LETTERA APERTA AL SEGRETARIO PROVINCIALE DEL PARTITO DEMOCRATICO – 20 settembre 2025
Illustre Signor Segretario Provinciale,
Nella mia vita ne ho viste – come si suole dire – di tutti i colori, ma non mi sarei mai aspettato di dover rivolgere una lettera a un fantasma.
Nel mio paese di adozione la gente crede fermamente nell’esistenza degli ectoplasmi, tra cui si annovera la buonanima di mio suocero, ucciso nell’ormai lontano 1951, e che da allora si aggira – per l’appunto quale “anima in pena” – nella casa di famiglia di Niquiriche.
Dove, però, non mi è mai apparso. Segno – a detta degli esperti in materia – che gli sono indifferente: se avesse avuto qualche contrarietà nei confronti del mio matrimonio, mi avrebbe spaventato; se invece lo avesse approvato, la sua apparizione sarebbe risultata benevola.
Ora anche Lei è da annoverare tra i fantasmi, facendo il paio con quello dell’Onorevole Natta, che si aggira nei saloni deserti della fatiscente sede di via San Giovanni, ove sconta i peccati della “Selvaggina”.
Credo che anche Lei sia destinato a permanere a tempo indeterminato nella categoria degli ectoplasmi.
Non verrà infatti celebrato l’annunciato congresso autunnale, in vista del quale non si sono neppure convocate le assise delle diverse sezioni, nel timore che nessuno vi partecipi, come già avvenne in occasione dell’assemblea degli iscritti del capoluogo, alla quale si presentò un solo tesserato, proveniente da Lecco.
Né si troverà qualcuno disposto a fare da Cireneo, portando una croce appesantita – fin dagli anni della “Selvaggina” – da innumerevoli errori e insuccessi.
Si dice che esista, nell’ambito del “Comitato di Reggenza” della Segreteria Provinciale (un istituto giuridico inesistente perfino nelle monarchie, inventato ad hoc per mascherare la vostra disastrosa situazione), una sorta di primus inter pares.
Costui dovrebbe teoricamente prendere in esame questa missiva, per poi metterne al corrente i suoi numerosi colleghi, i quali però risultano così diligenti, nella loro “entusiastica militanza”, da non essersi mai neanche riuniti.
La mia persona non gode, del resto, di particolari simpatie in via San Giovanni.
Molti anni or sono, Monsignor Castellano – poi protagonista dei vostri pranzi elettorali, premuroso verso la carriera di una nipote – sentenziò che io intendevo “vivere di politica”.
Si dà il caso che, in più di mezzo secolo di militanza, non ne abbia ricavato un centesimo, mentre la nipote prediletta da Sua Eccellenza ha tratto abbondanti guadagni dal suo “impegno”.
Proseguì la professoressa Oddone facendomi definire “assassino” dal fido Lorenzo Garibaldi, specializzato negli insulti su commissione.
Costui, avendo poi “trasceso”, si rese protagonista di note vicende giudiziarie.
Fu quindi la volta del vostro assicuratore, che mi diagnosticò una malattia mentale, confermata molto tempo dopo dal responsabile della campagna elettorale dell’Ispettore Bracco.
Quanto al consigliere provinciale Spalla, mi definì un “millantatore”.
Mi soffermo sull’asserita infermità mentale per ricordare come – essendomi stancato di sentirmela rinfacciare – mi feci periziare: lo psichiatra escluse ogni patologia, ma voi siete come i vostri colleghi sovietici, che certificavano le malattie mentali nei dissidenti.
Come vede, Illustre Signor Segretario, mi sono mantenuto fermo fino a oggi nelle mie convinzioni, malgrado la disistima – uso un eufemismo – ripetutamente manifestata da chi, come Lei, dovrebbe condividerle.
Ora però mi accingo a esporre i motivi della rottura con la Sua parte politica.
Non già perché “la misura è colma” (mi manca solo di essere accusato di violentare i bambini), ma perché avete imboccato una strada completamente sbagliata, tanto nel metodo quanto nel merito.
La vostra segretaria nazionale – cui dovete essere molto grati, dal momento che non rileva le violazioni dello statuto e non commissaria la federazione, come sarebbe normale in un partito appena decente – si propone di dare una spallata al governo mobilitando la piazza per una serie di manifestazioni che, nelle sue intenzioni, dovrebbero rovesciare il regime, come avvenne con le cosiddette “Rivoluzioni colorate”.
Movimenti favoriti da circostanze interne, ma anche da soggetti americani – come la figlia di un grande banchiere di Wall Street, afflitta, come molte signore del suo rango, da una sorta di bovarismo, attratta dall’afrore delle ascelle dei presunti “proletari”, che sono in realtà sedicenti rivoluzionari di professione.
La Schlein intende ora scagliarli contro la Meloni.
A me questo governo non piace, e non passa giorno senza che ne denunci gli errori, estensibili al suo epifenomeno locale, il “regime dei Bassotti”, sussidiario di quello romano.
Ma sono facile profeta nel prevedere che l’ondata di agitazioni fallirà.
Assenti gli operai – che i vostri stessi governi hanno decimato, riducendo l’Italia a Paese non più manifatturiero e privandoli dei diritti conquistati – le manifestazioni saranno affidate a professionisti del disordine, facilmente infiltrabili dai provocatori.
Seguirà la repressione.
Che però non toccherà chi si tutela con tre passaporti stranieri, né i facinorosi, ma i poveracci.
Quando Berlinguer approvò l’occupazione della FIAT, si disse che Togliatti non avrebbe mai commesso un simile errore: l’azione del movimento dei lavoratori, dalla Liberazione in poi, si era sempre svolta nel rispetto della legalità.
Sostenere la causa operaia violando la legge è contrario alla linea di tutta la democrazia italiana.
Lo stesso vale oggi per chi tenta di abbattere il governo con la violenza di piazza.
Questa azione è spinta dal “movimentismo” imposto al PD dai populisti di Conte e dagli estremisti di Landini, da cui la Schlein si lascia trascinare.
Gli obiettivi del movimento coincidono con quelli dei terroristi di Hamas, che vogliono distruggere Israele, negando il principio di autodeterminazione, fondamentale per tutti i democratici.
Si ripete così l’errore di chi approvò la repressione dell’Ungheria, poi reiterato dalla Federazione locale, che nel nome della “Politica della Selvaggina” appoggiò i crimini di Milosevic.
Se da quella politica il partito non trasse neanche un vantaggio economico, tanto meno aveva giustificazione politica.
Ora gli stessi errori si ripetono: si incorre in una duplice colpa – esporsi alla repressione e muoversi contro la Storia – la quale conduce inevitabilmente al diritto all’indipendenza di tutti i popoli, ebrei e palestinesi compresi.
Ma i palestinesi potranno costituire il proprio Stato solo se rinunceranno a distruggere Israele.
Finché manca questa condizione, non si tratta di patrioti, ma di terroristi, da reprimere come noi reprimemmo le Brigate Rosse – anche se, naturalmente, Lorenzo Garibaldi non era d’accordo.
L’adesione al principio di legalità resta per me, allora come oggi, un criterio dirimente.
Se il suo partito la rinnega, io non voglio avervi nulla a che fare.
Le auguro, in conclusione, di non essere travolto dalle macerie materiali della sua sede, simbolo di una rovina politica e morale ancora più grave.