Se la Signora Meloni non avesse intrapreso la carriera politica...
Se la Signora Meloni non avesse intrapreso la carriera politica, si sarebbe dedicata – con altrettanto successo – a quella dello spettacolo.
Che costituisce tuttavia il suo “violon d’Igres”, a giudicare dai siparietti – degni del leggendario “Ambra Jovinelli” – con cui inframmezza i comizi, esibendosi nell’imitazione della gente “de Sinistra” di Roma.
Un altro suo numero è costituito dalle smorfie facciali, che esprimono un’ampia gamma di stati d’animo.
Se con Biden vengono esibiti i più smaglianti sorrisi (chissà però come la Presidente del Consiglio accoglierebbe Trump, a lei ben più affine), quando la Signora Meloni deve confrontarsi con Macron gli fa il cosiddetto “viso dell’armi”.
Tale atteggiamento è dovuto alla scelta in favore della Le Pen, ma soprattutto al declino inesorabile del Presidente della Francia: confermando il proverbio cinese secondo cui si deve bastonare il cane che annega.
L’atteggiamento ostile nei confronti dell’inquilino dell’Eliseo non è comunque soltanto un prodotto del notorio opportunismo italiano, che ci spinge a simpatizzare sempre e comunque con chi vince.
Macron ha introdotto nel rituale del Gruppo dei Sette una variante che ha rovinato il clima festoso della “kermesse”.
Quale peraltro accomuna tutti questi incontri, tanto solenni quanto ripetitivi ed inconcludenti.
“Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”.
Mentre nel “resort” si conversa amabilmente, sui campi di battaglia del Donbass, di Gaza e del Sud Libano ci si confronta con le armi, stabilendo quei rapporti di forze che i “Vertici” possono soltanto registrare.
Va tuttavia dato atto a Macron di avere introdotto nelle sessioni “di lavoro” (?!)  un motivo reale di confronto, sia pure al prezzo di rompere l’unanimismo di facciata: fino al punto di sfiorare l’incidente diplomatico.
In tali sedi, infatti, è ormai vietato discutere: al punto che chi tenta di farlo viene scambiato per un maleducato.
Tutti i mezzi di informazione hanno riferito che il Presidente voleva inserire nella dichiarazione finale un riferimento all’aborto, ma questa proposta – oltre ad essere respinta dalla Meloni – è stata considerata inopportuna e provocatoria dalla delegazione italiana.
In realtà, l’interruzione della gravidanza è materia riservata alla legislazione interna di ciascuno Stato, e neanche l’Unione Europea – la quale, a differenza dei Gruppo dei Sette, costituisce una Organizzazione Internazionale - ha voce su questo tema.
Quanto il “Vertice” può affermare è viceversa l’impegno a tutelare e ad estendere i diritti individuali: che riguardano naturalmente anche la sfera dei rapporti sessuali, intesi nel senso più ampio.
La regolazione di questa materia costituisce però un punto di inevitabile frizione tra la concezione laica e quella confessionale dello Stato.
Il legislatore deve decidere infatti se rispettare o trasgredire il precetto specifico delle diverse religioni.
Poiché non risulta possibile alcuna abrogazione – e neanche alcuna restrizione – dalla facoltà di ricorrere all’interruzione volontaria della gravidanza, la scontro si sposta sul terreno dell’orientamento espresso dai soggetti pubblici incaricati di assistere le donne che intendono fare ricorso a questa pratica.
I quali – attraverso i loro organi – possono tanto incoraggiarla quanto scoraggiarla, quanto più correttamente presentarla come una delle possibili opzioni.
Senza naturalmente privilegiarla, come ha fatto la Regione Liguria, la quale non tiene minimamente conto né del principio del “favor vitae”, insito nello stesso Diritto Naturale, né degli esiti traumatici dell’aborto sulla persona della donna; o per contro demonizzarla, come viceversa avviene quando la consulenza è affidata a soggetti ispirati da uno specifico precetto religioso.
Quanto in sostanza Macron intendeva riaffermare era una estrinsecazione del principio della laicità dello Stato.
La Meloni è invece una confessionalista, e – quanto più conta – deve ispirare la sua azione di Governo in conformità coi criteri propri di chi, condividendo questo orientamento, ha fortemente contribuito alla sua elezione: e di conseguenza estende la propria presenza nel campo della Sanità e dell’Istruzione Pubblica.
Con modalità sulla cui illegittimità ci siamo già ampiamente soffermati.
