LETTERA APERTA A DON SERGIO MERCANZIN
Molto Reverendo e Caro Don Sergio,
Mi permetta, in primo luogo, di ricostruire il reato di cui Ella è stato vittima, a beneficio tanto dei lettori quanto soprattutto dell’ottimo Ispettore Cristofani: il quale ha raccolto – nella benemerita Gendarmeria Vaticana – l’impegnativa eredità morale di uomini della statura del Comandante Giani e del Vice Comandante Alessandrini, con i quali ebbi l’onore di collaborare.
L’Ispettore legge infatti in copia la presente, avendo io il diritto e il dovere – quale parte lesa del reato – di comunicare quanto mi risulta alla Autorità competente.
Il Suo indirizzo elettronico, e perfino – a quanto Ella mi comunica – il telefono personale, sono stati “piratati” da ignoti (?) malfattori, con conseguenze gravissime, non soltanto per Lei e per la Santa Sede.
Ella è stato per giunta colpito da una sorta di contrappasso dantesco, dovendo effettuare centinaia di telefonate di rettifica e di avvertimento ai Suoi innumerevoli corrispondenti.
Tra cui si annovera perfino l’ignaro Ragionier Antonio Torcasso, già Funzionario del Comune di Sanremo, reo soltanto di avermi imprestato il proprio apparecchio per inviarLe un “messaggino”.
Nei testi che le avevo spedito all’indirizzo “civetta” – e che vengono ora appetitosamente consultati dai solerti scherani di qualche Servizio di “Intelligence” – non avevo scritto nessuna informazione riservata.
Per questo, ricorro ancora al vecchio “cartaceo”.
Gli spioni troveranno dunque soltanto alcune considerazioni poco lusinghiere su alcuni loro collaboratori (sempre che non si tratti di colleghi).
Tali apprezzamenti erano però già contenuti “tels quels” in alcuni precedenti articoli.
Mi dispiace dunque soltanto di non avere espresso alcun insulto.
Come usavo fare nel Paese di adozione, sapendo che ogni mia telefonata veniva diligentemente ascoltata da chi di dovere.
Taccio il nome del principale indiziato del reato, ma traccio – ad uso di chi ha il compito di indagare – un suo identikit: non fisico ma caratteriale.
Si tratta di un soggetto che Ella – essendo stato messo sull’avviso circa le truffe ed i millantati crediti nei quali costui era incorso – ha allontanato (si spera per tempo) dallo “entourage” della Libreria: luogo di studio e di spiritualità i cui frequentatori devono dimostrarsene degni.
Non è invece risultata possibile una eguale misura per quanto riguarda l’ambiente che gravita intorno al Vaticano: nel quale cui prosperano ogni genere di pennivendoli, provocatori e spioni, che ne fanno una sorta di “Corte dei Miracoli, tanto pittoresca quanto pericolosa.
La maggioranza di costoro lavora a “cachet”, essendo perennemente in cerca di un ingaggio occasionale.
Precisamente come avviene per i taxisti, nonché per le addette alla cosiddetta “più antica professione del mondo”.
Questo Signore ha fatto delle incursioni anche la nostra zona di frontiera, in cui ha operato in combutta con l’unico italo – francese di Destra, il quale funge oltre confine da portabandiera della sua parte politica.
Raccogliendo per fortuna scarse adesioni, ulteriormente diradate da quando è venuta a galla la truffa perpetrata ai danni della Santa Sede.
Allorché costui, pur di ottenere una Udienza Privata, annunziò “con bombo y platillo” - come si dice nel mio Paese di adozione - l’imminente pubblicazione di un periodico elettronico destinato a far conoscere. Oltralpe il Magistero del Papa.
Il quale ottenne – quale unico guadagno – un panettone: del quale omaggio l’italo – francese si vantò come se fosse stato la “Donazione di Costantino”.
In ambedue i casi – “Si parva magnis componere licet” – vale quanto scrisse l’Alighieri: “Ahi Costantin di quanto mal fu matre non la tua conversione, ma quella dote”; con quel che segue.
