“La Stampa” di Torino ha rilanciato in traduzione italiana il discorso pronunziato davanti al Congresso degli Stati Uniti da Bernard Henry Lévy...
“La Stampa” di Torino ha rilanciato in traduzione italiana il discorso pronunziato davanti al Congresso degli Stati Uniti da Bernard Henry Lévy, recatosi a Washington per perorare il ristabilimento degli aiuti militari americani all’Ucraina. Che in seguito sono stati ripristinati, non tanto grazie alle doti oratorie certamente esibite dal “Maitre à penser” transalpino, bensì perché Zelensky ha acconsentito a ricompensarli con le cosiddette “Terre Rare”. Se la parte del discorso dedicata agli obiettivi politici immediati risulta ormai obsoleta, il testo contiene un altro appello, rivolto viceversa ai Cattolici. Bisogna osservare che il discorso di Lévy è stato pronunziato evidentemente prima dell’elezione dell’americano Leone XVI, ma quando la transizione iniziata con la malattia di Bergoglio era già in atto. Lasciando intravedere la realizzazione di quel disegno geo politico – giustamente ha definito “Carolingio” da Cacciari, essendo volto a dare alla Presidenza degli Stati Uniti un carattere “imperiale”. Con il supporto costituito dal Papato Se il già Sindaco di Venezia fa riferimento a Carlo Magno, il quale si fece incoronare precisamente dal Papa - scegliendo per giunta una data facile da ricordare, ed anticipando così un uso delle Pubbliche Relazioni che sarebbe invalso soltanto dopo molti secoli – si potrebbe anche, per altro verso, fare riferimento a Dante. Il quale, essendo guelfo, credeva nella diarchia tra l’Impero ed il Papato, ma affermava la supremazia del Potere Spirituale. Prevost, da parte sua, sembra ispirarsi alla leggenda di Leone Magno. Il quale avrebbe fermato Attila usando soltanto il prestigio derivante dal proprio potere spirituale. Non vi era peraltro nessuna alternativa, dato che l’Impero Romano Antico era già finito, e quello Cristiano ancora di là da venire. Il nuovo Pontefice immagina quindi realisticamente sé stesso nella condizione di dovere affrontare gli infedeli senza altre armi che non siano quelle della Fede. Nel contempo ricorda però all’Imperatore – approfittando anche del fatto che si tratta di un suo connazionale – la necessità di offrire un supporto temporale, e possibilmente anzi militare. Che potrebbe rendersi necessario qualora l’Attila dei tempi moderni non si facesse intimorire dagli argomenti espressi dal Capo della Chiesa. Che cosa ha a che fare tutto questo con il discorso pronunziato da Levy? Il pensatore israelita francese cita l’esempio dell’Arcivescovo Cattolico di Rito Orientale di Leopoli, Andriy Sheptytsky, il quale durante la Seconda Guerra Mondiale agì nel contempo quale Giusto tra le Nazioni, salvando numerosi Israeliti dallo sterminio, ma difese anche l’indipendenza tanto dell’Ucraina quanto della Chiesa cosiddetta Uniate. Fedele come tale tanto Papa di Roma quanto alla propria matrice orientale, ma opposta all’assimilazione dell’Ucraina nell’ambito della “Grande Russia”. La porzione occidentale di questo Paese sopravvisse nel periodo tra le due guerre proprio a Leopoli, allora appartenente alla Polonia. Con l’arrivo dei Sovietici e l’annessione ai domini di Stalin, la Chiesa Cattolica di Rito Orientale venne annessa forzatamente al Patriarcato di Mosca. Il Cardinale Slipy, successore di Sheptytsky, vi si oppose, e fu di conseguenza deportato in Siberia. Da cui sarebbe stato liberato per intercessione di Roncalli, il quale rivolse questa richiesta ai due Osservatori del Patriarcato di Mosca inviati al Concilio. Entrambi alti Ufficiali della Polizia Politica, i quali proprio per questo ottennero che la richiesta del Papa fosse accolta. Lo scritto di Lévy postula due obiettivi. Uno dei quali riguarda implicitamente l’abbandono della posizione equidistante tra Mosca e Kiev mantenuta fino ad ora dalla Chiesa di Bergoglio. Da questo punto di vista, il fatto stesso che il nuovo Papa sia un Americano del Nord - di cultura, se non di ascendenza, anglosassone - segna una svolta. Che sarà plasticamente segnalata dal suo viaggio in Ucraina. L’altro obiettivo riguarda l’analogo cambiamento nell’atteggiamento della Santa Sede in merito alla questione del Medio Oriente. Il denominatore comune essendo costituito dal ripudio della neutralità tra la ragione e il torto. L’Ucraina essendo stata invasa, e Israele aggredito a sua volta il Sette Settembre. Si restaura dunque una coincidenza tra le posizioni di principio sostenute da Kiev e da Gerusalemme, sostenuta dall’insieme dell’ambiente israelitico mondiale. Di cui Lévy rappresenta notoriamente uno dei portavoce più prestigiosi. Il pensatore francese va però al di là dell’obiettivo politico contingente, per quanto sia importante. Il suo scritto si basa infatti su di una constatazione riguardante l’analogia tra la condizione in cui si trovano i Cattolici e quella in cui si trovano gli Israeliti. Entrambi essendo muniti di un soggetto di Diritto Internazionale. La Santa Sede ha notoriamente caratteristiche giuridiche molto diverse dallo Stato di Israele. Se non esistono le “Divisioni del Papa”, mentre esistono quelle di Netanyahu, ambedue i soggetti sono comunque in grado di svolgere una azione diplomatica indipendente. Non è casuale che Lévy ricordi come Sheptitsky si sia rivolto a Pio XII per affermare i diritti del popolo ucraino. Trovando però l’interlocutore nell’impossibilità di prestargli soccorso. Oggi i rapporti di forze sono però profondamente cambiati, e Lévy ammonisce che bisogna approfittare di tale situazione. Questo risulterà però tanto più agevole – e soprattutto efficace – se Israele e la Santa Sede riuscissero a coordinare la loro rispettiva azione. Il che veniva fino ad ora ritenuto possibile soltanto in determinate contingenze, in situazioni episodiche non inserite in un più vasto disegno comune. Che può però essere ora rappresentato dalla difesa della rispettiva identità. Considerando i suoi elementi comuni, ma ancor più la situazione di attacco cui si trova sottoposto l’Occidente. Levy ricorda la presenza di volontari israeliani sul fronte del Donbass, ma più in generale insiste da tempo sull’elemento comune tra l’Ucraina ed Israele, accomunati dall’avversione nei confronti dell’Occidente. Noi, a proposito dei progetti di restaurazione di una entità statuale ispirata al Sacro Romano Impero, abbiamo sempre manifestato il timore che la teocrazia comporti una discriminazione dei non credenti e dei diversamente credenti. Lévy non pare condividere questa preoccupazione, ritenendo che l’esistenza dello Stato di Israele non solo offra ai propri correligionari la possibilità di affermare liberamente e pienamente la propria identità, ma costituisca anche una cosiddetta” plaque tournante” con cui agire in ambito mondiale. Il suo nuovo intervento si colloca nel momento in cui da una parte mutano gli equilibri interni alla Chiesa Cattolica, mentre dall’altra parte si avverte il pericolo incombente dell’allargamento dei conflitti in corso. Lévy, essendo il tipico intellettuale” engagé” non ha esitato a prendervi parte, e si propone dunque implicitamente per accompagnare anche fisicamente il Papa in Prima Linea.