Il Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Torino, ...
Il Magnifico Rettore dell’Università degli Studi di Torino, Capitale del primo Stato italiano che abolì il regime confessionale, estendendo in seguito questa acquisizione al resto dell’Italia, si è reso inconsapevolmente protagonista della sua restaurazione.
Per la prima volta dalle Leggi Siccardi, risalenti al lontano 1855, in un Ateneo del Piemonte si è celebrata una funzione religiosa.
Non già seguendo la liturgia del culto cattolico, bensì quella del culto islamico.
L’Imam di una delle numerose Moschee cittadine non si è limitato a presiedere la preghiera, bensì ha pronunziato una “hutba” – cioè, una predica, o sermone – al cui confronto i discorsi del suo collega dei Piani risultano moderati.
Secondo questo autorevole esponente della religione musulmana, il dovere di ogni credente consiste nel partecipare al “Jihad”, che si combatte attualmente a Gaza.
Invitiamo il nostro concittadino “Mohammed” Bensa a prenderne nota, ed a trarne le conseguenze: recandosi in Palestina, data che a Palazzo Nuovo non potrebbe presentarsi nemmeno come il più anziano degli studenti “fuori corso”.
Il Magnifico Rettore ha invocato tartufescamente il fatto che non poteva impedire questa manifesta violazione del principio della laicità dello Stato in quanto l’Università – essendo occupata – si trova al di fuori del suo controllo.
La Polizia non è in grado a sua volta intervenire, essendo prescritta a tal fine una esplicita richiesta dell’Autorità Accademica.
La celebrazione di un atto di culto non costituisce di per sé un reato, ma risultano tali la Occupazione di un Edificio Pubblico, l’Interruzione di un Pubblico Servizio e soprattutto la Turbativa dell’Esercizio di Funzione Pubblica.
Cui si è assistito quando i filopalestinesi hanno fatto irruzione nel Senato Accademico, costringendolo ad emettere un atto amministrativo da loro dettato: all’elenco si aggiunge dunque la Violenza Privata.
Essendo occupato anche il Politecnico, e temendo che il Rettore non chiamasse la Forza Pubblica per impedire una replica dell’atto di culto, la Questura è ricorsa ad un curioso “escamotage”, diffidando l’Imam dal presiederlo.
In tal modo, non sarà necessario fare irruzione nella sede del Valentino qualora il Rettore si astenga dal richiederlo.
Salvo naturalmente che l’Imam – non essendo fisicamente impedito a recarvisi – compia ugualmente quello che considera il suo dovere.
Nel qual caso vedremo se l’Autorità di Polizia Giudiziaria procederà alla conseguente denunzia, e se si arriverà ad una sentenza penale di condanna.
Davide Piccardo, figlio di “Hamza” Piccardo, storico Imam di Imperia, afferma che non c’è nulla di male a pregare, e che l’Imam di Torino non è incorso nel reato di Minacce.
Che nessuno, peraltro, gli ha contestato, ed è comunque perseguibile solo a querela di parte.
Si potrebbero forse configurare l’Istigazione a Delinquere e l’Apologia di Reato, ma in tal caso la Giustizia Penale sarebbe intasata da procedimenti a carico di quasi tutti i predicatori delle nostre Moschee.
I quali esaltano i fatti del Sette Ottobre come un glorioso episodio della Resistenza palestinese, araba e soprattutto islamica, incitando i fedeli ad emularli.
“A la guerre comme à la guerre”: è inutile sciorinare tutta la casistica penale di fronte ad un fenomeno che avevamo previsto, e che appare ormai inarrestabile.
La guerra si è ormai spostata dal Medio Oriente all’Europa e minaccia di divenire non soltanto guerreggiata – fino ad ora, per fortuna, le occupazioni non hanno causato spargimenti di sangue – assumendo per giunta le caratteristiche di un conflitto nel quale non vi può essere vittoria strategica.
Salvo, naturalmente, la prospettiva apocalittica di una conquista islamica dell’Europa Occidentale.
