Dalle risse di Belgrado al movimentismo italiano – 19 settembre 2025
Nel Parlamento di Belgrado, trasformato dopo la Prima Guerra Mondiale nella capitale dell’effimero dominio di Re Pietro, i deputati croati e serbi, dediti abitualmente alle cosiddette “risse nell’emiciclo” – emulate in seguito dai loro omologhi italiani – arrivarono perfino a ingaggiare scontri a fuoco.
Avendo evidentemente trasgredito la norma che vieta ai deputati di entrare in aula portando con sé delle armi.

Il Regno, divenuto in seguito la “Jugoslavia” – utilizzando in entrambi i casi denominazioni inventate dalla diplomazia – era destinato inevitabilmente a dissolversi: una prima volta quando la Croazia approfittò dell’occupazione tedesca per dichiarare la propria indipendenza, e poi a causa della fine del comunismo.

Le tensioni esistenti tra gli eletti riflettevano però l’impossibilità della convivenza tra popolazioni divise da tutto: la storia, la religione e la lingua.
Tale situazione era dunque conseguenza delle tendenze separatiste esistenti tra le varie entità costrette alla coabitazione forzata.

Negli anni Cinquanta e Sessanta, anche a Montecitorio si veniva di frequente alle mani, e pure in questo caso gli eventi occorsi tra gli eletti costituivano il riflesso di contrapposizioni esistenti nel Paese.
Prima avvenivano gli scontri di piazza, che poi contagiavano le aule del Parlamento.

Ora il “movimentismo” imposto dalla Schlein a un partito di per sé riluttante, i cui eletti riempiono di “trolley” il Transatlantico in occasione dell’ultima sessione settimanale, impazienti di godersi il weekend, ha condotto i suoi deputati riluttanti a consumare un’aggressione fisica ai danni della maggioranza.
Tale azione è però partita in anticipo rispetto al “timing” fissato dal Nazareno, per cui la segretaria e la capogruppo hanno inutilmente tentato di frenare i loro correligionari, già scattati e impossibili da trattenere.

Ha tutto questo qualcosa a che fare con le tensioni – di origine sociale – che attraversano il Paese?
È quanto meno lecito dubitarne, come prova il fatto stesso che si cerca di usare la situazione di Gaza quale detonatore della protesta.

La condizione di quella martoriata località mediorientale viene già amplificata dai mezzi di comunicazione e dalle prese di posizione dei governi dell’Europa occidentale, i quali non cessano di protestare e di condannare Israele.

Siamo così vecchi da ricordare il Vietnam.
Anche allora le manifestazioni – che coinvolgevano tutto l’Occidente, a cominciare dagli Stati Uniti – vennero usate come detonatore di una protesta che, in prospettiva, avrebbe dovuto propiziare un cambio di governo.

Oggi, più ancora di allora, questo è il vero obiettivo perseguito dalla signora elvetico-germanico-statunitense: una ricca ereditiera straniera spedita in Italia per suscitare un movimento di protesta simile a quelli – innumerevoli ma modulati secondo lo stesso copione – che nel corso degli ultimi decenni hanno portato alla caduta di alcuni regimi, mentre altrove il loro unico risultato è consistito in un inasprimento della repressione.

L’esito dipende da due fattori:
l’ampiezza e il radicamento della protesta, e l’effettivo consenso di cui godono i diversi governi.

Le cosiddette “Rivoluzioni colorate”, ciascuna delle quali mutuava il proprio nome dall’iride, erano però suscitate dalla situazione interna dei vari Paesi.
In Italia si adotta invece un pretesto esotico e una causa del tutto estranea alla nostra identità.

Ciò dipende dal fatto che la condizione sociale della gran parte della popolazione non riguarda i componenti del governo e della maggioranza, ma neppure – ahimè – quelli dell’opposizione.

La sindaca Salis, che ha dichiarato che la chiusura dell’ILVA di Sestri Ponente non costituisce un problema grave, ha festeggiato il compleanno con una festa faraonica, presenti duecento invitati, esibendo una scollatura vertiginosa.
Non c’era qualcuno, nel suo entourage, capace di sconsigliare una simile ostentazione di lusso e di cafoneria davanti a una cittadinanza afflitta da seri problemi quotidiani?

La Salis appartiene alla stessa categoria di soggetti di “sinistra” che si godono una crociera nel Mediterraneo, non già a bordo delle navi della Costa – troppo affollate – bensì su panfili lussuosi ed esclusivi, come quello di Spinelli, di cui era ospite fisso il compagno Burlando.

