La mediazione vaticana e la crisi politica italiana di fronte alla Flottiglia per Gaza 26 Settembre 2025
La misura della preoccupazione con cui la Santa Sede segue le vicende dell’Italia, paventando una nuova ondata di violenza, è data dalla volenterosa quanto generosa proposta di mediazione tra i dirigenti della cosiddetta “Flottiglia” (dietro ai quali si intravede l’Islam radicale), il Governo di Gerusalemme e quello di Roma.
Il quale, da un lato, ha voluto dimostrare – inviando due navi della Marina Militare – che intende proteggere le imbarcazioni battenti bandiera italiana da ogni insidia portata loro nelle acque internazionali, ma, dall’altro lato, ha giustamente ammonito – per bocca del Ministro Crosetto – che non può fare altrettanto se questi natanti violano le acque territoriali di un altro Paese.
Israele, dal canto suo, era disposto a lasciare che il cardinale Pizzaballa – godendo del particolare “status” a lui riconosciuto in quanto Patriarca Latino di Gerusalemme – portasse gli aiuti fino a Gaza.
Come peraltro ha già fatto, insieme con il suo confratello ortodosso, senza che le autorità militari di occupazione interferissero minimamente in tale opera umanitaria.
Designando il prestigioso porporato bergamasco quale soggetto incaricato di realizzare concretamente l’esito del negoziato, il Vaticano offriva ai naviganti della “Flottiglia” un ulteriore “atout”.
Pizzaballa è infatti un sostenitore dichiarato della causa palestinese, anche se ovviamente non può identificarsi con le istanze di Hamas, e tanto meno con i metodi praticati da questa fazione.
Il suo arrivo a Gaza quale latore di aiuti umanitari raccolti dai simpatizzanti della Palestina non soltanto in Italia, ma anche in altri Paesi dell’Occidente, avrebbe dunque costituito per costoro un successo da sbandierare davanti all’opinione pubblica.
Più che sufficiente, comunque, per “salvare – come si suole dire – la faccia”.
La Meloni, Tajani e Crosetto erano, da parte loro, preoccupati non tanto dall’eventualità di fronteggiare la nuova, annunziata ondata di proteste di piazza – che anzi conviene al Governo, offrendogli su di un piatto d’argento l’occasione propizia per scatenare una repressione generalizzata – quanto piuttosto dalla prospettiva di figurare come istigatori della violenza,
i cui autori rimangono ormai privi di giustificazioni e perfino di attenuanti,
avendo perduto l’occasione per qualificarsi come un soggetto politico accettato come interlocutore da ben tre soggetti di diritto internazionale.
Segno che costoro preferiscono mantenersi al livello di esecutori di un disegno altrui.
Montini invocò dalle Brigate Rosse un gesto umanitario, risparmiando la vita di Moro.
Non gli fu tuttavia possibile offrire nulla in cambio ai terroristi, e infatti la sua lettera – letta integralmente e proiettata sugli schermi durante una drammatica edizione straordinaria del telegiornale – non conteneva né la proposta di una contropartita né quella di una mediazione.
In questo senso, il Governo italiano esercitò delle pressioni sul Vaticano.
La cosiddetta “Linea della fermezza” – imposta da Berlinguer in cambio del suo sostegno all’esecutivo guidato da Andreotti – non poteva essere scalfita, volendosi precisamente evitare che una qualsiasi trattativa o mediazione costituisse un riconoscimento delle Brigate Rosse quale soggetto, per l’appunto, politico.
Vi fu chi parlò impropriamente addirittura di “olpizzazione” del gruppo terroristico, coniando un neologismo derivato dalle iniziali dell’“Organizzazione per la Liberazione della Palestina”, considerata addirittura un soggetto di diritto internazionale con tanto di ambasciata a Roma.
Ora i dirigenti della “Flottiglia” incassano il riconoscimento quale soggetto politico, ma respingono la mediazione del Vaticano,
ed escono dunque vincenti da questa mano della partita.
Ripetiamo che sarebbe loro convenuto, a maggior ragione, “fare – come si suole dire – filotto completo”, accettando la proposta del Vaticano,
qualora, beninteso, lo scopo perseguito da costoro non consistesse nel “tanto peggio, tanto meglio”.
