La guerra nel Mar Rosso ci coinvolge da diversi punti di vista.

In primo luogo, ciascuno Stato è tenuto a contribuire con le proprie navi militari alla repressione della pirateria, in conformità con quanto stabilito dai Trattati Internazionali.
Tanto più in considerazione del fatto che gli attacchi non risparmiano i mercantili battenti bandiera del nostro Paese, o comunque di proprietà italiana.
Se inoltre vi è un porto danneggiato dalla presente situazione di mancanza di sicurezza nella navigazione, è certamente quello di Genova: cioè, lo scalo verso il quale si dirigono la maggior parte delle navi in arrivo dall’Oriente che entrano nel Mediterraneo passando dal Canale di Suez.
I porti atlantici dell’Europa, data la necessità di circumnavigare l’Africa, sono invece temporaneamente avvantaggiati.
Una unità militare italiana è già presente in zona, ed altre si aggiungeranno non appena l’Unione Europea – sia pure con il consueto ritardo – deciderà di unirsi a quelle americana e britannica, già impegnate nei combattimenti.
I quali sono destinati verosimilmente a durare, dato che il fenomeno – contrariamente a quanto avveniva per la vecchia pirateria – non appartiene alla criminalità comune, venendo alimentato da uno Stato, cioè l’Iran.
Più che di pirati, nel caso degli Huthi, si tratta di corsari: se però le Autorità di Teheran li munissero delle “Lettere di Corsa”, dichiarerebbero con ciò stesso la guerra a tutti gli Stati aggrediti.
Ricordiamo comunque che questo tipo di guerra è stato bandito dal Diritto Internazionale fin dal Settecento.
Il paradosso, dal punto di vista giuridico, consiste dunque nel fatto che siamo in presenza di pirati, ma sostenuti apertamente da uno Stato.
Ricordiamo che il famoso “incidente del Tonchino” – risultato frutto di una invenzione – bastò a suo tempo per giustificare i bombardamenti sul Vietnam del Nord: in questo caso, almeno fino ad ora, essi si limitano allo Yemen.
L’Occidente viene progressivamente strangolato: se poi i pirati lasciano passare soltanto le navi cinesi, Pechino trae addirittura vantaggio dalla nostra disgrazia, e la connivenza di fatto con gli Huthi le reca un beneficio economico.
Noi occidentali siamo invece progressivamente indeboliti.
C’è poi un’altra conseguenza, che comincia ad essere notata dagli osservatori: l’Egitto vive in gran parte dei pedaggi pagati da chi passa per Suez.
Un tracollo delle finanze dello Stato può causare un aumento del prezzo – necessariamente sussidiato - del tradizionale panino con le fave, detto “falafel”, con cui si sfama la gran parte della popolazione.
La quale in tal caso si solleverebbe immediatamente, come è già avvenuto in passato.
Questo può portare a due risultati: nel caso più estremo, al ritorno al potere dei Fratelli Musulmani; in quello meno grave (si fa per dire) ad un esodo di massa verso l’Europa.
Che inevitabilmente transiterebbe per l’Italia.
La grande confraternita islamica fondata da Al Banna, che già controlla la società con la sua rete di moschee, scuole, ambulatori, studi legali e mense popolari – tutti gratuiti, mentre lo Stato non è in grado di garantire tali servizi alla gran parte della popolazione– si rafforza e si radica sempre più nella società, in attesa del suo momento.
Non si dimentichi che Hamas costituisce il ramo palestinese dei Fratelli Musulmani, ma la novità più rilevante emersa dagli attuali eventi consiste nell’alleanza inedita tra Sciiti e Sunniti.
Le nostre Autorità agiscono come al tempo dell’epidemia, che si rivela sempre più come la prova generale di quanto sta succedendo: prima si tiene nascosta la situazione reale, intrattenendo il pubblico con i misfatti dei femminicidi e degli “influencer”, additati al ludibrio quali primi nemici pubblici.
Per sottrarsi ad ogni denigrazione, connessa con il suo ruolo di ristoratore, l’amico Osvaldo “Braccioforte” Martini Tiragallo ha preso la via dell’esilio, seguendo le orme di Giovanni Battista Cuneo, di Carlo Belgrano e di Giuseppe Garibaldi.
Nel tempo del “Covid”, i nostri governanti avevano ben chiaro fin dall’inizio il loro piano, basato prima sull’imposizione di un pensiero scientifico unico, poi sull’adozione di misure limitate, accompagnate da dichiarazioni tranquillizzanti, per giungere infine – in un clima di caccia alle streghe e di Annibale alle porte - all’ introduzione di quelle più estreme.
Il nemico era però in quel caso un soggetto misterioso e indeterminato, privo di sembianze umane.
Ora esso assume quelle del terrorismo internazionale.
