La Meloni aveva mandato a presenziare ed a parlare in sua rappresentanza, in occasione dell’ultima Festa Annuale degli Importatori di Selvaggina, celebrata a Monte Grande, nientemeno che Sua Eccellenza il Prefetto.
La Meloni aveva mandato a presenziare ed a parlare in sua rappresentanza, in occasione dell’ultima Festa Annuale degli Importatori di Selvaggina, celebrata a Monte Grande, nientemeno che Sua Eccellenza il Prefetto.
Il massimo rappresentante del Potere Esecutivo nella nostra Provincia affermò solennemente, in tale circostanza, chela valutazione del conflitto tra il Fascismo e l’Antifascismo costituiva ormai soltanto materia di indagine per gli storiografi.
Il sistema istituzionale vigente prescindeva infatti – secondo l’Alto Funzionario dello Stato – da tale contrapposizione.
Che la Meloni non condivida tale opinione, è risultato evidente da quanto la Presidente del Consiglio ha dichiarato ieri alla Camera.
Il Manifesto di Ventotene, redatto da due “azionisti” – Eugenio Colorni ed Ernesto Rossi – e da un ex comunista uscito dal Partito in dissenso con lo stalinismo, cioè Altiero Spinelli – ha costituito fino ad oggi o il fondamento ideologico della Sinistra libertaria, e più precisamente di un Socialismo aderente senza riserva ai principi della Democrazia Liberale.
Non a caso, i seguaci di Togliatti ne hanno sempre preso le distanze da questo documento, salvo poi aderirvi – in alcuni casi per convinzione, in altri per opportunismo – dopo la caduta del Muro di Berlino.
Quando si pose per costoro il problema di togliere in fretta e furia dal loro Panteon certe presenze ingombranti – a cominciare precisamente da quella del “Migliore” – sostituendole con altre, più consone al “Nuovo Corso”.
Estrapolare dal contesto del “Manifesto” quei passi in cui su riafferma l’opzione socialista dei suoi redattori, cioè la parte del documento che deve essere oggetto di una revisione, trascurando viceversa il suo nucleo essenziale - secondo cui l’Europa sarà democratica e federale o non sarà, come confermano puntualmente le vicende attuali del nostro Continente – significa compiere una operazione intellettualmente disonesta.
Anche la “Carta di Verona” postula la proprietà collettiva dei mezzi di produzione, ma la Meloni non l’ha mai espressamente rinnegata.
La posizione assunta dalla Presidente del Consiglio è comunque perfettamente allineata con la sua ispirazione ideologica.
Che - come abbiamo più volte sottolineato -considera come una degenerazione tutta la vicenda civile dell’Italia a partire dal Venticinque Luglio.
L’attuale Governo - o meglio, l’attuale Regime – si ricollega dunque con una sorta di mitica Età dell’Oro, cui avrebbe messo inopinatamente fine la congiura ordita da Dino Grandi insieme con il Generale Pietro Badoglio e con Vittorio Emanuele III.
Se tali sono le premesse, risulta logico che si metta in discussione anche il pensiero politico che ha ispirato l’Italia post-fascista.
Di cui il Manifesto di Ventotene costituisce una parte molto importante, ed anzi imprescindibile.
Ora la Meloni afferma che tutto l’Antifascismo perseguiva dei fini totalitari.
Questo risulta indubbiamente vero per quanto riguarda il Partito Comunista, anche se il pensiero di Gramsci – su cui varrebbe la pena svolgere in altra sede una riflessione più approfondita – si può definire totalitario nei fini, ma non nei mezzi.
Secondo la Meloni, comunque, lo sbocco inevitabile dell’evoluzione dell’Italia post-fascista sarebbe consistito in una dittatura.
Grazie al suo avvento, questo esito ci è stato risparmiato.
In realtà la vicenda civile dell’Italia negli ultimi ottantadue anni è stata piuttosto caratterizzata da un tentativo – per quanto velleitario e confuso, neanche privo di deviazioni criminali – volto, tuttavia, a costruire una democrazia.