Si ripete una costante nei rapporti storici con la Francia, iniziata fin da quando le truppe della Repubblica – tra cui era presente il giovane Capitano Bonaparte – intrapresero la Prima Campagna d’Italia.
La nostra Città fu tra le prime dove le idee portate da oltralpe cominciarono a mettere radici.
La scontro tra i “Giacobini” – come venivano chiamati i fautori nostrani della Rivoluzione – ed i Sanfedisti riguardò un poco tutto il territorio italiano, essendosi verificati dovunque fenomeni di insorgenza contro l’occupazione.
Esso ebbe però il suo culmine nelle vicende della Repubblica Partenopea, e nella tragedia di una guerra civile in cui si fronteggiarono un ceto intellettuale illuminista ed una plebe – quella dei “Lazzari”, guidati dal Cardinale Ruffo di Calabria – fedele alla propria identità religiosa.
Che cosa portò i “Martiri Partenopei” a farsi uccidere in un modo risultato sterile?
Essenzialmente il loro intellettualismo astratto, sia pure illuminato dall’idealismo e dal sacrificio.
La “Storia della Rivoluzione Napoletana” scritta dal loro unico sopravvissuto, cioè da Vincenzo Cuoco, dovrebbe essere riletta da ogni generazione di Italiani.
Tanto per evitare gli errori commessi allora quanto per prevenire i rigurgiti di una guerra civile tra laici e confessionalisti sostanzialmente mai terminata.
E che ora viene riattizzata dalla Meoni a beneficio del proprio potere, rinnovando anche l’accusa di esterofilia nei confronti dei propri competitori.
Ignorando che l’Illuminismo non fu soltanto francese, ma anche italiano.
E più precisamente napoletano, avendo trovato i propri campioni – fin dalla generazione precedente quella dei “Martiri Partenopei” – in uomini quali il Filageri, il Genovesi ed il Giannone.
Mitterand, quando venne per la prima volta in Italia da Presidente, scelse Napoli come meta del suo viaggio, nel ricordo di Gioacchino Murat.
Il quale aveva conformato l’Amministrazione del suo Regno ai principi enunciati da Montesquieu.
La Meloni ha invece immerso Macron in un ambiente di origine e di ispirazione sanfedista: l’Avvocato Tricarico, “patron” di Borgo Egnazia, essendo stato un erede del Cardinale Ruffo di Calabria più che di Mario e Domenico Pagano.
Era naturale che – dati questi presupposti – esplodesse in tutta la sua virulenza, fino al punto di non poter essere celato dalla diplomazia, il conflitto già latente tra la cultura politica mediterranea della Presidente del Consiglio e quella liberaldemocratica degli interlocutori europei.
La cosiddetta “Sinistra” non sembra però in grado di trarne beneficio.
Essa cade infatti ancora una volta nel vezzo intellettualistico che la induce a mobilitare contro il Governo non il popolo dei disoccupati, ma quello degli omosessuali.
Non, cioè, la maggioranza, ma una minoranza.
Proprio come avvenne nel 1799.
Chi si dimostra cosciente di questa antica dicotomia è il Papa.
Il quale, visitando anch’egli per la prima volta Napoli, seppe rivolgersi tanto ai suoi intellettuali, riuniti all’Università, quanto ai suoi popolati, che lo acclamavano in piazza.
Dicendo in sostanza che il progresso civile del Meridione – e dell’Italia – dipende dal superamento della loro contraddizione.
A Borgo Egnazia, Bergoglio – essendo stato invitato quale massimo rappresentante del cosiddetto “Sud Globale” – ha accusato l’Occidente di egoismo.
Questo egoismo ha due facce: quella espressa dal nazionalismo della Destra, che chiude le frontiere ai “Dannati della Terra”, ma anche quella manifestata dall’elitarismo della Sinistra.
La quale è incapace di vedere il problema sociale, e crede di surrogare la causa del riscatto dei ceti popolari con la tutela delle categorie cui si rivolge il suo “Partito Radicale di massa”.
Che ha così poca massa da non riempire nemmeno Piazza Santi Apostoli.
Con l’aggravante – rispetto al passato – che tanto il filone popolare, rappresentato dalle cosiddette “Plebi”, quanto l’ispirazione ideale dell’intellettualità illuministica sembrano entrambi esauriti.
Per dare nuova linfa al dibattito, occorre dunque guardare precisamente al Meridione del Mondo.

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Mario Castellano  20/6/2024
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