Il primo Stato “socialista”, in quanto assunse il controllo diretto di tutte le attività produttive, non fu la Russia bolscevica, bensì la Confederazione Sudista...
Il primo Stato “socialista”, in quanto assunse il controllo diretto di tutte le attività produttive, non fu la Russia bolscevica, bensì la Confederazione Sudista: la quale dovette affrontare la prima guerra industriale della storia senza che sul suo territorio – come ben sa chi ha visto “Via col Vento” - esistesse una sola fabbrica di cannoni.
Con quali prospettive la Confederazione adottò una simile misura?
Unicamente con l’intenzione di preservarsi, e cioè di mantenere il sistema economico basato sulla schiavitù.
Venendo meno la quale, l’economia del Sud avrebbe cessato di esistere.
Paradossalmente, e semplificando all’estremo il discorso, potremmo dire che da una parte gli Afroamericani vennero mantenuti nella loro condizione servile, ma dall’altra parte anche i cittadini con la pelle bianca furono posti – “de facto”, se non “de jure” – sul loro stesso livello.
Questo precedente viene in mente apprendendo i contenuti del “Documento Economico e Finanziario” emanato dal Governo Meloni.
Che fa giustizia, a breve distanza dal suo insediamento, delle “magnifiche sorti e progressive” annunziate per l’Italia dalla propaganda della Maggioranza.
Senza peraltro che l’Opposizione – al di là della facile constatazione della assoluta mancanza di prospettive risultante dal “Documento” – sappia denunziare le conseguenze pratiche ed imminenti di tale situazione.
I “D.E.F.” che si sono succeduti da molti anni a questa parte - e che costituiscono una sorta di preannunzio del Bilancio Preventivo, in quanto computano le prevedibili entrate ed uscite - sono di due categorie: quelli che si limitano a fotografare la situazione e quelli che indicano il da farsi.
Alla prima categoria appartengono i “Documenti” approvati dai Governi appena entrati in carica, che non hanno ancora potuto decidere al riguardo, e quelli emanati dagli Esecutivi in procinto di uscire di scena: i quali logicamente lasciano ai loro successori l’emanazione di misure sempre foriere di delusione e di malcontento.
IL “D.E.F.” di quest’anno è di questo tipo, malgrado il Governo sia ormai insediato da tempo e non sia certamente prossimo ad una uscita di scena.
Tanto più in quanto il panorama politico non sembra offrire nessuna alternativa.
Da una parte occorreva rispettare le scadenze imposte dalla Legge, ma dall’altra parte si era costretti a rinviare le scelte.
Non si poteva comunque nascondere la realtà: l’abisso del debito pubblico, aggravato dai “bonus” che lo Stato si è impegnato a pagare a causa della demagogia dei suoi governanti, non può essere compensato dal gettito fiscale.
Che è destinato a diminuire in quanto la contrazione dei guadagni prosciuga il cosiddetto “imponibile”.
Si possono naturalmente emettere nuovi titoli del credito pubblico: in tanto però si riuscirà a piazzarli sul mercato in quanto si innalzeranno i tassi di interesse.
Aggravando così quello stesso debito che lo Stato cerca di tamponare facendosi imprestare dei soldi.
Ne deriva che il Governo tace su come intende fare fronte alla situazione, simile ad un medico che diagnostica nel paziente una malattia gravissima, ma non ha la minima idea sulla terapia da applicare.
La Meloni rimane dunque nell’attesa – ingannata dalle sue sempre più frequenti apparizioni propagandistiche – di un “deus ex machina” che intervenga per toglierla dai pasticci.
Questo “deus ex machina” non tarderà più a lungo, essendo costituito dall’aggravamento di una o di entrambe le guerre che si combattono sulla porta di casa nostra: quella dell’Ucraina e quella del Medio Oriente.
La quale ultima ci coinvolge direttamente con il blocco del Mar Rosso: dove gli “Huthi” ci tengono a far sapere che hanno colpito delle navi della MSC.
Se anche volessimo far finta di non accorgerci delle legnate ricevute, il nemico ci provoca rendendole di pubblico dominio.
In realtà, a prescindere dalla nazionalità del naviglio bersagliato dai moderni pirati, dobbiamo comunque fare i conti con la chiusura dei traffici internazionali marittimi.
Sempre in Medio Oriente, si attende da un momento all’altro la risposta dell’Iran all’azione israeliana su Damasco, che innescherà inevitabilmente una spirale di ritorsioni tale da coinvolgere nella guerra tutta quanta la zona: le conseguenze sull’approvvigionamento delle materie prime sono facilmente prevedibili.
C’è infine l’Ucraina, dove la presenza delle truppe occidentali – e dunque anche di quelle italiane – propiziata dagli accordi bilaterali dei vari Stati con il Governo di Kiev, attende soltanto di essere dichiarata.
La Germania ha dislocato ufficialmente un contingente in Lituania, da dove il suo spostamento verso il teatro di guerra è questione di poche decine di chilometri.
Probabilmente, lo sfondamento del fronte porterà a dichiarare una sorta di “linea rossa”, superando la quale la Russia rischierebbe lo scontro diretto con l’Occidente.
Se questo non causerà un conflitto mondiale, ci precipiterà comunque in una situazione in cui si dovranno attuare tutte le misure proprie precisamente di una economia di guerra.
Questo toglierebbe la Meloni dal pasticcio in cui si è cacciata.
Il punto di rottura della nostra crisi finanziaria non è il fallimento dello Stato, dal momento che gli Enti Pubblici non possono andare in bancarotta, ma la situazione in cui il deficit non permetterà più di mantenere il suo Esercito: che non è costituito dalle Forze Armate, ma dall’insieme dei dipendenti pubblici e dei pensionati.
I quali forniscono al sistema la base del suo consenso.
Una volta arrivati a questo estremo, si possono scegliere due strade.
Una delle quali consiste nel violare i principi costituzionali del diritto acquisito e della inamovibilità dei dipendenti pubblici, togliendo le pensioni e licenziando gli Statali.
La Grecia, al culmine della sua crisi economica, fece precisamente questo, ma all’epoca le Autorità di Atene non potevano contare sull’opportunità costituita dallo scoppio di una guerra.
L’altra opzione consiste paradossalmente nell’arruolare nell’Esercito di cui abbiamo parlato anche quanti non ne fanno parte.
Il che significa né più né meno che una militarizzazione generalizzata.
Come quella che permise a Hitler di risanare a suo modo l’economia tedesca.
Tale obiettivo non fu raggiunto però soltanto con il riarmo e l’arruolamento di massa, ma anche con il rilancio dell’industria bellica.
A quest’ultima misura, nell’Europa di oggi, si può ricorrere solo in una misura del tutto insufficiente per risolvere il problema.
Non rimane dunque che un inquadramento generale nei percettori di un rinnovato miserabile Reddito di Cittadinanza, accompagnato da misure restrittive dei diritti civili, atte a garantire la disciplina collettiva.
L’apparato normativo necessario per la bisogna è già stato sperimentato con l’epidemia, ed in parte – pensiamo al “Decreto Rave Party”, che sottopone il diritto di riunione all’assoluto arbitrio delle Autorità di Polizia – permane in vigore.
Immaginiamo che a Palazzo Chigi si scrutino ansiosamente i dispacci di agenzia, nell’attesa di un attacco degli Ayatollah, ovvero di una Caporetto dell’Ucraina.
A questo punto, scatterà l’Ora X.

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Mario Castellano  15/4/2024
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