Il funerale di Vittorio Emanuele di Savoia costituisce la classica notizia che ne contiene molte altre ...
Il funerale di Vittorio Emanuele di Savoia costituisce la classica notizia che ne contiene molte altre, racchiuse nella prima – e più evidente – come altrettante scatole cinesi. Possiamo anche ricorrere, per descrivere quanto sta per accadere, alla nota distinzione tomistica tra il fatto e l’evento. Certa stampa si limiterà naturalmente a descrivere l’evento, cui non mancano i dettagli curiosi: sui quali i giornalisti incapaci di ogni approfondimento potranno gettarsi per riempire i loro “pezzi di colore”. La cerimonia solenne di Torino coincide purtroppo con il Festival di Sanremo, dove di colore – in mancanza d’altro - ce n’è fin troppo. La locandina della nostra edizione provinciale di un grande giornale “nazionale” (!?) annunzia che ben undici pagine sono dedicate al concorso canoro: più di quelle consacrate alla morte del Papa. Il fatto che dei giornalisti si vantino di questa “performance” rivela l’incapacità di fare il loro mestiere: è come se un ristorante si facesse pubblicità promettendo ai clienti che serve loro dell’aria fritta. La realtà è che dietro l’evento di Sanremo non si scorgono dei fatti: quali invece si possono cogliere – per chi sappia decifrarli – in quello di Torino. Sanremo, infatti, guarda al passato, mente la Capitale Sabauda si volge – per quanto ciò possa sembrare strano – al futuro. Abbiamo già notato come il Festival costituisca l’estremo e più degenerato epifenomeno della cultura cosiddetta” nazionalpopolare”: che ha influenzato – grazie all’egemonia conquistata a suo tempo da Togliatti e & Compagni sull’ambiente accademico – le tendenze estetiche dell’Italia. Non a caso, l’eroe di Sanremo è Amadeus, che costituisce un perfetto esempio di ex comunista. Al quale la Meloni – dopo essersi liberata di Sgarbi – applica più morbidamente la regola del “promoveatur ut amoveatur”: in ambedue i casi, l’obiettivo viene raggiunto ungendo abbondantemente le ruote. Una volta, la massima Autorità in materia di compensi televisivi era la Carrà (anch’ella ex comunista). Ora il fiorentino dallo sguardo spiritato – come Rasputin e La Russa – polverizza i suoi record in materia di “compensi”. Ciò malgrado, la Schlein presenta i propri seguaci come i dissidenti sotto il Comunismo, o gli esuli del Risorgimento e dell’Antifascismo. I quali vivevano invece molto poveramente, come abbiamo appreso dalle nostre memorie familiari. Ciascuno ha gli eroi che si merita. L’ultimo dei Savoia nati sotto la Monarchia ha scelto come sepoltura Superga, preferendola alle numerose altre tombe di famiglia: ce n’è una perfino a Cagliari. Essendo precluso al nonno ed al padre, e quindi anche a lui, il Pantheon - la Comunità Israelitica di Roma non vuole che tale onore venga concesso a chi si rese corresponsabile delle “Leggi Razziali” - il Principe poteva preferire l’Abbazia di Altacomba, ove riposano i genitori, oppure il Santuario di Vicoforte, che ospita le soglie dei nonni. Dopo un braccio di ferro con le Autorità della Repubblica, disposte ad accoglierle in Italia ma ben decise a negare una sepoltura a Roma. Se comunque fosse stata scelta la Capitale, il Casato si sarebbe riconnesso con un momento della sua vicenda storica che aveva causato paradossalmente due conseguenze negative: una per gli Italiani, ed una per i suoi discendenti. Come ha giustamente ricordato su “La Stampa” (per l’appunto di Torino) il Professor Cardini, uomo non certo sospetto di simpatie per la cosiddetta “Sinistra”, l’Unità venne realizzata nel modo più sbagliato, imponendo il centralismo. Che comunque è di origine giacobina, e non napoleonica, come afferma erroneamente l’illustre studioso. Questo modello mortificava due caratteristiche connaturate con il “Bel Paese”: essere la Nazione delle “Cento Città” e comprendere diversi Stati Regionali, ciascuno dei quali aveva svolto la stessa