Che comunque viene anch’essa postulata da numerosi predicatori musulmani.
Un particolare interessante della vicenda è rappresentato dal fatto che l’Imam di Torino ha detto di essere stato invitato dagli studenti universitari suoi correligionari.
Non sappiamo se costoro siano tutti allogeni, o figurino già tra essi dei convertiti.
Questo è un problema che riguarda la coscienza individuale, mentre ha valenza politica il fatto che anche gli studenti di altra fede o di nessuna fede accettino l’egemonia dei loro colleghi musulmani.
Tale circostanza – che non riguarda soltanto l’Italia, ma l’intero Occidente, Stati Uniti compresi – dovrebbe fare riflettere la Meloni, ma ancora di più la Schlein.
La Presidente del Consiglio si erge a campionessa dell’identità italiana e di quella cristiana.
Si dà però il caso che la sua concezione dell’Italia prescinda dalle differenze regionali, considerate alla stregua di degenerazioni cui bisogna porre rimedio.
Come si deve porre rimedio – sempre ad avviso della Meloni – a quanto avvenuto dal Venticinque Luglio fino al momento della sua assunzione del potere, e cioè il tentativo di costruire un Paese democratico.
Quanto alla concezione del Cristianesimo, riteniamo rivelatore il fatto che la Meloni abbia organizzato – naturalmente a spese dello Stato – una costosa mostra su Tolkien, suo Autore preferito ed ispiratore ideologico.
Il popolare scrittore inglese idealizza un Medio Evo paganeggiante, dove i miti celtici prevalgono sull’eredità spirituale di San Benedetto.
Il quale – come dice il motto latino – “dilexit montes”: non soltanto perché vi cercava rifugio dalle invasioni barbariche, ma in quanto sulle loro sommità esistevano in precedenza dei santuari pagani, che il Padre del Monachesimo Occidentale sostituiva con i suoi Monasteri.
Se l’identitarismo della Meloni è in buona sostanza immaginario – il che lo rende vulnerabile ad una valutazione storiografica seria – quello della Schlein presenta un difetto peggiore: non esiste.
La Signora elvetico – germanico – statunitense è un prodotto del cosmopolitismo tipico delle Organizzazioni Internazionali – tanto governative quanto non governative – composte da “déracinés”.
I quali non sono neanche in grado di capire che cosa sta succedendo nel mondo.
Per cui i loro funzionari – tipico il caso della Boldrini – finiscono per andare al traino dell’una o dell’altra identità in conflitto.
È indubbio che quello islamico sia la quintessenza del “terzomondismo”, e non risulta casuale che Hamas abbia preso la testa del cosiddetto “Sud Globale”.
L’islamismo finisce dunque per assumere la guida del vecchio ecumenismo, coronando una operazione non riuscita a suo tempo ai Comunisti sovietici.
I quali erano rimasti in ostaggio del loro materialismo, che impediva di cogliere le motivazioni spirituali.
La Meloni si arrocca invece in difesa dell’Occidente Cristiano.
Per cui il conflitto finisce per contrapporre due diversi confessionalismi, “l’un contro l’altro armato”.
In attesa di vedere chi vince, i superstiti fautori della laicità dello Stato si comportano come il Rettore di Torino, ispirato da don Abbondio, “vaso di coccio tra vasi di ferro”.
Intanto, dall’Italia si continua a scappare: non tanto perché ci si considera perseguitati politici, bensì perché il Paese è sempre più “terzomondizzato”, nelle sue espressioni sociali come in quelle culturali.
L’intellettualità occidentalizzata si muove verso il Nord, lasciando anche quei Paesi dove il regime non si conforma ancora con ideologie totalitarie.
Che pervadono comunque la società, più ancora dello Stato.
Gli studenti islamizzati, a Nuova York, a Parigi o a Torino, dimostrano di avervi già aderito, dando a questa tendenza una espressione politica.
Per cui la si può reprimere, ma non la si può sradicare.

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Mario Castellano  27/5/2024
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