La Salis – omettendo di rispondere alle intimidazioni pronunziate da tutti i dirigenti della Destra, ...
La Salis – omettendo di rispondere alle intimidazioni pronunziate da tutti i dirigenti della Destra, i quali pretendono che il Comune di Genova si conformi senza obiezioni ai progetti del Governo relativi alle Grandi Opere, senza esercitare le competenze attribuite dalla Legge all’Ente Pubblico che è chiamata a dirigere ed a rappresentare - prende possesso della sua carica esibendo un vestito molto elegante.
Dimenticando, evidentemente, che un Sindaco si valuta da come amministra, e non da come si acconcia.
Salvo, naturalmente, trasgredire la regola secondo cui l’abito non fa il monaco, ma lo rivela.
Una volta, Cerofolini, impedì giustamente ad un Consigliere di accedere al suo scranno essendosi presentato in pantaloni corti.
Ci fu un Sindaco di Imperia che presiedeva il Consiglio così conciato, ed infatti costui governava la Città in nome e per conto degli importatori di selvaggina.
La Salis dotata di un fisico da “mannequin”, ed avrebbe potuto dedicarsi alle sfilate di moda se non avesse trovato la via dello sport.
Che, nel suo caso, era in pratica professionistico, avendole garantito una carriera di Dirigente Nazionale.
Ora, se vuole fare bene il Sindaco, deve dimenticare tutto quanto ha imparato al Comitato Olimpico.
Dove non si rispetta né la norma che impone l’accesso all’Impiego Pubblico mediante la procedura del Concorso, né quella che vieta agli Enti Pubblici di modificare la propria Legge Istitutiva mediante atti amministrativi.
Come la delibera del Consiglio Nazionale con cui sono stati aboliti i Comitati Provinciali.
Per non parlare del fatto che le Federazioni – anch’esse costituite in Enti Pubblici – sono tenute a presentare il Bilancio Preventivo e Successivo nei termini di Legge.
“Last but not least”, il Governo ha il compito di vigilare sulla legittimità dell’operato di tutti i soggetti – siano essi di Diritto Pubblico o di Diritto Privato – cui lo Stato contribuisce in via ordinaria: il CONI sta in piedi soltanto perché è pagato dallo Stato.
Le cui Istituzioni si limitano – in cambio dell’omessa vigilanza – ad applaudire le imprese dei nostri Atleti.
Salvo essere prese a pesci in faccia, come ha fatto Sinner quando ha ignorato un invito al Quirinale con la scusa che doveva allenarsi.
Salvo poi accettare la convocazione del Papa.
Qualificandosi con ciò cattolico, ma non italiano.
Il che costituisce un suo diritto.
Il noto tennista non ha però il diritto di comportarsi da maleducato.
Mentre le donne guidano - con pieno merito, avendo sventato il pericolo che Genova fosse consegnata a “Don” Picciocchi – tanto gli Enti Locali quanto il Governo e l’Opposizione, la Meloni e la Schlein varano una sorta di “Partito Femminile”, alleandosi contro la strage subita dal loro sesso.
È come proporre di scegliere in linea di principio tra il Bene e il Male.
Tutti starebbero dalla stessa parte, salvo poi dividersi quando si tratta di decidere come perseguire l’obiettivo.
La Meloni svolge -come fanno in genere tutte le donne che ricoprono degli incarichi pubblici – la funzione della indossatrice.
Le Case di Moda riforniscono queste dame di sempre nuovi vestiti, approfittando delle loro apparizioni televisive.
Il che permette di farsi pubblicità quasi gratis.
Non si pagano gli annunzi, né le relative imposte, ma comunque si devono regalare alle occasionali “mannequin” i capi firmati.
Purtroppo, però, soltanto la Salis è dotata del cosiddetto “phisique du role”, essendo alta, slanciata e molto avvenente.
La Meloni è una nana, e la Schlein è una grassona, per giunta irrimediabilmente racchia.
La Signora elvetico – germanico – statunitense soffre anche del relativo complesso, mentre Adele Faccio – altra racchia leggendaria – faceva della propria bruttezza una bandiera, considerandola un’arma del Femminismo.
La Segretaria ha addirittura tacciato di antisemitismo chi fa delle ironie sul suo naso.
Anche Umberto Terracini era israelita, ma si era fatto strada grazie alla cultura ed all’intelligenza, oltre che- soprattutto – grazie alla sua eroica coerenza.
La Schlein è soltanto la figlia di un grande banchiere americano che ha trovato nel Partito ex Comunista italiano, ormai costretto a raschiare il fondo del barile, uno sgabello per la propria carriera.
Se il suo strumento fosse la preparazione, non avrebbe bisogno di stipendiare una “consulente cromatica”.
Questa figura non era mai apparsa nella pur colorita Corte dei Miracoli della politica italiana.
In cui da tempo immemorabile prosperano i personaggi da fescennino.
Qualcuno si ricorda ancora di “Cicciolina”, al secolo Ilona Staller, mandata in Italia come spiona dalla Polizia Politica ungherese, e poi passata con armi e bagagli nel campo capitalista grazie a Pannella?
Il quale la fece eleggere anche Deputata.
Questa racchia magiara appariva in televisione per dire sconcezze, che la gente era abituata a sentire soltanto ai maschi.
Anche questa fu una “conquista” del Femminismo.
L’alleanza che si sta profila tra la Meloni e la Schlein, stipulata per difendersi dagli uomini che uccidono le donne – anche se l’una ha licenziato il convivente, e l’altra deve guardarsi soltanto dalla pur temibile gelosia delle omosessuali (la cantante americana Selena venne ammazzata dalla sua partner avendo deciso di sposare un uomo), va in cerca di strumenti atti a combattere una battaglia tanto impegnativa.
