VERSO UNA NUOVA GUERRA CIVILE? – 13 settembre 2025
Gli Stati Uniti sembrano avviati verso una nuova guerra civile.
Il ricordo della precedente – che fu l’unico conflitto in cui questo Paese, oltre a costituire lo scenario dei combattimenti, pagò un tributo altissimo di sangue – è stato per lungo tempo così forte che le sue autorità si pronunciavano regolarmente contro ogni tentativo separatista in altre nazioni.
Anche quando i secessionisti avevano tutte le ragioni, a cominciare dal diritto all’autodeterminazione.
Ora, però, accade che le opinioni di una persona – per quanto discutibili – vengano considerate alla stregua di un’autorizzazione a sopprimerla.
La parte politica colpita, nella persona di uno dei suoi dirigenti, risponde in modo altrettanto scorretto, considerando come assassini quanti condividono le opinioni politiche dell’uccisore.
La guerra di Spagna ebbe come causa occasionale l’assassinio di Calvo Sotelo, compiuto dai paramilitari del Partito Comunista.
Le vere ragioni del conflitto risiedevano tuttavia nell’incapacità delle parti contrapposte di convivere all’interno di un sistema di regole comunemente accettate.
L’esecuzione capitale di John Brown, avvenuta sulla base di una sentenza pronunciata da un giudice anch’egli abolizionista, non fu invece considerata un motivo valido per far esplodere la guerra di Secessione, proprio perché gli “unionisti” rispettarono fino all’ultimo le norme costituzionali.
Ai confederati bastò però il sospetto che la parte opposta volesse cambiarle per decidere la rottura della federazione.
Se l’America sembra oggi sul punto di compromettere la propria unità nazionale, la destra italiana dimostra quanto da tempo abbiamo denunciato: essa è alla ricerca di pretesti per scatenare a sua volta un conflitto civile.
Quando scoppia un’epidemia, si tenta di limitarla istituendo un “cordone sanitario”.
Se dunque gli Stati Uniti rischiano uno scontro violento tra una destra suprematista – cioè sostanzialmente razzista – e una sinistra sempre più radicalizzata, noi dovremmo evitare di importare un simile schema.
La stampa di destra italiana, al contrario, dipinge la sinistra come complice dell’assassino, adducendo a prova l’uso – certamente improprio – di “Bella Ciao”, di cui probabilmente l’uccisore ignorava l’origine e il significato.
Questo inno ha da tempo perduto ogni valenza divisiva, al punto che i seguaci spagnoli di Abascal lo hanno intonato durante una cena elettorale.
Oggi, intonare “Bella Ciao” è il modo più semplice per ottenere la patente di “antifascista”; l’altro, più costoso, consiste nell’importare la selvaggina.
Il compianto professor Smuraglia scese da Milano a Roma per conferire alla Raggi – formata alla scuola di un “nostalgico” come Previti – un certificato di antifascismo.
All’astuta borgatara, innalzata sul Campidoglio, bastò intonare il noto canto partigiano.
La demonizzazione dell’antifascismo – tanto sbrigativa quanto la sua precedente esaltazione – coincide oggi con l’ideologia su cui si fonda il nostro governo.
La premier Meloni ritiene di essere investita della missione storica di arrestare e invertire un processo degenerativo iniziato il 25 luglio 1943.
Invece di analizzare con distacco le vicende degli ultimi ottant’anni, si ricorre alla passione, sostituendola alla storia.
Con un risultato ormai certo: l’attizzare una nuova guerra civile.
Questo è l’esito inevitabile della demonizzazione di chi la pensa diversamente.
La signora Meloni è fortunatamente troppo giovane per aver vissuto gli “anni di piombo”, durante i quali la sinistra – pur dopo uno sbandamento iniziale – non riconobbe ai terroristi delle Brigate Rosse alcuna attenuante.
Guido Rossa pagò con la vita la propria lealtà allo Stato.
Anche noi fummo minacciati dai terroristi e, nel Paese di adozione, ci adoperammo affinché fossero assicurati alla giustizia.
Eppure certe autorità di polizia ci mandarono un provocatore, ritenendo evidentemente che potessimo lasciarci indurre a commettere un reato.
Segno che la tendenza a criminalizzare gli oppositori non riguarda solo la signora della Garbatella, le cui origini politiche risalgono al gruppo neofascista dei “Gabbiani”.
Il ricorso sistematico alla criminalizzazione dell’avversario è ormai una pratica diffusa dell’apparato statale.
Noi continueremo tuttavia ad agire nel più scrupoloso rispetto della legge, che viene invece violata da chi istiga a delinquere.
Non pretendiamo che la polizia rinunci ai suoi informatori, ma perché mandarli a infastidire cittadini onesti?
Questo viola le stesse regole d’ingaggio.
“A la guerre comme à la guerre”, si dice.
Ma non ci si lamenti se la guerra, poi, scoppia davvero – con tutte le conseguenze.
È però necessario sapere chi ne porta la responsabilità.
L’assassino dello Utah ha certamente compiuto un atto di guerra civile.
La responsabilità penale è però personale e non può estendersi a chi condivide le sue opinioni, tanto meno a cittadini italiani.
Tutto ciò premesso, ci domandiamo quale possa essere l’esito di un conflitto interno ai paesi occidentali.
Una vittoria strategica definitiva di una delle parti, con l’instaurazione di un regime ideologico, è oggi impossibile.
Le parti opposte non riescono tuttavia a convivere pacificamente.
Un possibile esito consiste nell’applicazione del principio “Cuius regio, eius religio”, che potrebbe portare all’indipendenza di alcune regioni – o, peggio ancora, alla dissoluzione degli Stati stessi.
Abbiamo paragonato Scajola a Lukashenko e Kim Jong Il, e la provincia di Imperia alla Bielorussia o alla Corea del Nord.
Ma mentre quei dittatori devono almeno formalmente attenersi alle leggi da loro emanate, qui assistiamo alla nascita di un potere de facto, dominato dall’arbitrio di un satrapo.
Venendo meno l’autorità centrale, dilagheranno squadristi e milizie paramilitari.
Non si tratta di una rinascita delle Signorie rinascimentali, ma di un ritorno ai feudi dell’Alto Medioevo – conseguenza della dissoluzione dello Stato moderno.