Alcuni, dopo essersi resi conto della situazione in cui si erano cacciati, sono già sbarcati; altri – come l’inviata de La Stampa – sono stati espulsi per aver raccontato ciò che accadeva di poco edificante sulle imbarcazioni, le stesse che la Salis aveva solennemente salutato alla partenza da Genova.

L’obiettivo verrà comunque perseguito attraverso una mobilitazione di piazza.
Essendo escluso che i lavoratori scendano in sciopero per Gaza – tali azioni falliscono fin da quando i sindacati hanno avallato tutte le fregature inflitte alla classe operaia, purché perpetrate da governi di “sinistra” – la mobilitazione riguarderà due categorie di persone: i facinorosi e i provocatori.
Essa sfocerà inevitabilmente in atti di violenza tali da giustificare la conseguente repressione.

A quel punto tanto la Meloni quanto la Schlein avranno raggiunto i rispettivi obiettivi: l’una instaurando il suo regime, l’altra dimostrando alla stampa estera – ecco perché si è scelta una persona che parla correntemente le lingue dei Paesi di cui detiene il passaporto – che, per l’appunto, il regime è stato instaurato.
Dopo di che, potrà tornare a prendere il caffè negli eleganti locali della Bahnhofstrasse di Zurigo.

La tendenza ad affermare le diverse identità – in attesa di scomporre e ricomporre le varie entità statuali – si manifesta per ora in un arroccamento di ciascun soggetto nei propri privilegi, nel rispettivo ambito territoriale o sociale.

A Imperia si è consumata l’ennesima nomina di una nuova dirigente della “Rivieracqua”, avvenuta naturalmente per chiamata diretta – peraltro legittima, trattandosi di un soggetto di diritto privato – in favore di una componente della ristretta cerchia del sindaco, i cui membri appartengono a un clan familiare stretto alleato del primo cittadino.

Mentre aumenta il numero dei privilegiati cooptati nella casta dei governanti, si restringe la cosiddetta base imponibile da cui si traggono le risorse per mantenerli.
A loro importa soltanto arroccarsi nel privilegio, come i feudatari che nel Medioevo, in tempo di guerra, si rinchiudevano nei loro castelli.

“Si parva magnis componere licet”: l’Inghilterra stipula grandi contratti in materia di difesa con gli Stati Uniti di Trump, ricevuto con gli onori riservati ai sovrani esteri, segno che la Gran Bretagna intende ritirarsi al di là della Manica, affidandosi alla sua “relazione speciale” con l’America e abbandonando il continente europeo al suo destino, a cominciare dall’Ucraina.

Ci fu un tempo in cui l’atteggiamento prevalente – tanto in politica interna quanto in politica internazionale – era certamente dominatore, ma di tipo inclusivo: nelle faccende italiane assumeva la forma di un paternalismo basato sulle raccomandazioni.
Remo Gaspari dominò l’Abruzzo trasformando tutti i suoi compaesani in postini.
Oggi chi è favorito diventa dirigente di una partecipata.
Il rapporto numerico tra questa categoria e quella dei vecchi raccomandati è però di uno a mille.

Le segreterie particolari erano un tempo luoghi di una pur degenere aggregazione sociale.
Una conoscente si recò – su nostro incauto consiglio – a quella di De Mita, ad Avellino.
Ci riferì che la coda dei postulanti era tanto lunga da girare tre volte intorno all’edificio.
Bastava però avere pazienza e, dopo aver fatto una coda degna del Terzo Mondo, si veniva ricevuti.

Oggi, chi si avventura oltre la porta blindata della segreteria privata del sindaco viene accolto – come è capitato a noi – da una voce femminile isterica che grida: “Vada via! Se ne vada!”, prima ancora di aver identificato l’intruso, considerato tale a prescindere.

Se la sinistra si affidasse alla propria base sociale e la sollecitasse a rivoltarsi nel nome di una condizione sempre più miserevole, potrebbe anch’essa giocare la carta identitaria, sperando di giungere a un’applicazione del “cuius regio, eius religio”.
Sembra invece che ci si avvii verso la logica del “tutto o niente”, esattamente come hanno sempre fatto i palestinesi, i quali proprio per questo sono finiti male.

Ciò nonostante, vengono presi a modello dal partito ex comunista, che non guarisce dalla sua dipendenza dai “modelli” stranieri e, dopo aver preteso di “fare come in Russia”, sceglie ora di “fare come a Gaza”, trovandosi così, ancora una volta, dalla parte sbagliata.

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Mario Castellano  12/10/2025
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