Tra i molti contenziosi tra gli Stati Uniti d’America e l’allora Unione Sovietica, lasciati aperti dalla “Guerra Fredda”, c’era anche quello riguardante il Nicaragua.
Tra i molti contenziosi tra gli Stati Uniti d’America e l’allora Unione Sovietica, lasciati aperti dalla “Guerra Fredda”, c’era anche quello riguardante il Nicaragua.
Di cui soltanto studiosi si ricordano, trattandosi di una materia ormai da tempo rimessa alle loro ricerche.
In realtà, le Autorità di Washington non si curavano per nulla dell’orientamento ideologico assunto dai Sandinisti – i più colti dei quali si professavano marxisti – leninisti avendo letto qualche opuscolo di propaganda diffuso dall’Ambasciata della Corea del Nord (Paese prodigo anche nella fornitura di armi) – bensì del fatto che i “Consiglieri Militari” inviati da Mosca avessero attrezzato una base atta a ricevere i bombardieri atomici sovietici, collocata nella località di Punta Huete.
Si rinnovava così – rivelando l’esattezza di quanto detto da Marx a proposito della Storia, che ripete in farsa quanto era stato in origine rappresentato come tragedia – la famosa disputa sui “Missili a Cuba”.
Che aveva condotto il mondo sul bordo della guerra atomica.
Quando Bush Padre e Gorbaciov si incontrarono a Malta, il Presidente degli Stati Uniti ricordò al suo omologo l’opportunità di eliminare questo motivo di discordia.
Che venne regolato come un dettaglio nell’ambito di negoziati volti a regolare questioni ben più importanti.
Due funzionari sovietici di terzo ordine visitarono poco dopo Ortega, per annunciargli che tutta quanta la loro assistenza militare veniva revocata.
Essendo ormai in liquidazione il movimento ribelle anticomunista detto della “Contra”, gli ufficiali della Armata Rossa non avevano più materia sui cui “assistere” i loro colleghi nicaraguensi.
Perfino il Generale cubano che li affiancava si sarebbe presto imbarcato sull’ultimo volo della sua Compagnia di Bandiera diretto all’Avana.
Il cui ufficio a Managua venne frettolosamente chiuso anch’esso.
Gli unici biglietti staccati essendo stati dati in omaggio.
A questo punto, gli “ideologi” sandinisti cominciarono a vomitare lunghissimi editoriali su “Barricada”, Organo Ufficiale del Partito (di lì a poco chiuso anch’esso), in cui tacciavano Gorbaciov di “Revisionismo”.
Quando poi venne il tentativo di colpo di Stato ai suoi danni, costoro espressero la propria esultanza.
Che durò solo il tempo reso disponibile dalla differenza di fuso orario.
Il giornale che pubblicava la notizia della vittoria dei superstiti nostalgici del Comunismo era ancora in edicola già la radio annunziava il ritorno vittorioso di Gorbaciov.
Il Segretario Generale, definitivamente caduto di lì a poco. non avrebbe avuto comunque il tempo necessario per vendicarsi dei propri detrattori.
Sempre ammesso che gli articoli usciti sui giornali di Managua – che noi dovevamo diligentemente studiare ogni mattino – gli fossero stati “messi in evidenza”.
Il che risulta altamente improbabile.
In realtà, le ideologie del Novecento hanno indotto il vizio di trasferire nella disputa teorica le divergenze causate dalle contraddizioni tra gli interessi dei vari Stati.
Durante la lunga inimicizia tra Russi e Cinesi, ogni tanto i giornali occidentali si divertivano a contare gli ideogrammi dedicati dal “Quotidiano del Popolo” per confutare le tesi esposte sulla “Pravda: in alcuni casi, si arrivava a decine di migliaia.
Chi era di stanza a Pechino, doveva affrontare una fatica ben peggiore della nostra.
Il giornale fondato da Lenin rispondeva da parte sia con plumbei testi analitici non meno prolissi.
A beneficio esclusivo di chi lo usava per accendere il sigaro, o per l’igiene personale, essendo notoriamente scarsa nel Paese dei “Soviet” la carta igienica.
In realtà, anche il Partito Comunista Italiano costituiva un bersaglio degli ideologi del Cremlino.
I quali però non lo attaccavano direttamente, bensì affidavano questo compito ad alcuni Partiti “Fratelli”.
Tra cui si distingueva quello di San Marino.
Il quale aveva approvato l’invasione della Cecoslovacchia, e più tardi il colpo di Stato militare in Polonia.
Il Fronte Sandinista figurava tra i più solerti ed astiosi critici di Berlinguer.
In realtà, la polemica aveva radici lontane, come prova il fatto che a Managua era vietato perfino nominare Gramsci.
A questo riguardo, fummo nostro malgrado protagonisti di un episodio curioso.
Gli allievi del nostro primo corso di Diritto Amministrativo ci sollecitarono – in base alla nostra origine italiana - a svolgere qualche lezione sull’opera del pensatore di Ghilarza.
