C’è una pagina dei Promessi Sposi che descrive l’atteggiamento delle Autorità milanesi di fronte all’insorgere della peste: dapprima completamente negato, poi nascosto sotto la perifrasi di “febbri pestilenziali”, ed infine dichiarato quando era ormai troppo tardi per fermare il contagio.
Le notizie sull’Ucraina dicono che la guerra – per la prima volta dal 1945 – si sta avvicinando sempre di più all’Occidente.
Quanto manca, alla nostra classe dirigente, è la capacità di mobilitare la popolazione, o quanto meno di darle coscienza di un pericolo che già di per sé esige l’osservanza di una disciplina collettiva a cui non siamo più abituati,
Se è vero che l’epidemia è stata la prova generale della guerra, una sorta di grandi manovre svolte per saggiare l’atteggiamento ed il comportamento delle persone, in quell’epoca le Autorità si sono comportate in modo contrario rispetto a quello in cui agiscono attualmente.
Allora il pericolo venne, se non inventato, quanto meno esagerato, drammatizzandolo oltre misura: ora, invece, pur risultando evidente e reale, si tende invece a sminuirlo, se non a negarlo.
Risulta esemplare, al riguardo, quanto accaduto con la dislocazione delle truppe di molti Paesi dell’Occidente: prima sono state mandate, poi si è data alla mobilitazione una veste giuridica, confezionata “ex post” e riferita ad una eventualità che tuttavia veniva negata.
Ci fu un tempo in cui la partenza dei soldati per la guerra avveniva tra applausi e gli squilli di fanfara.
Nella nostra Città, come in tutta Italia, il Fascismo reclutò “volontari” per la Guerra d’Etiopia: si trattava in realtà di poveracci, che dovevano accontentarsi – pur di sfamare la loro famiglia – del misero soldo corrisposto a dei soldati di ventura.
Avvenne così che i partenti fossero salutati alla stazione dai gerarchi, come sempre tronfi, e dalle madri piangenti.
Quando queste povere donne si accorsero che uno dei locali dirigenti del Fascio, dopo essersi prodigato per convincere i loro figli ad arruolarsi, si era ben guardato dal prendere il treno, lo aggredirono.
L’attuale regime si mette al riparo da simili infortuni, sia evitando di pubblicizzare l’intervento – che viene anzi dissimulato – sia pagando molto meglio i nostri militari di carriera.
La cui dissociazione, come quella di tutti i vari alleati “atlantici”, è tata rivelata da una mappa postata su Internet dai Servizi Segreti della Russia.
I quali sono riusciti ad intercettare perfino una conversazione di argomento bellico tra Scholz ed i suoi Generali: venire informati su quanto avviene in Ucraina, disseminata di agenti doppi, favoriti dalla comunanza della lingua, deve essere risultato dunque estremamente agevole per le spie del Cremlino.
C’è una pagina dei Promessi Sposi che descrive l’atteggiamento delle Autorità milanesi di fronte all’insorgere della peste: dapprima completamente negato, poi nascosto sotto la perifrasi di “febbri pestilenziali”, ed infine dichiarato quando era ormai troppo tardi per fermare il contagio.
L’opinione pubblica occidentale, disabituata alla guerra, non è neanche capace di decifrare l’autentico significato delle notizie che pure vengono ufficialmente diffuse.
I beni sequestrati tanto allo Stato russo quanto ad alcuni suoi cittadini, colpiti dalle sanzioni “uti singuli” per la loro vicinanza al Cremlino, verranno espropriati.
Anche se non si è ancora deciso che cosa farne: c’è chi suggerisce di darli all’Unione Europea, e chi invece propone di intestarli all’Ucraina affinché li usi come garanzia per l’emissione di titoli del suo Debito Pubblico, altrimenti molto difficili da piazzare.
Questa misura risulterebbe illegale – in base al Diritto Internazionale – anche in tempo di guerra, quando i cosiddetti “beni nemici” vengono affidati ad una apposita “Custodia”, in attesa che i successivi Trattati dispongano la loro destinazione.
Quelli appartenenti a cittadini inglesi, molto ingenti nella nostra Provincia, dovettero essere restituiti dopo il 1945 con molte scuse e con adeguato indennizzo.
I Paesi vincitori invece li incamerano, ma solo in conformità con i Trattati di Pace.
Quanto viene attualmente disposto non si giustifica nemmeno in base ad una dichiarazione di guerra, che naturalmente non è mai stata consegnata agli Ambasciatori.
L’ultimo conflitto dichiarato fu d’altronde quello che si concluse nel 1945.
Nel caso attuale, non sono stati neanche rotti i rapporti diplomatici.
Viene intanto annunziata la chiusura dell’oleodotto che rifornisce, passando per l’Ucraina, l’Europa Occidentale.
