Un giornalista di Radio Radicale ha posto il quesito se si sia prodotto il fenomeno del “Clericomelonismo”.– 22 settembre 2025
Un giornalista di Radio Radicale ha posto il quesito se si sia prodotto il fenomeno del “Clericomelonismo”.
Esiste cioè una componente organizzata del mondo cattolico dedita ad appoggiare la Presidente del Consiglio, il suo partito e, più in generale, l’attuale maggioranza?

Per rispondere, occorre risalire indietro nella storia d’Italia.
Mussolini – una volta realizzato il suo capolavoro politico con la stipula dei Patti Lateranensi – ottenne in cambio da Achille Ratti che l’intera struttura della Chiesa cattolica fosse trasformata in una delle tante organizzazioni di massa del regime.
Benché si trattasse, naturalmente, di quella più prestigiosa, più estesa e più radicata.

Tali aggregazioni inquadravano ogni espressione della società, procurando al “Duce” la sua reductio ad unum dal punto di vista ideologico.
Esistevano, naturalmente, in ambito ecclesiastico, personalità particolarmente influenti che operavano con discrezione in favore del fascismo.
In particolare, questo ruolo venne svolto dal gesuita padre Tacchi Venturi, al quale venivano segnalati i prelati in odore di antifascismo, puntualmente rimossi dai loro incarichi o comunque fermati nel cursus honorum.

Tra costoro figurava il nostro parroco, monsignor Orazio Boeri, il quale, per non avere mai nascosto il proprio dissenso dal regime, non divenne mai vescovo.
E, per la precisione, nemmeno monsignore, benché tutti lo chiamassero con questo titolo: in realtà era stato nominato soltanto protonotario apostolico.

Non esisteva però, nella Chiesa, una corrente filofascista organizzata.
Soltanto con la Repubblica di Salò venne tentato uno scisma, costituendo la “Crociata Italica” di don Calcagno, cui aderì però soltanto il due per cento del clero insediato nel territorio italiano ancora occupato.

La Meloni pratica nei riguardi della Chiesa una sorta di “politica del carciofo”, favorendo dal punto di vista economico determinati “gruppi ecclesiali”.
Ci siamo già dilungati in passato sull’affidamento a “cooperative” facenti capo alla Società delle Opere di reparti ospedalieri, prima in Lombardia e poi in Liguria.

Il movimento fondato da don Giussani, che si proponeva di trasformare l’Italia in uno Stato confessionale, finì per operare più concretamente su due piani.
Uno consisteva nel comporre l’ennesima corrente della Democrazia Cristiana, forte però soltanto in una parte della Lombardia e con scarse propaggini nelle altre regioni.
In Liguria, le sue sorti vennero affidate a una figura non certo di primo piano, quale era l’onorevole Mazarino De Petro, noto per il commercio di petrolio con l’Iraq, che avveniva aggirando l’embargo.

Alla vigilia della prima guerra del Golfo, gli aderenti a Comunione e Liberazione invitarono in Italia il ministro degli Esteri di Saddam Hussein, Tariq Aziz, finito in seguito in prigione, malgrado la protezione di san Francesco d’Assisi, cui si era recato a rendere omaggio in compagnia – se non andiamo errati – di Formigoni, anch’egli, non a caso, messo “al fresco”.

Se questa è la politica “cattolica” della Meloni, non ci pare che possa portarla molto lontano.
Perfino Antonio Socci ha attaccato Vittadini, rilevando impietosamente come il suo seguito si sia assottigliato a vantaggio di altri “movimenti ecclesiali”.

I meriti di Formigoni & Soci consistettero, a suo tempo, nel contrastare la sinistra nelle scuole e nelle università.
In seguito, tramontata la stagione detta della “contestazione”, il movimento si sgonfiò, avendo adempiuto alla sua funzione di “task force”.

Naturalmente, questa consorteria esiste ancora, come esiste ancora la “Bonomiana”, che conobbe la sua stagione di gloria durante la “Guerra Fredda”, avendo contribuito alla vittoria elettorale del 1948.
Oggi, però, alla Coldiretti non è iscritto neanche il figlio di Amadeo, e i superstiti dirigenti nazionali sono diventati anch’essi “meloniani”.

Domenica scorsa hanno organizzato un pranzo in Campidoglio, presente la Presidente del Consiglio, per promuovere la cucina italiana.
Costoro svolgono dunque per la Meloni lo stesso ruolo assunto da Prigožin per Putin e da “Braccioforte” per Scajola.

Dove si può registrare una convergenza effettiva, e dunque foriera di conseguenze politiche, tra la Presidente del Consiglio e la Chiesa cattolica, è nella comune tendenza ad affermare le identità.
Si tratta, però, a nostro avviso, di una convergenza tattica e non strategica.