Invano tentammo di rifiutare, dal momento che avremmo violato le norme accademiche, non essendo incaricati di insegnare Storia delle Dottrine Politiche.
Premesso dunque che parlavamo in qualità di dilettanti, cercammo di spiegare – come potevamo - la teoria dell’Egemonia.
Solo da poco tempo eravamo riusciti ad allontanare dall’aula la funzionaria della Polizia Politica incaricata di controllarci – autorizzata perfino ad interromperci.
Alcuni degli allievi erano peraltro anch’essi notoriamente componenti della “Seguridad del Estado”.
Curiosamente, però, costoro risultarono tra i più interessati alle lezioni su Gramsci.
Segno che è difficile fermare la diffusione delle idee.
Il rappresentante a Managua delle Botteghe Oscure - tale Filippo Beltrami, inviato da Veltroni ma avente come referente Renato Sandri, e cioè in pratica Armando Cossutta – assecondò sempre non soltanto le posizioni ideologiche del Partito al potere, ma anche le manovre volte a destabilizzare tanto lo Stato italiano quanto la stessa dirigenza del suo stesso Partito.
Né risulta che “L’Unità” abbia mai ribattuto alle critiche rivolte ad esso da altri Partiti Comunisti.
Segno questo che Berlinguer & Soci si vergognavano delle loro stesse opinioni, nutrendo una sorta di complesso di inferiorità nei confronti di chi aveva “fatto la Rivoluzione”.
L’adesione alla Socialdemocrazia europea - che forse risultava sincera in uomini come Giorgio Napolitano – non era mai stata assimilata.
Né dalla base, né dalla maggioranza del gruppo dirigente.
Perché il Partito assumesse la sua denominazione definitiva, sarebbero stati necessari ben diciannove anni, trascorsi dalla caduta del Muro.
Forse non lo si poteva pretendere il giorno dopo, ma quattro lustri di attesa risultarono troppo lunghi.
Il mondo, intanto, evolveva rapidamente.
Tutte queste memorie riaffiorano nel momento in cui il malcapitato Zelensky si aggrappa – ritrovandosi abbandonato dagli Stati Uniti – ai principi della Democrazia Occidentale.
Ignorando che le ideologie sono un pretesto meramente propagandistico, oppure - nella migliore delle ipotesi – uno strumento per la interpretazione della realtà sociale, impiegato dai Partiti e dai Governi per perseguire i loro scopi.
Consistenti, nel caso dell’Ucraina, nel mantenimento dell’Indipendenza nazionale.
Essendo questa giusta causa basata sul Diritto Internazionale.
Che però trova fondamento nei Trattati.
Von Bulow, che all’epoca era il Ministro degli Esteri della Germania Imperiale, a chi gli ricordava la garanzia riguardante la neutralità del Belgio, rispose che i Trattati erano “chiffons de papier”.
Non rimane dunque che affidarsi al rapporto di forze.
Quale sia oggi il rapporto di forze tra le grandi Potenze, risulta dall’accordo stipulato a Riad.
“Le Monde”, illustrandone i contenuti, li denomina “il non detto”.
Cioè, non dichiarato, ma ugualmente vigente.
A Zelensky non rimane che rimproverare l’Occidente per la sua incoerenza rispetto all’ideale liberal democratico.
Che tuttavia vale soltanto quando coincide con gli interessi degli Stati.
Inutile, dunque, cercare una coerenza tra le alleanze e le affinità ideologiche.
Gli Alleati includevano la Russia di Stalin, mentre sull’altro versante i Socialdemocratici finlandesi erano schierati con la Germania nazista.
Non potendo difendere altrimenti la loro Indipendenza.
Il Portogallo di Salazar fondò l’Alleanza Atlantica avendo concesso agli Alleati l’uso delle Azzorre.
Gli stessi nazionalisti ucraini, croati e bosniaci potevano dire che non volevano l’Indipendenza perché erano nazisti, ma a erano nazisti perché volevano l’Indipendenza.
Può anche darsi che oggi i governanti di Kiev siano liberal democratici per lo stesso motivo.
Nessuno, d’altronde, può mettere in discussione il loro diritto.
La cui realizzazione viene però ancora una volta frustrata non avendo trovato una sponda efficace nel conflitto tra le grandi Potenze.
Esiste naturalmente il rischio che la frustrazione delle legittime aspirazioni degli Ucraini li porti a compiere atti di terrorismo in giro per l’Europa, sia pure volti a colpire gli interessi della Russia.
La responsabilità di questa situazione sarà anche dei nostri dirigenti.
Neanche essi, infatti, sono stati in grado di calcolare il rapporto di forze.
Come era avvenuto per l’Ungheria nel 1956.
Salvo che i poveri insorti magiari siano stati sacrificati in modo cinico e deliberato per disporre di un argomento propagandistico da usare nella polemica contro il Comunismo.
In conclusione, è opportuno domandarsi se la scelta del riarmo dell’Europa Occidentale sia una conseguenza - o non piuttosto una causa - del sostegno promesso a Zelensky, e non mantenuto.

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Mario Castellano  03/04/2025
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