In tempi di vacche magre, si è passati dallo Stato Pontificio alla pasticceria industriale.
I nostri efficientissimi Servizi Segreti ci hanno infatti informato che il panettone non era neanche artigianale.
L’indiziato della pirateria elettronica è personaggio quanto mai ambiguo.
Costui si professa cattolico, ma pratica pubblicamente la poligamia.
Risulta vincolato ai Servizi Segreti del Regime venezuelano di Maduro, essendosi recato a Caracas per intervistarlo in esclusiva, ma tiene trai suoi più stretti collaboratori un esponente dell’estrema Destra colombiana, quella dei famigerati paramilitari di Bayardo Arce Castano.
Un altro pennivendolo al suo seguito fu protagonista di un clamoroso infortunio, avendo annunziato in anticipo il nome – naturalmente sbagliato - del nuovo Vicario dell’Urbe.
Quest’ultimo personaggio gravita nell’ambiente tradizionalista, mentre il suo principale si fa passare per “progressista”.
L’unico merito acquisito in tale campo consistette però nell’avere sostenuto la “Sindaca” Raggi a proposito del famoso “Spelacchio”, di cui egli lodò viceversa i pregi estetici (!?).
La Giunta Capitolina non lo ricompensò tuttavia come sperava, confermando il proverbio del nostro Paese di adozione secondo cui “il Diavolo paga male chi lo serve bene”.
Potrei continuare a lungo nella descrizione di simili disinvolte operazioni.
Nel clima infuocato della guerra di Gaza (che vede il nostro schierato – “ça va sans dire” - dalla parte di Hamas), non farebbe specie se fosse passato dalla “disinformazione” allo spionaggio elettronico.
Vengo ora alla Sua Persona: se c’è un uomo – ed un Sacerdote - che non merita queste cattiverie, caro Don Sergio, è proprio Lei.
Lo dico senza piaggeria, in quanto – malgrado la mia educazione cattolica – non ho mai avuto, né cercato, un Padre Spirituale.
Ciò non ha impedito ad alcuni ottimi Sacerdoti di assumere di loro spontanea volontà tale funzione, come fanno le persone di buon cuore quando si imbattono in un orfano.
Uno fu Don Emilio Rossi, mio Professore di Liceo, prete circondato non solo da cattiva fama in quanto modernista (nel suo caso, si trattava di una accusa fondata), ma anche da un odore sulfureo: tra i suoi molteplici interessi culturali figurava infatti anche l’esoterismo.
Un altro fu il Cardinale Obando y Bravo, di cui spero un giorno di testimoniare nel Processo Canonico davanti alla Congregazione competente.
Quando lo conobbi, avevo da poco iniziato – tra mille difficoltà e pericoli - la mia missione scientifica nel Paese di adozione.
Pur avendolo visitato senza neanche preannunziarmi, mi trattenne con sé a lungo, e volle essere informato nei dettagli della situazione in materia giuridica: io ero l’unico cooperante straniero accreditato presso la Corte Suprema.
Alla fine, anche per prolungare il colloquio, mi accompagnò con la sua automobile.
In tutto questo tempo, non mi domandò mai se io fossi credente, né tanto meno di quale religione: il Cardinale cercava soltanto gli Uomini di Buona Volontà.
Quando venne ucciso il mio povero cognato, egli fu l’unica persona cui ritenni di partecipare la notizia.
Il nostro colloquio avvenne nella sacrestia della Cattedrale, mentre si vestiva per la Messa della domenica.
In un attimo, il Cardinale capì che quell’omicidio costituiva per me l’ultimo avvertimento, e mi elogiò pubblicamente per la decisione di continuare comunque il lavoro intrapreso.
In un primo momento, mi sentii imbarazzato, e quasi infastidito.
Capii solo più tardi che ero stato salvato “in articulo mortis” nell’unico modo possibile: comunicando alla Polizia Politica – i cui agenti gremivano la Chiesa – che ero sotto la protezione del Primate.
Da allora, mi sono dedicato soltanto al bene del prossimo.
