Con la morte del Papa, si ritorna a parlare delle Profezie che riguardano la successione di San Pietro ed il destino della Santa Sede. L’interpretazione della cosiddetta Profezia di Malachia riportata da alcuni giornali risulta palesemente sbagliata. Anche se probabilmente il testo non risale al monaco irlandese dei primi secoli cristiani cui viene attribuito, esso risulta certamente anteriore rispetto alla prima edizione a stampa, curata nel Cinquecento da Arnoldo de Wion. Il quale però introdusse probabilmente una interpolazione, riferita a “Pietro Secondo” o “Pietro Romano”, che è da identificare con Francesco. Salvo allungare arbitrariamente di una unità l’elenco dei suoi Predecessori. Dell’ultimo Papa è detto che” pascolerà le pecore tra molte tribolazioni, trascorse le quali la Città dei Sette Colli sarà distrutta ed un Giudice tremendo giudicherà il suo popolo”. Il che, per fortuna, non è ancora avvenuto. Possiamo però riferire tali previsioni alla fase aperta con la fine del Pontificato di Benedetto XVI, ed ancora in svolgimento. Durante la quale - stando a quanto previsto concordemente dalla Madonna di Fatima, da San Filippo Neri, da San Giovanni Bosco, da San Pio X e da Nostradamus – l’unico nel novero di questi profeti che non sia stato canonizzato – un esercito composto da infedeli invaderà Roma, da dove il Papa dovrà fuggire per non fare la fine degli altri Sacerdoti. I quali saranno sterminati. Rasputin afferma da parte sua che nelle fontane di Roma non scorrerà più l’acqua, ma il sangue. Tutte queste previsioni sono da riferire ad uno scontro tra il Nord e il Sud del mondo. Bergoglio si è adoperato per evitarlo, e ci auguriamo che lo stesso faccia il suo Successore.
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Il funerale di Bergoglio ha dimostrato in primo luogo come il Papa abbia saputo formare ed ispirare una generazione di giovani che hanno riscoperto – attraverso la Fede – un forte impegno civile. Questa generazione è tanto consistente dal punto di vista numerico – come dimostra anche la grande affluenza alla Messa di Suffragio celebrata la scorsa domenica dal Cardinale Parolin – quanto cosciente. I “Papa Boys” riuniti al seguito di Giovanni Paolo II erano portati ad una adesione emotiva a questo personaggio, e si aggregavano in base ad una comune tendenza ad acclamarlo. La quale non ha nulla di male in sé, dal momento che in ogni grande movimento storico si manifesta anche una adesione emotiva. Questi movimenti, però, intanto sopravvivono a chi li ha avviati e procedono verso i loro obiettivi in quanto si manifesta in essi anche una adesione razionale. Nessuno, ai funerali di sabato scorso, ha gridato “Santo subito!” formulando un auspicio indubbiamente sincero e legittimo, ma che proietta chi ne viene riguardato nella dimensione astratta dell’immaginario collettivo. Dal quale si esce seguendo chi si dichiara in grado di realizzare in concreto quanto viene auspicato. Dopo il Concilio, si registrò in ambito cattolico – o meglio, in ambito cristiano – un grande fervore, che si manifestò con la moltiplicazione di pubblicazioni, di incontri e di raggruppamenti. Molti dei quali finirono per indirizzarsi verso la Sinistra. La quale si rivelò tuttavia completamente incapace di cogliere l’opportunità storica consistente nella scelta dell’impegno civile e sociale da parte di una nuova generazione. Che si era formata in gran parte in un ambito religioso. Certamente, le sue istanze più radicali risultavano utopistiche. Se però da un lato la rivoluzione risultava impossibile, la spinta espressa dalla base poteva essere rivolta verso obiettivi di riforma, e soprattutto di crescita civile. Berlinguer decise di ignorare tutto questo fervore – ed in pratica di sprecare una intera generazione – perseguendo viceversa mediocri obiettivi tattici. Che peraltro non seppe nemmeno raggiungere. La generazione che prese come punto di riferimento Giovanni Paolo II non avrebbe avuto miglior sorte. I movimenti che sorsero nel suo ambito – ed in particolare quello confessionale guidato in ambito religioso da Don Giussani ed in ambito politico da Formigoni – finirono per confluire nella Destra della Democrazia Cristiana, fino al punto di rappresentarla in modo quasi esclusivo. Questo soggetto politico si trovava però sul punto di essere sciolto – paradossalmente anche per volontà dello stesso Papa – essendo venuta meno la sua funzione con la fine della Guerra Fredda. Se l’utopia in cui era caduta la generazione del Sessantotto era il mito della Rivoluzione, quella in cui cadde la generazione successiva consistette nella Restaurazione. Avente come meta finale l’edificazione di uno Stato confessionale. Nessuno dei due movimenti seppe in conclusione fare politica, cioè, praticare l’arte del possibile. La quale consisteva nel trasporre in una concreta azione di governo quella parte delle motivazioni ideali originarie che si poteva realizzare tenuto conto dei rapporti di forza, del quadro istituzionale rappresentato dallo Stato laico, e soprattutto dalla collocazione geopolitica dell’Italia. Se l’esito estremo di una generazione – constatata l’impossibilità di realizzare i propri obiettivi – consistette nella criminalizzazione politica in cui cadde chi praticò il terrorismo, quello che attendeva i protagonisti della generazione successiva fu la criminalizzazione