L’identità cui Prevost fa riferimento è infatti quella che Cacciari ha definito “carolingia”.
Noi – pur con tutto il rispetto dovuto al Professore – preferiamo invece denominarla “neo-guelfa”.

Il Papa – abbandonate le interlocuzioni “terzomondiste” coltivate dal suo predecessore – intende rivendicare l’identità giudaico-cristiana dell’Europa, animando la sua resistenza nei confronti degli altri soggetti presenti sulla scena mondiale:
l’Ortodossia nel caso della Russia, l’Islam nel suo ambito storico e geografico tradizionale e il pensiero buddhista e confuciano per quanto riguarda la Cina.

Le identità – che hanno sostituito le ideologie quali fattori di aggregazione, in alcuni casi transnazionali e in altri casi, per così dire, infranazionali – possono allearsi tra di loro, come possono divergere, fino al punto di entrare in conflitto.

Il progetto di Leone XIV, data la debolezza – o meglio, l’inesistenza – dell’Europa quale entità politica, punta a fare assumere al Papato un ruolo egemonico rispetto all’Impero.
L’uno e l’altro – il soggetto depositario dell’autorità spirituale e quello titolare dell’autorità statuale – risultano necessari, ma destinati a un rapporto di reciproca concorrenza per l’egemonia.

L’identità cui si riferisce la Meloni non ha il grande respiro storico proprio dell’Europa, ma coincide con lo Stato nazionale italiano.
Di cui certamente la Presidente del Consiglio riconosce l’appartenenza al cristianesimo, ma senza tenere conto che questa religione si proietta su un ambito ben più ampio.

Una coincidenza tattica risulta tuttavia possibile, grazie al fatto che la sinistra italiana – incapace di cogliere i segni dei tempi, e dunque ancora nostalgica delle ideologie – finisce per aggregarsi a quella islamista, privandosi così di ogni riferimento alla nostra identità valido e spendibile nell’ambito culturale in cui questa parte politica deve operare.

Liquidato dunque facilmente questo “terzo incomodo”, l’alternativa sarà tra la sottomissione dell’Occidente ad altre culture oppure la sua aggregazione intorno all’ideale giudaico-cristiano.
La speranza di rovesciare il governo nel nome di un’alleanza innaturale con Hamas risulta completamente illusoria.

Paradossalmente, i leghisti sono oggi meglio collocati – su questo terreno – rispetto ai “Fratelli d’Italia”.
Bossi e Salvini furono in origine neopagani.
Essendo stata sottomessa la “Padania” – che all’epoca si chiamava Gallia Cisalpina – dagli antichi Romani, il cristianesimo veniva considerato come il risultato del colonialismo culturale praticato dal dominio straniero.

Venne poi l’idealizzazione dei movimenti ereticali del Medioevo, contrapposti al potere papale, anch’esso installato a Roma.
Ci si riferì dunque per qualche tempo ai Dolciniani, ai Catari e ai “Poveri di Lione”.
Si approdò infine – con un altro disinvolto volo pindarico – al tradizionalismo cattolico di Lefebvre, anch’esso scelto per la sua opposizione rispetto a Roma.

Ora i leghisti finiscono dunque per essere – loro malgrado – più clericali della Meloni.
Più che di “Clericomelonismo”, si potrebbe dunque parlare di “Clericoleghismo”.

Tra le figure più rilevanti di questa tendenza si annovera tale don Tam, il quale commemora i caduti papalini nelle guerre contro lo Stato italiano, ma si ricollega anche alla contrapposizione tra la Chiesa e l’Islam, evocata a Pontida dal generale Vannacci.
Il quale, non avendo mai partecipato ad alcun combattimento, auspica una riedizione di Poitiers, di Lepanto e dell’assedio di Vienna.

Se il generale aspira alla carica di Capo di Stato Maggiore delle nuove “Guardie Padane” – guidate a suo tempo dal sanremese Marco Siccardi, assurto al grado di “Generale a Quattro Stelle con Incarichi Speciali” – don Tam vorrebbe essere nominato Ordinario Militare.

La Meloni dispone però – più concretamente – delle autentiche Forze Armate:
l’Esercito già controlla le grandi stazioni ferroviarie, la Marina militare i porti e l’Aeronautica gli aeroporti.
La Schlein deve invece accontentarsi della sua “flottiglia”, che però fugge da una possibile battaglia navale con la Marina israeliana.

Send Comments mail@yourwebsite.com Saturday, April 25, 2020

Mario Castellano  14/10/2025
Copyright ilblogdimario.com
All Rights Reserved