per canalizzare tutti gli articoli cosiddetti di scarto, non atti ad essere pubblicati sul quotidiano.
Poiché però i criteri con cui avviene questa selezione rispondono alle esigenze propagandistiche espresse da Nazareno (altro notorio ricettacolo di fancazzisti della “Città Eterna”), succede a volte che sul supplemento settimanale finiscano i “pezzi” migliori.
Come quello recentemente dedicato alla Comunità monastica fondata da Don Giuseppe Dossetti a Montesole, sull’Appennino Emiliano, a poca distanza da Marzabotto.
Un compito assunto da Dossetti, e trasmesso ai suoi continuatori, consiste nel vegliare sui resti mortali - ma soprattutto sulla memoria – dei suoi Caduti.
Il Sacerdote emiliano, ultimo rappresentante di una tradizione di preti padani comprendente figure come quelle di Don Zeno Saltini e di Don Primo Mazzolari, aveva sofferto molte delusioni nella sua vita pubblica.
La Destra della Democrazia Cristiana lo calunniò – tanto in vita quanto “post mortem” - al fine di scoraggiare chi si proponeva di raccogliere la sua eredità politica: egli venne infatti descritto come un confessionalista, mentre tale critica non fu mai formulata nei confronti di personaggi squallidi come Formigoni.
Sarebbe fin troppo facile comparare la loro figura con quella di un uomo che fu sempre, da laico e da Sacerdote, coerente ed esemplare.
L’asserito confessionalismo di Dossetti non poteva essere decentemente riferito alla sua visione dei rapporti tra Chiesa e Stato: il prestigioso centro di Studi sulla Storia della Chiesa – affidato al Professor Alberigo e tuttora attivo sulla scena civile di Bologna e dell’Italia – ha sempre coerentemente difeso le ragioni del Cattolicesimo liberale.
Quello che la Destra spacciava per confessionalismo era viceversa la coerenza – inutilmente invocata da Dossetti – tra la vocazione sociale del Partito cattolico e la sua prassi di Governo.
Quando qualcuno – magari in modo confuso e velleitario, ma sempre animato da intenzioni positive – tentò di risolvere questa contraddizione, venne puntuale il suo linciaggio morale da parte della pubblicistica reazionaria.
Cui la Destra democristiana riforniva la manovalanza dei suoi pennivendoli.
Ci riferiamo a Mattei, con la sua politica energetica indipendente, al Fanfani promotore del Centro – Sinistra, e soprattutto a La Pira, con la sua trasposizione dell’ecumenismo nell’azione internazionale.
Dossetti si fece Sacerdote per non rompere il Partito in un momento nel quale la Santa Sede non avrebbe accettato questa scelta: e si dimostrò doppiamente obbediente, alla Chiesa ed alla parte politica in cui aveva deciso di militare.
Ci fu una occasione in cui si disse – non sappiamo con quale fondamento – che “Don Pippo” fosse pronto a dismettere il talare, ritornando all’impegno politico: fu quando l’Italia si dimostrò pronta – grazie all’evoluzione della situazione interna ed internazionale – per realizzare l’alternativa.
Se Dossetti ebbe veramente questa intenzione, chi lo dissuase dal metterla in pratica furono Rodano e Berlinguer: l’uno precisamente nel nome di quel disegno confessionale che Dossetti aveva sempre rifiutato, l’altro usandolo come copertura del proprio opportunismo.
Il momento in cui il Marchese sardo propose il “Compromesso Storico” segnò la fine della Sinistra democristiana, e più in generale della Sinistra cristiana.
Non rimaneva dunque che mantenersi appartati nell’eremo sull’Appennino: dove – come dice l’articolo – si prega e si lavora, secondo l’insegnamento di San Benedetto, ma soprattutto si studia.
Ed attraverso lo studio e la meditazione si perpetua l’identità di un Cristianesimo sostanziato nell’impegno sociale e nella democrazia.
A Montesole – come anche a Bose, dove un’altra Comunità è stata costituita da Padre Bianchi, un uomo di Dio la cui vicenda personale presenta tante similitudini con quella di Don Dossetti - si mantiene accesa la fiaccola della cultura cattolica liberale.
Si ripete il fenomeno vissuto dalla Chiesa – e dalla nostra intera civiltà – con il Monachesimo benedettino.
Che non conservò soltanto la cultura classica, ma operò per il riscatto delle plebi rurali, bonificando e coltivando le terre incolte.
In seguito, quando la rinnovata produzione agricola espresse il bisogno di commerciare e trasformare il prodotto, portando alla costituzione dei Liberi Comuni Urbani, toccò agli Ordini Mendicanti recare in essi la testimonianza del Vangelo: anche in questo caso dimostrando che la solidarietà tra i “comites” o “compagni” – così si chiamavano i loro componenti – era espressione dell’ideale cristiano.
Oggi, però, le Città sono abbandonate ad un Governo – ed a una cultura politica – che costituisce l’antitesi di questo ideale.
Per cui non rimane che isolarsi nei monasteri, come fece Fabrizio del Dongo nella Certosa di Parma dopo la Restaurazione.
Verrà certamente il momento in cui una nuova generazione, che si sta formando attraverso la frequentazione dei luoghi della Fede e dei Maestri che vi svolgono il loro insegnamento, scenderà nuovamente a valle.
Il nostro auspicio è che questi giovani cristiani trovino un interlocutore degno di loro.
La generazione cresciuta dopo il Concilio, studiosa, appassionata e piena di fervore e di speranza, non trovò nell’ambiente laico chi fosse in grado di capire quale apporto poteva venire da essa alla causa della democrazia.
Nella nostra piccola realtà provinciale, credevamo di incontrare Gramsci, ma trovammo soltanto Castagno e Rainisio.
La cultura cristiana si trova in questo momento nuovamente sola nella ricerca di una via di uscita dall’attuale crisi, al contempo civile e spirituale.
Ciò non deve portare naturalmente ad una tentazione confessionale, ma è inevitabile che le nuove espressioni politiche siano caratterizzate dalla loro radice religiosa.
Non è colpa nostra, peraltro, se la cultura politica laica si è inaridita.
La Schlein non è neanche in grado di cogliere i fermenti espressi dal mondo cattolico.
Questa Signora è infatti un’apolide, incapace di capire la cultura specifica del Paese dove è stata destinata, e della nostra identità dimostra di capire ancor meno di un Prefetto o di un Questore.
Lo rivela la sua inettitudine a decidere di fronte alla guerra che è iniziata.
Togliatti – che pure considerava come sua vera Patria la Russia comunista – capì che bisognava fare propria la causa nazionale, ed allearsi con chiunque fosse disposto a combattere per cacciare lo straniero.
Questa scelta conferì radicamento e prestigio al suo Partito: un patrimonio che è stato in seguito dilapidato.
E che non si ricostituisce sfilando dietro le bandiere di Hamas.
La quale non esporta neanche la selvaggina.

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Mario Castellano  23/1/2024
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