La storia, notoriamente, non si fa con le ipotesi.
Avendo però partecipato - umilmente ma con piena convinzione - a questa vicenda, ci sentiamo di affermare che le contaminazioni totalitarie, portate dalla nefasta influenza dell’Unione Sovietica e del cosiddetto “Socialismo Reale”, erano ormai in via di completo superamento.
Se lo diciamo noi, che non perdiamo mai l’occasione per denunziare le nostalgie staliniane proprie del nostro “Partito delle Selvaggina”, crediamo ci si possa dare un minimo di credito.
Se anche comunque gli Antifascisti fossero stati dei fautori – in molti casi nascosti - del totalitarismo, che dire dell’attuale Governo quando espone alla completa discrezione dell’Autorità di Polizia il diritto di riunione?
Tutto ciò premesso, i Democratici che si stracciano le vesti per la diffamazione della memoria dei redattori del Manifesto di Ventotene avrebbero fatto meglio a non usare l’Antifascismo come foglia di fico per nascondere certe loro vergogno, come precisamente quelle della “Selvaggina”.
Se inoltre è vero che nelle cosiddette “Regioni Rosse”, per effetto di una eterogenesi dei fini, si è edificata una versione della Socialdemocrazia in grado di resistere all’ondata di Destra abbattutasi sull’Europa – dalla quale sono state travolte perfino quelle gloriose della Scandinavia – è tuttavia altrettanto vero che i tentativi di esportare questa esperienza in altre parti d’Italia, ciascuna delle quali esprime una propria identità diversa, irriducibile alle influenze forestiere – sono puntualmente falliti.
Riportando alla memoria quanto fecero i Piemontesi dopo l’Unità.
Da Bologna, nel clima euforico del Quindici Giugno del 1975 (una data che ricorda - vista in prospettiva storica -un altro dei grandi fallimenti nazionali – ci venne mandato un “Gauleiter”.
Il quale agì come corrotto e come corruttore, sostenendo la parte peggiore della” Sinistra” locale.
La cui adesione al tanto decantato “Modello Emiliano” non andò oltre la stipula dell’assicurazione, obbligatoria per i cacciatori.
Risparmiamo ai lettori, “per carità di Patria” - come si dice per l’appunto in Italia - il racconto del modo in cui è finita questa esperienza.
La Meloni, intanto, non regola soltanto i conti con l’Antifascismo, ma anche con l’Europa liberale e democratica, da cui si sente emarginata.
Su questo sentimento influisce certamente la percezione di essere trattata da “parente povera”, ma soprattutto il richiamo viscerale – insito nelle radici ideologiche del personaggio – verso le culture politiche del “Terzo Mondo”
Dove le tentazioni autoritarie non causano diffidenza, ma al contrario la simpatia spontanea di chi riconosce una reciproca affinità elettiva.
Forse però – ed anzi tutto fa pensare che vada a finire proprio in questo modo – i Signori di Bruxelles si tapperanno il naso, ma conferiranno alla Meloni il compito di svolgere il lavoro sporco consistente nel coinvolgere l’Italia nel “Riarmo Europeo”.
La cifra necessaria per raggiungere tale scopo risulta più o meno equivalente a quella depositata presso la Banca Europea in “Euro Digitali”.
Che non sostituiranno quelli cartacei, ma il cui impiego verrà reso progressivamente obbligatorio per tutta una serie di operazioni.
Incluse le transazioni commerciali, possibili solo se tanto il venditore come l’acquirente dispongono di somme in questa moneta.
I relativi depositi possono essere peraltro requisiti non già da Governi nazionali, bensì proprio da Bruxelles.
L’Italia è il Paese i cui cittadini ne dispongono in maggior misura.
Occorre però il benestare della Signora della Garbatella.
Che lo concede solo in cambio del riconoscimento del suo Regime.
Anche i Democratici italiani - sono per il Riarmo.
Aveva dunque ragione il Prefetto: le liti riguardano il passato.
Sul futuro, ci si può intendere.

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Mario Castellano  03/04/2025
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