comune. Tanto Curcio e Franceschini quanto Formigoni finirono meritatamente in prigione. Tutti costoro sbagliarono anche per avere preteso di applicare meccanicamente dei modelli stranieri. Se i “Brigatisti Rossi” credevano di emulare i Comunisti vietnamiti, i seguaci di “Comunione e Liberazione” si illudevano di mobilitare le folle riunite dal Papa in Polonia. Dove la religione è ancora un fenomeno sociale. Chi li ammoniva che non si sarebbero trovati alla testa degli operai del Sindacato Libero, bensì in compagnia di Forlani, veniva però liquidato come un nemico della Chiesa. Tutti questi soggetti erano comunque destinati a fallire quali dirigenti politici. Non abbiamo visto, in piazza San Pietro, nessuno striscione innalzato dai correligionari di Formigoni. Segno che questo movimento, ormai dedito al “business”, da una parte non ha titolo per rivendicare l’eredità di Bergoglio, come non ha titolo per raccogliere il suo successone. Il precedente Conclave si concluse in modo grottesco con le congratulazioni inviate – appena uscita la “Fumata Bianca” – dalla Conferenza Episcopale Italiana al Cardinale Scola. “Quod volimus, libenter credimus”, ma chi entra Papa in Conclave, ne esce Cardinale. Questa volta non c’è nemmeno un rappresentante della Chiesa Ambrosiana nella Cappella Sistina. Ora la Chiesa si trova, per merito di Bergoglio, nella condizione di orientare una nuova generazione, della quale il Papa defunto costituisce il punto di riferimento. Andremo incontro ad una nuova delusione? Per evitare questo esito, occorre che il nuovo Papa – questo essendo il compito cui è chiamato – sappia indicare ai giovani ispirati dal Predecessore un concreto “modus operandi”. Non vi sono più peraltro – e per fortuna – dei soggetti politici in grado di sottrarre alla Chiesa questo patrimonio di adesioni. Il Partito Comunista, con la sua risibile pretesa di costituire esso stesso una Chiesa (con tanto di Dogma dell’Infallibilità del suo Capo, e di adesione fideistica dei seguaci) ha cessato di esistere. La Destra, non più a guida democristiana, bensì rappresentata dagli eredi – ancora più anacronistici - di Salò, incarna a sua volta una causa antitetica non solo e non tanto rispetto all’insegnamento di Bergoglio, bensì rispetto ai valori fondamentali del Cristianesimo. I giovani riuniti intorno al feretro del Papa non accetterebbero certamente di essere scagliati contro un nemico di comodo, inventato per cementare la loro identità, come ad esempio i Musulmani. Non ci sono peraltro in Italia né giovani neofascisti, né giovani leghisti, e neppure giovani “democratici”. La Schlein deve cercare dei seguaci disposti a sfilare in corteo con lei recandosi al “Gay Pride”, e danzando penosamente discinta (“horribile visu”) su di un carro allegorico. Dove un tempo venivano almeno issate le ben più avvenenti “Miss” delle Sagre di paese. La nuova gioventù cristiana può contare su di una elaborazione teorica che il Papa ha promosso in modo silenzioso ma efficace tracciando le sue linee essenziali con le sue grandi Encicliche, e poi chiamando migliaia di giovani studiosi - eterodossi rispetto al pensiero ufficiale - a delineare una nuova economia, fondata sul cosiddetto “Sviluppo Zero”. Che supera tanto il tradizionale pensiero liberista quanto quello marxista, basato anch’esso sul postulato della mancanza di limiti allo sfruttamento delle risorse naturali. La giustizia sociale si persegue mediante la ripartizione delle risorse, e non aumentandone il consumo. La Chiesa, però, non può – salvo cadere in quello stesso confessionalismo che Bergoglio ha completamente superato – agire direttamente come soggetto politico. Che dovrà essere dunque costituito “ex novo”, partendo dalle fondamenta. Una scelta restauratrice non porterebbe soltanto ad uno scisma - forse nemmeno “silenzioso” - tra quanti di Bergoglio condivide un’idea dell’Europa intesa come luogo di incontro e di mediazione tra le diverse culture e religioni e chi viceversa propone una militarizzazione autoritaria. A tale prospettiva si aggrappa la Meloni, considerandola l’unica base possibile del proprio potere. I nuovi “Papa Boys” hanno il pregio non soltanto di essere idealisti, ma di rappresentare anche la nostra identità. Vissuta ed interpretata però non in termini di contrapposizione al resto del mondo. Il nuovo Papa avrà dunque la possibilità irripetibile di inserire – o meglio, di mantenere – la Chiesa nell’attuale “mainstream”, senza però bandire nessuna Crociata. Rifuggendo dalla tentazione, propizia on apparenza nell’immediato, ma disastrosa per il futuro, di fungere da suo Cappellano. Meglio lasciare questo compito ai vari Fanzaga, Minutella, Bannon e Demattei. Lo Spirito Santo soffia così forte che lo sente anche chi si trova lontano dalla Cappella Sistina. Ci è stata segnalata una possibile interpretazione della cosiddetta “Profezia di Malachia” che non avevamo considerato. A Benedetto XVI è attribuito – su questo non vi sono dubbi – il motto “De Gloria Olivae”. “Petrus Secundus” – anche detto “Petrus Romanus” - non verrebbe però identificato in Francesco, considerando inefficace la rinunzia presentata dal suo Predecessore. Con la morte di Benedetto XVI sarebbe dunque iniziata per la Chiesa la “Vacatio Sedis”, cui segue ora l’elezione dell’ultimo Papa. Sotto il cui Pontificato si dovrebbero compiere le altre Profezie.