Mentre scriviamo, non conosciamo ancora il testo dell’omelia pronunziata da Prévost in San Giovanni in Laterano...
Mentre scriviamo, non conosciamo ancora il testo dell’omelia pronunziata da Prévost in San Giovanni in Laterano, nel momento in ciò ha preso possesso della Cattedrale di Roma.
Essendo Pontefice in quanto Vescovo dell’Urbe, e non viceversa.
Probabilmente, il Papa ha approfittato dell’occasione per tracciare le linee programmatiche del governo della Diocesi di cui è l’Ordinario.
Ciò risulta particolarmente interessante, dal momento che il nuovo Pastore viene da esperienze sicuramente molto utili per tale bisogna.
Se Bergoglio era stato incaricato della cosiddetta “cura delle anime” a Buenos Aires, una delle mostruose conurbazioni caratteristiche dell’America Latina – e più in generale del cosiddetto “Terzo Mondo” - il Papa è stato Vescovo in una sperduta località delle Ande peruviane.
Il “background” risulta dunque comune tra il Predecessore ed il Successore.
Roma appartiene – a tutti gli effetti, e soprattutto dal punto di vista sociale – all’ambito extraeuropeo.
Se fosse stato eletto Papa un Vescovo proveniente dal “Vecchio Continente”, la sua precedente esperienza di governo sarebbe risultata meno utile per affrontare i nuovi compiti.
Quella maturata da Prévost in mezzo agli “Indios” risulterà viceversa preziosa.
Anche se il Papa dedica tradizionalmente poco tempo alle funzioni di carattere diocesano – la figura del Cardinale Vicario essendo stata escogitata ormai da molti secoli – può tuttavia trovare al di là delle Mura Leonine un terreno di sperimentazione dei suoi indirizzi di governo della Chiesa Universale abbastanza facile da verificare anche personalmente.
Quando un nuovo Vescovo entra nella Diocesi cui è destinato, la consuetudine vuole che trascorra la notte precedente il suo solenne esordio in Cattedrale presso un Istituto Religioso od in un Monastero posto nelle vicinanze, e che quindi venga ricevuto alle porte della Città dalle sue Autorità Civili.
Il Capitolo del Duomo ed il rimanente Clero lo attendono viceversa nella sua sede religiosa.
Denominata “Cattedrale” in quanto costituisce precipuamente un luogo in cui si insegna.
Non certo di una Dottrina umana, ma riferita altrettanto sicuramente al popolo, e destinata ad incarnarsi in esso.
Se un Vescovo fallisce nella sua Missione, ciò significa dunque soprattutto che non ha saputo insegnare.
Il che avviene tanto con la parola quanto con l’esempio.
Quando dunque si traccerà un bilancio del nuovo Pontificato – come di tutti i precedenti – si constaterà la sostanziale coincidenza nei risultati conseguiti tanto nella dimensione universale quanto in quella locale.
Pio XII fu l’ultimo Papa di cui è ancora viva la memoria che non era mai stato incaricato della cura delle anime, avendo operato soltanto nel Servizio Diplomatico.
L’assegnazione di Roncalli e Venezia e di Montini a Milano – come più tardi quella di Ratzinger a Monaco di Baviera - si spiegano con la necessità di inserire nel rispettivo “cursus honorum” anche una esperienza di governo maturata presso una Chiesa locale.
Tutti e tre i futuri Vescovi di Roma, assegnati alle rispettive sedi periferiche, diedero il meglio di sé, ed accrebbero in modo decisivo la propria esperienza.
Pacelli suppliva al non aver mai avuto cura diretta delle anime con la sua stessa origine, essendo stato anche l’ultimo Papa nativo di Roma.
Appartenente anzi alla Aristocrazia “Nera”, non conciliata con il Governo unitario dopo il Venti Settembre.
Di Pio XII si ricorda la presenza a San Lorenzo dopo il bombardamento che anticipò di pochi giorni la caduta del Regime.
Il Vescovo precedette il Re, ricevuto con freddezza, e Mussolini, accolto con malcelata ostilità da una popolazione stremata ed umiliata, che egli aveva nutrito di vane illusioni sulla grandezza di una Roma pagana contrapposta a quella cristiana.
Che riemerse quel giorno, nel proprio martirio, come l’unica reale.
I nuovi Vescovi non visitano mai il Municipio nel giorno del loro ingresso in Diocesi, essendo viceversa il Sindaco a presenziare alla presa di possesso.
Perché il Vescovo di Roma – proveniente per giunta da un Paese protestante, dove il Primo Cittadino non segue questa consuetudine nemmeno quando è cattolico – ha voluto recarsi in Campidoglio prima che in Laterano?
Essenzialmente, a nostro modesto avviso, per rendersi subito conto delle analogie e delle differenze con le sue precedenti esperienze pastorali.
Se il suo Governo della Chiesa universale sarà efficace, lo si vedrà in primo luogo dai frutti ottenuti nella Chiesa locale.
Il Papa si è dichiarato “romano”.
Probabilmente, l’Uomo – essendo dotato di grande cultura – conosce il famoso verso di Dante.
Che dice per l’appunto “Roma, onde Cristo è romano”.
Il Pontefice è il Vicario di Cristo, anzi il “Dolce Cristo in terra”, come lo definì Santa Caterina da Siena.
La quale fu infaticabile nell’opera svolta per farlo ritornare da Avignone,
Giungendo addirittura a tacciare il Papa – restio ad accettare la sua esortazione – di scarsa virilità.
Pio XII fu dichiarato solennemente – con voto unanime del Consiglio Comunale – “Defensor Civitatis”, e a Giovanni Paolo II venne riconosciuta la Cittadinanza Onoraria.