Poi è venuta la collaborazione con Padre Fidenzio Volpi, che è stato ucciso dalla Camorra, e la battaglia giudiziaria per fare luce sulla sua morte.
Che sarebbe stata vinta se non fosse intervenuta una fazione ecclesiastica a fermare l’inchiesta giudiziaria.
Tutto questo l’ho raccontato nel mio libro, ed il Papa ne è al corrente.
Infine, ho trovato Lei, ed il mio rammarico consiste nell’essere stato a volte troppo franco (mai, comunque, irrispettoso) nel comunicarLe che cosa pensavo.
Sempre, però, fondandomi sui fatti.
Un Sacerdote deve essere “Alter Christus”.
Se affermo che Ella è tale, non lo faccio – ripeto - per piaggeria, ma in quanto credo di conoscerLa bene.
In primo luogo, Gesù Cristo frequentava i pubblicani e le prostitute.
Io non appartengo a queste categorie di persone, ma ad un loro equivalente: sono stato infatti a lungo emarginato nella Chiesa in quanto cattolico liberale, giansenista e modernista.
Non sono mai stato comunista, ma questo è stato ugualmente messo nel conto.
Quanto al Cattolicesimo Liberale, al Giansenismo ed al Modernismo, sono orgoglioso di appartenervi.
Ciò malgrado – o forse proprio per questo – ho avuto il privilegio della Sua amicizia.
Gesù Cristo usava inoltre - quando era necessario – la forza: che è cosa ben diversa dalla violenza.
Una volta ebbi l’idea sconsiderata di farLa intervenire nel caso di un Sacerdote, cui sono legato da vincoli familiari, transitato con armi e bagagli (molto abbondanti, avendo ereditato una notevole fortuna) nel campo dei Tradizionalisti lefebvriani.
Costui la minacciò per telefono.
A questo punto, Ella – anziché intimorirsi – andò ad affrontarlo di persona, invitandolo a ripetere quanto aveva affermato a distanza.
L’uomo, messo in soggezione dalla Sua presenza, abbassò la cresta.
Nel Paese di adozione, mi fu sempre consigliato di non mostrarmi spaventato in queste situazioni, e tale prezioso consiglio contribuì a salvarmi la vita.
In terzo luogo, non è vero che Gesù Cristo fosse un rivoluzionario.
I Socialisti lo hanno asserito a lungo e in buona fede, ma si sono sbagliati: Gesù Cristo era – se è lecito applicare alla Sua figura le categorie attuali – un riformista.
Lo prova il fatto che non abrogò una sola delle più di seicento prescrizioni della Legge, ma semplicemente ve ne aggiunse delle altre.
I rivoluzionari – come asserì il più grande tra di loro nel Ventesimo Secolo – non hanno alleati, né interlocutori.
Essi cercano piuttosto quanti costui definì spregiativamente “utili idioti”, cioè soggetti da sfruttare, per poi scaricali quando diventano inutili.
Ella mi ha trattato come un interlocutore, anche se non ho mai defettato dalle mie scelte di principio.
Riconoscendo la mia dignità di persona, ma soprattutto il mio diritto di stare nella Chiesa.
Cui mi sono sempre mantenuto fedele, benché quasi nessuno mi considerasse – e mi trattasse – come tale.
Di questo ho molto sofferto.
Sono dunque molto addolorato di quanto Le è accaduto, considerandomi – sia pure indirettamente ed involontariamente - responsabile.
Non credo di esagerare se affermo che il rapporto di amicizia con me ha contribuito a renderLa invisa a certi ambienti.
I quali non rispettano nemmeno la Veste che Ella tanto degnamente porta.
La ricerca dei mandanti non darà esito: lo dico con tutto il rispetto per gli investigatori.
Succede sempre così per le violenze di Stato.
Ciò malgrado, comunico alle Autorità quanto mi consta, assumendone tutta la responsabilità.
Possiamo soltanto continuare, con una motivazione in più, nel nostro impegno quotidiano.
Un caro saluto e molte grazie per l’attenzione.
Suo affezionatissimo in Cristo.

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Mario Castellano  1/2/2024
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