I navarchi della “sinistra” non vogliono evidentemente entrare nella dialettica politica legalitaria e istituzionale.
Il loro scopo consiste viceversa nello scatenare la piazza,
proprio per questo hanno un assoluto bisogno di essere abbordati, sequestrati, arrestati ed espulsi da Israele,
meglio se con un dispiegamento particolarmente energico della sua forza militare.
Netanyahu non esiterà certamente a farne uso.
A questo punto, la misteriosa “Unione Sindacale di Base” lancerà il suo sciopero, già peraltro dichiarato, con tutto l’inevitabile contorno di violenze,
delle quali abbiamo già avuto un’anticipazione.
Perché la Schlein non ha suggerito ai “compagni” della “Flottiglia” di accettare la mediazione?
Se lo avesse fatto, e tanto più se la mediazione avesse avuto successo, il Governo si sarebbe trovato in difficoltà.
L’opposizione avrebbe infatti dimostrato di possedere il cosiddetto “senso dello Stato”, evitando di inasprire il contenzioso tra l’Italia e Israele, e impedendo che si scatenasse la violenza per le nostre strade,
ottenendo per giunta – dal suo punto di vista – un ulteriore titolo di merito, consistente nel dare un concreto sostegno ai palestinesi,
che Netanyahu non avrebbe potuto impedire.
La signora elvetico-germanico-statunitense, se quanto meno avesse auspicato l’accettazione della proposta del Vaticano, avrebbe dimostrato di essere filopalestinese, senza però affermare tale posizione a scapito della legalità,
che verrà invece violata inscenando manifestazioni non organizzate e proclamando scioperi senza preavviso nei servizi pubblici.
Per non parlare delle interruzioni di pubblico servizio commesse da chi impedisce il transito dei treni,
cui si aggiunge tutto il repertorio delle devastazioni e delle violenze contro la forza pubblica.
A questo punto, ci saranno in Italia – come peraltro avviene in tutte le cosiddette “democrature” – due opposizioni:
una ufficiale e legalitaria, seduta sui banchi del Parlamento, e un’altra illegale e violenta,
che però prenderà inevitabilmente il sopravvento su quella guidata dalla Schlein.
Togliatti e Berlinguer erano tanto ossessionati da questa prospettiva che il “Migliore” diffidava degli ex partigiani, ritenuti nostalgici dell’uso delle armi, mentre il marchese sardo si univa al Governo non soltanto nel reprimere il movimento del “Sessantotto”, ma anche nell’impedire che sfociasse nella costruzione di un’alternativa.
Ora si passa da un eccesso – causato dagli scrupoli legalitari dei dirigenti delle “Botteghe Oscure” – a quello contrario,
mettendosi al traino dei facinorosi, condannandosi a subire la loro egemonia e permettendo, in prospettiva, che essi finiscano per assumere la guida dell’unica opposizione reale.
“Dulcis in fundo”, abbiamo letto sulle pagine locali de “Il Secolo XIX” un lungo articolo “di analisi” (!?) sulla condizione in cui versa il Partito Democratico di Imperia,
che ormai dichiara un numero di iscritti inferiore a quello dei fedeli della parrocchia di Pontedassio.
Nel testo vengono spiegate tutte le beghe personali tra i “dirigenti”,
i quali non solo compongono un esercito formato unicamente da generali, cui mancano i soldati, ma passano il tempo a litigare tra di loro.
Non una parola è dedicata da costoro alle strategie.
Se ne ricava l’impressione che essi si accontentino delle briciole eventualmente cadute dal tavolo su cui banchettano i “Bassotti”.
E già se le contendono.
Giulio Cesare, in una splendida pagina del De Bello Civili, descrive i suoi nemici intenti ad accapigliarsi sulla spartizione del potere.
Il giorno dopo vennero però tutti quanti uccisi, dopo essere stati sbaragliati.
Nel caso dei dirigenti del nostro Partito Democratico, non ce n’è bisogno:
come ricorda l’articolista de Il Secolo XIX, hanno già provveduto gli elettori.
Su dieci consiglieri provinciali, il Partito Democratico ne ha uno solo.
Si tratta di tale dottoressa Bozano,
la quale – invece di occuparsi dei buchi nei tubi dell’acquedotto – si dedica alle vicende di Gaza.