funzione storica propria altrove delle grandi Monarchie dell’Europa. I Savoia, mettendosi a capo di uno Stato centralistico – il Fascismo avrebbe in seguito esasperato tale orientamento – si alienarono peraltro dalla propria radice regionale. Di cui ora vanno in cerca: alcuni facendosi seppellire nel Basso Piemonte, dove il sentimento monarchico è ancora molto radicato, altri - come già Amedeo d’Aosta - a Torino. Questa Città ha perduto, con il trasferimento della Casa Regnante, la propria funzione, e soprattutto la propria identità. Il Sindaco non sarà presente al funerale, mentre il più sottile Diego Novelli – uomo di formazione togliattiana (anche il “Migliore” era torinese) – aveva ricevuto con tutti gli onori Marina Doria prima ancora che potesse rientrare in Italia il suo Consorte. La FIAT ha inutilmente tentato di sostituire i Savoia, ed ora – constatato il fallimento di questa operazione – lascia addirittura l’Italia. Il momento è dunque propizio per rialzare la bandiera regionale: che fu dei Savoia fino al 1848 e che anche oggi è quella del Piemonte. I suoi coloro verranno riprodotti nei fiori scelti per addobbare il Duomo. Un coro valdostano eseguirà l’Inno Sardo, scritto per l’appunto in lingua regionale. Omaggiando così implicitamente due identità un tempo riferite per l’appunto ai Savoia, ed ora – perduto questo ancoraggio – divenute inevitabilmente separatiste. Il Professor Boschiero, il quale ha assunto le funzioni di “Maitre à penser” del “milieu” monarchico, si dedica - redigendo ponderosi trattati di Storia – ad una sua falsificazione: l’illustre studioso afferma infatti che i Savoia avevano l’intenzione – non si capisce però chi l’abbia frustrata – di rispettare le identità regionali, regnando sui “popoli” dell’Italia come gli Asburgo sui “popoli” dell’Impero. Mancano completamente i necessari riscontri documentali, ma quanto conta è che il Casato colga la tendenza – in atto in tutta l’Europa Occidentale – a riferire l’identitarismo alle Regioni. Assisteremo ad una alleanza inedita tra ex centralisti sabaudi e separatisti? È ancora presto per dirlo. Possiamo tuttavia constatare come la Repubblica, ripudiando fin dal suo atto fondativo il pensiero di Cattaneo, ha ripetuto l’errore compiuto dai Savoia nel 1861: “Perseverare diabolicum”. Il Governo Meloni – similmente a quanto fece il Fascismo subentrando lo Stato liberale - sta portando questo errore alle estreme conseguenze. Il Governo sarà assente da Torino, ma vi si riuniranno i rappresentanti delle Case Rali di tutta l’Europa. Tra cui gli Asburgo: Otto, figlio di Carlo, ultimo Imperatore, fu protagonista - fino al trionfo nel 1989 – della nuova Indipendenza delle Nazioni un tempo sottoposte ai suoi antenati. La Messa verrà celebrata dal Cardinale Segretario di Stato di Sua Santità, cioè dell’ultimo Sovrano regionale rimasto tale in Italia dopo l’Unità. Una sorta di ampliamento della Città del Vaticano venne postulato a suo tempo, con un articolo su “Avvenire”, da Monsignor Georg Gaenswein, Segretario di Benedetto XVI: questo Pontefice era sua volta molto legato con i Wittelsbach. L’Alto Prelato, studioso del Diritto, proponeva una sovranità compartita su Roma, che potrebbe però essere stabilita solo mediante un atto rivoluzionario. Sua Eminenza Parolin è stato insignito da Vittorio Emanuele del Collare dell’Annunziata, il che gli conferisce il rango di “Cugino” del Pretendente al Trono. Se Umberto II volle essere sepolto con i Sigilli del Regno, suo figlio trasmette il compito di perpetuare le cause monarchiche – è d’obbligo l’uso del plurale – al Papa, il quale ha già ereditato la Sacra Sindone. Ci sarà naturalmente anche Carlo di Borbone – Napoli, Duca di Castro, Pretendente al Trono delle Due Sicilie: i Savoia non vogliono ripetere lo sgarbo inflitto ai loro cugini (in questo caso di sangue) per il tramite di Garibaldi. Voltata la pagina dell’Unità, si riapre quella dell’Italia delle Regioni.