Contro il quale si forma un solo fronte, comprendente Israele e tutto l’Occidente.
Dall’altra parte, ci sono l’Iran, la Russia e la Cina: la quale non ha invaso Formosa, ma potrebbe farlo, e comunque viene inserita d’ufficio nel fronte autocratico del Male.
In una simile situazione, quale scelta risulta possibile?
Non si può certamente solidarizzare con chi si propone apertamente di negare il diritto di un popolo all’autodeterminazione ed il diritto di uno Stato all’esistenza.
Nemmeno si può avallare la pratica della pirateria, che colpisce anche le navi dei Paesi neutrali, ed attenta alla libertà di navigazione.
Non rimane dunque che compiere il proprio dovere di cittadini.
Essendo ben consci che verranno inevitabilmente imposte restrizioni sempre più severe in campo economico e sociale.
Il Governo - per ora - distoglie l’opinione pubblica dall’imminenza di questa prospettiva, mentre l’Opposizione si guarda bene dal denunziarla.
Il “modus procededendi” muta rispetto all’epidemia: questa volta non c’è bisogno di una campagna propagandistica per imporre il “pensiero unico”, i terroristi avendo esibito essi stessi la loro efferatezza e proclamato i propri obiettivi.
Se per combatterli risulta inevitabile rassegnarsi al razionamento della benzina, occorre evitare che la politica della “Union Sacrée “ si trasformi in adesione forzata a tutte le conseguenze che si vogliono trarre da questa situazione sul piano ideologico e giuridico .
Questo significherebbe passare dalla Dittatura come la intendevano gli antichi Romani, cioè un periodo in cui l’esercizio del potere veniva sottratto alle Istituzioni incaricate di esercitarlo in tempi ordinari, ad una dittatura concepita nel senso attuale della parola: vale a dire un regime in cui si sopprimono le libertà civili ed diritti politici.
Risulta inutile disquisire sulle motivazioni, derivanti dalla situazione internazionale, che rendono inevitabile la prima di queste due opzioni: salvo naturalmente incolonnarsi dietro la bandiera di Hamas, come fa un settore della “Sinistra” imperiese composto da convertiti all’Islam, nostalgici del Marxismo – Leninismo e superstiti del “Partito della Selvaggina”.
Occorre però chiarire che altra cosa è comportarsi da cittadini leali, altra cosa assecondare i disegni autoritari della Signora Meloni.
Abbiamo già ricordato come la Seconda Guerra Mondiale abbia portato al potere chi aveva scelto chiaramente da quale parte combatterla: chiarendo però le proprie condizioni, affermando i propri obiettivi e soprattutto portando la propria bandiera.
In India, Gandhi mise da parte il contenzioso con la Gran Bretagna ed aderì alla causa degli Alleati.
Lo stesso fece Ben Gurion nel futuro Stato di Israele.
La medesima scelta venne compiuta in Italia da tutti i Partiti antifascisti, che accantonarono ogni loro divergenza - così come la stessa questione istituzionale - fino alla Liberazione.
Questa è l’opzione che attende “ad horas” tutti i soggetti politici, ma in particolare le forze autonomiste ed indipendentiste.
Si deve dichiarare il sostegno in questa guerra allo Stato italiano e la collaborazione leale con le sue Autorità, ma a due ben precise condizioni.
Non si deve in primo luogo approfittare dell’attuale situazione per limitare – tanto meno in modo permanente - i diritti civili, ma soprattutto bisogna esigere che la controparte prenda atto della nostra aspirazione all’Autodeterminazione: sulla quale ogni popolazione dovrà pronunziarsi liberamente una volta che se ne siano determinate le condizioni.
La situazione che si sta preparando favorirà oggettivamente i nostri disegni.
Ciascun territorio e ciascuna comunità locale dovrà infatti sempre più contare sulle proprie risorse materiali ed umane, sulla cui gestione influiranno maggiormente i soggetti decentralizzati.
I quali potranno così elaborare gli strumenti necessari per il futuro esercizio della Sovranità.
Inoltre, le distinte identità potranno esprimersi – per quanto ciò possa sembrare paradossale – più liberamente: in tempo di guerra, non si possono scegliere, né coartare, i propri alleati.
Il contributo offerto da ciascun soggetto tanto più influirà sul futuro quanto più lo si saprà far valere.
Si sperimenteranno nuove forme di solidarietà collettiva, che rafforzeranno i vincoli identitari tradizionali, ed emergerà infine una nuova classe dirigente: l’attuale ha già dimostrato di non avere il prestigio, l’esperienza e l’energia necessaria per gestire situazioni di emergenza.
Gli eventi in gestazione non sono dunque destinati a rallentare i processi storici, bensì ad accelerarli: come avviene in occasione di ogni guerra.

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Mario Castellano  23/1/2024
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