La prospettiva di passare l’inverno al freddo è però attenuata dalla circostanza che siamo già in primavera.
In questo caso, almeno, non si violeranno le norme, dato che il corrispondente Trattato scade il 31 dicembre, e dunque basta non rinnovarlo.
Per quanto riguarda invece gli espropri, l’Unione Europea si appella al classico “à la guerre comme à la guerre”.
C’è dunque da aspettarsi che la Russia risponda in modo “asimmetrico”, colpendo le comunicazioni elettroniche, e dando la colpa ad ignoti malfattori.
Da parte nostra, introduciamo le misure tipiche dell’economia di guerra, cercando però di far credere che la guerra non ci sia.
Non è certamente questo il miglior modo per garantire la tenuta del fronte interno.
Churchill promise agli Inglesi “lacrime, sangue e sudore”, e vinse proprio per aver dato ai suoi concittadini la piena coscienza dei motivi per cui erano chiamati a sacrificarsi e a combattere.
I Russi agiscono in modo completamente diverso dal nostro, mobilitando i sudditi per degli obiettivi certamente non condivisibili: ciò che conta – ai fini dell’esito del conflitto – è però che siano condivisi da loro.
La Grande Guerra, iniziata come la Quarta Guerra Balcanica, cioè come un altro degli scontri regionali di quella zona, che fino allora erano rimasti circoscritti, divenne mondiale nel momento in cui la Russia la dichiarò alla Germania.
Nelle scorse ore, l’Ambasciatore tedesco a Mosca è stato convocato dal Ministro degli Esteri.
Pare gli sia stato comunicata una Nota, ed in genere lo Stato che emette questi documenti li rende pubblici.
Nell’attuale circostanza, si sa soltanto che il diplomatico è uscito molto rabbuiato dal colloquio, senza dire nulla ai giornalisti in attesa.
Perché la Russia ha scelto proprio la Germania per manifestare il suo punto di vista sulla situazione?
Le truppe occidentali presenti in Ucraina vengono da molti Paesi, tra cui anche l’Italia.
Lavrov ha detto che la Germania non è ancora abbastanza “denazificata”.
Si tratta della stessa motivazione usata per invadere l’Ucraina.
Anche qui, siamo nella logica di una guerra già iniziata: la memoria collettiva dei Russi non può essere riferita ad una invasione da parte del Belgio.
Il ricordo della “Operazione Barbarossa” è invece in grado di mobilitare un Paese che ha dato sempre le sue migliori prove quando era – o si considerava – aggredito.
Si può obiettare che le truppe tedesche non stanno avanzando su Mosca.
Tra la Russia e la Germania non c’è però solo il ricordo del 1941: tutta l’immensa area che si estende tra l’Oder – Neisse ed il Don è ormai compresa nella sfera di influenza di Berlino o, meglio, di quella parte della Germania Occidentale in cui è situato il centro dell’economia europea.
Quello che non riuscì ad Hitler con il suo “lebensraum”, conquistato con la forza, è riuscito invece pacificamente agli industriali ed ai banchieri di Francoforte.
La Germania e la Russia hanno paradossalmente delle economie complementari, che – nella visione della tedesca orientale Merkel – erano destinate ad integrarsi.
Quanto avviene non ha dunque una spiegazione economica: come d’altronde non la ebbe l’invasione iniziata da Hitler.
Mitterand disse, in un famoso discorso al Parlamento di Strasburgo, che per l’Europa il nazionalismo significa guerra.
Ed è appunto il nazionalismo che si è risvegliato dopo la caduta del Muro.
Noi non sappiamo come si svolgerà la guerra, né quali saranno le sue conseguenze.
Chi avrebbe potuto prevedere, il 28 giugno del 1914, quale sarebbe stata la mappa dell’Europa quattro anni dopo?
Sappiamo però che l’unico possibile antidoto al nazionalismo proprio dei grandi Stati, basato sulle loro identità convenzionali ed imposte, è costituito da una parte dall’ideale sovranazionale dell’Impero Europeo, dall’altra parte dall’affermazione delle entità regionali.
Se un giorno la Liguria si svegliasse senza più comunicazioni telefoniche, aeree, ferroviarie, autostradali e soprattutto elettroniche con Roma, in quel momento risorgerebbero – per effetto della necessità, e non di una scelta deliberata – la Repubblica di Genova e la Contea di Nizza.
“Ab chaos, ordo”: a noi piace immaginare un nuovo ordine dell’Europa prodotto dalla frammentazione dei soggetti che esistono attualmente.
Tanto più in quanto sono trascinati verso una guerra di cui i loro dirigenti non sanno definire né le motivazioni, né gli obiettivi.

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Mario Castellano  06/3/2024
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