Il Papa non mancò di rilevare il precedente costituito da San Paolo.
Il quale – a differenza di San Pietro – non dovette scontare le conseguenze derivanti dall’essere un “extracomunitario”.
Il gesto compito da LeoneXIV denota soltanto una particolare cortesia nei riguardi del Governo cittadino?
Verrà certamente anche per lui una solenne trasferta al Quirinale, mentre la Meloni non perderà occasione per farsi notare in Vaticano.
Ci sarà anche, in Campidoglio, l’occasione di un incontro più formale.
Tutto ciò non cancella però la precedenza temporale accordata al luogo in cui risiedette – e poi morì – Cola di Rienzo, e molto tempo dopo si insediò il Triunvirato dell’effimera Repubblica Romana.
La presenza del Papa si deve dunque interpretare come una implicita riaffermazione di sovranità?
Se il Quirinale è dell’Italia, ed il Vaticano è del Papa, il Campidoglio è per tradizione dei Romani.
Giova soffermarsi – per capire il significato del gesto compiuto dal Papa -sui rapporti intercorsi dopo il 1870 tra il Comune di Roma ed i Governi italiani.
Mussolini, anziché nominare un Podestà, volle resuscitare l’antica denominazione di “Senatore di Roma”.
In realtà, in tutto il tempo trascorso dal Venti Settembre, un solo Sindaco dimostrò di avere una propria idea di Roma, tanto diversa dalla subordinazione all’Autorità Religiosa quanto distinta dall’acquiescenza al Potere statuale.
Questo Sindaco fu Eugenio Nathan, cui nona caso toccò governare il Comune negli anni di Giolitti.
Cioè, dell’unico tentativo volto a conferire carattere democratico allo Stato unitario.
Nathan si ispirava – essendo un israelita con parentele britanniche – precisamente alle grandi Capitali dell’Europa Occidentale, soprattutto Londra e Parigi.
Che costituiscono il centro del rispettivo potere nazionale non solo in quanto vi risiedono le sue Istituzioni, ma anche perché esprimono una propria identità ed una propria cultura.
Che - nella concezione di Nathan - era una cultura laica e democratica.
Tendente dunque a fare di Roma una Metropoli moderna.
In seguito, non ci avrebbe provato più nessuno dei successivi inquilini del Campidoglio.
Tanto meno quelli del secondo dopoguerra.
Dopo la sfilza dei mediocri Sindaci democristiani, vennero i personaggi altrettanto scialbi espressi dalla Sinistra, da Argan a Petroselli, da Vetere, a Veltroni e Rutelli, fino a toccare il fondo con Marino.
I quali si barcamenarono tra la loro appartenenza comunista e la pratica (perfino nel caso del protestante Argan) del clericalismo dettato a Berlinguer dal Marchese Rodano.
Senza mai essere in grado di esprimere una idea di Roma.
Gualtieri – cui è toccato per giunta il compito ingrato di mettere rimedio alle stravaganze della Raggi, che sembravano un frutto postumo della pazzia di Cola di Rienzo – non fa eccezione.
L’unico suo merito essendo consistito nel comporre – in qualità di mediatore – la “Grande Coalizione “(grande per estensione, non per originalità del suo progetto) che lo ha innalzato fino alla cima del Campidoglio.
Che coincide con la vetta di una montagna di debiti.
I Sindaci dell’Urbe vanno tutti quanti a Palazzo Chigi col cappello in mano, mendicando sempre nuove “Leggi Speciali”.
Il Giubileo è come la loro Befana, dato che comporta una razione più abbondante.
Monsignor Gaenswein giunse a proporre – in veste di giurista – una sovranità su Roma condivisa tra Italia e Vaticano.
Il Sindaco dell’epoca lasciò cadere la proposta.
Peccato per lui, dato che – come si dice nel nostro Paese di adozione – avrebbe potuto “tettare da due mammelle”.
Ora il Papa, basandosi sul disegno “carolingio” che ha determinato la sua elezione, vuole probabilmente significare – vedremo se il Sindaco sarà in grado di cogliere il significato di questo messaggio – come un rinnovato Potere Temporale abbia bisogno di un ambito più vasto rispetto a quello simbolico costituito dalla Città del Vaticano.
Se questo disegno dovesse realizzarsi – il che non si può escludere, data la cariocinesi dello Stato italiano – il Papa dovrebbe farsi carico on solo delle Trecento Chiese di Roma, ma soprattutto della disperazione delle “Borgate”.
Dove si avventurano i volontari della Charitas ed i Sacerdoti, ma non i dirigenti “democratici”.
Né vi si spingono i Carabinieri, gli Agenti di Polizia ed i Vigili Urbani.
Intorno al Centro Storico, si estende una immensa “terra di nessuno”, dove scorrazzano venditori di droga, malviventi di ogni risma e paramilitari dell’estrema Destra.
I “Pizzardoni” decorano con le loro divise bianche i luoghi monumentali, stando a piazza di Spagna come la Guardia Svizzera a San Pietro e facendosi fotografare dai turisti giapponesi.
I sudditi del Sol Levante sono fanatici delle uniformi, tanto che si fanno immortalare anche in compagnia degli Ecclesiastici in talare, ormai scarsi.
Se la Chiesa ha un progetto di governo, può dunque sperimentarlo semplicemente uscendo di casa.
Come peraltro faceva coraggiosamente Bergoglio.
Le Autorità “civili” di oltre Tevere non si avventurano invece al di fuori dei loro portoni blindati.
Il nuovo Potere ecclesiale è destinato ad affermarsi “de facto”, prima che “de Jure”.
Il Comune, privo di mezzi economici e privo di una propria idea della Città di Roma, non può che adeguarsi.

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Mario Castellano  10/06/2025
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