Questi strumenti consistono- a nostro modesto avviso – soltanto nel ritorno all’identità ed alla Tradizione.
Non ci proponiamo naturalmente di convertite né la Schlein – che è atea – né la Meloni, la quale aderisce viceversa al neopaganesimo, essendo ispirata dalla lettura di Tolkien.
Notiamo soltanto che la strage delle donne costituisce una sorta di suicidio collettivo.
Essendo le femmine portatrici della vita, la loro eliminazione rivela – molto più che quella di altri uomini – il “cupio dissolvi” da cui è afflitta ormai da tempo la nostra società.
Contro la quale non serve nessun inasprimento delle pene.
Che non spaventa chi aspira ad eliminare il genere umano, compreso logicamente sé stesso.
L’unica cosa giusta detta dalla Meloni è precisamente questa: i suicidi - tanto più quelli privi di ogni apparente motivazione – ed i “femminicidi” sono due facce della stessa medaglia.
Che rappresenta a sua volta il rifiuto del mondo di cui si fa parte, nel quale si è smesso di credere.
C’è stato però un tempo in cui ciò portava a diventare rivoluzionati.
Nel cui novero inseriamo senza alcun timore anche quanti in origine condividevano le scelte della Presidente del Consiglio.
La quale però ha compiuto rapidamente l’intero percorso che conduce molti contestatori a divenire sostenitori del sistema.
Senza tuttavia avere compiuto una conversione.
Che induce a cambiare sé stessi, anziché la società.
La Meloni non è una ex rivoluzionaria divenuta conservatrice, bensì una ex rivoluzionaria divenuta nichilista.
La Schlein – da questo punto di vista – risulta ancor peggiore, perché in realtà non ha mai creduto in niente.
Salvo che nella propria carriera.
Propiziata a sua volta dal venir meno di tutte le ideologie.
Che – nel caso dell’Occidente – non sono state ancora sostituite dalle identità.
Se la Signora elvetico – germanico – statunitense non è classificabile secondo i moduli della vecchia politica, di quando, cioè, ad ogni collocazione corrispondeva una specifica cultura – ma non ha neanche una identità.
Si tratta di uno di quei personaggi che i Francesi chiamano “déracinés”.
Non c’è naturalmente nulla di male nell’essere cosmopolita.
Purché però si aderisca con passione, con coerenza e con competenza ad una causa specifica, necessariamente legata a sua volta con un “blut und boden”.
Una ragazza israelita originaria della Russia, nata in una famiglia molto facoltosa, che si chiamava Anna Rozenstein, venne – come molti altri suoi compatrioti ricchi – a studiare in Occidente.
Fin da quando, ancora giovanissima, lavorava a Firenze come “baby sitter”, attrasse le attenzioni della Questura, finendo sotto processo.
In Tribunale, i giornalisti rimasero colpiti dalla sua avvenenza, ma anche dalla sua precoce cultura.
Anna Rozenstein, che si faceva chiamare Kulisciov, e come tale passò alla storia, si unì prima con Andrea Costa, poi con Filippo Turati.
E diede un grande contributo al Socialismo italiano, contribuendo a farlo conoscere all’estero, ma soprattutto a far conoscere ai Compagni quanto maturava in Europa.
Il suo legame con l’Italia divenne definitivo quando il Governo Imperiale obbligò gli studenti all’estero a rimpatriare, pena la perdita della cittadinanza.
Il padre venne dalla Russia per chiederle di ritornare – all’epoca la figlia viveva ancora nella villa di Bakunin – ma la Kuliscov aveva già compito una scelta di vita definitiva.
Non era dunque – da nessun punto di vista – una turista arenata nel nostro Paese, bensì una grande italiana di adozione.
Non approfondiamo ulteriormente il paragone con la Schlein.
Se non per notare come Anna Kuliscov non avesse bisogno di una “consulente cromatica”.
La rivoluzionaria russo – italiana si faceva strada con la cultura e con l’intelligenza.
Quanto la Schlein non capisce -come non lo capisce neanche la Meloni – è che il femminicidio rappresenta soltanto una – benché tra le più ripugnanti – delle molte manifestazioni dell’odio dell’Occidente nei confronti di sé stesso.
Tra le molte altre, ne vorremmo citare una soltanto: il disprezzo nei confronti di Israele.
I cui soldati certamente uccidono anch’essi delle persone.
Chi manifesta contro di loro non si limita però a dissentire dalle scelte che il Governo di Gerusalemme compie per difendere l’esistenza dello Stato.
Su questo punto è naturalmente lecito dissentire.
Quanto viene rifiutato è il fatto che gli Israeliti mantengano la propria identità.
Se ci sono alcuni giovani italiani che arrivano ad uccidere la fidanzata, si tratta di caso – limite proprio delle tragedie.
In cui, estremizzando una situazione comune, si permette a tutti di riconoscersi in quanto esse rappresentano.
Se un balordo di Afragola ammazza la povera ragazza che lo avrebbe lasciato, dietro di lui vi sono milioni di giovani che non arrivano a questo punto, ma cadono nello stesso indifferentismo morale.
Le regole etiche compongono una disciplina collettiva quale non può essere unicamente sostenuta dalle norme penali, essendo necessariamente fondata sulla coscienza di appartenere d’una comunità.
In ultima istanza, sull’avere una identità.
Che l’Occidente- non solo l’Italia – deve assolutamente ritrovare, se non vuole perire davanti a chi ne ha ancora una.
La Chiesa si è accorta di questa necessità, e risponde eleggendo un Papa che decide di chiamarsi Leone: “Nomen, omen”.
Sul versante dello Stato, non c’è per ora nessun contraltare.
La Meloni e la Schlein non possono ricostituire una identità, perché non ce l’hanno.