L’Italia verso una violenza cronica: il fallimento della protesta e la crisi della sinistra
L’Italia, come eravamo stati autorevolmente avvertiti – e come avevamo a nostra volta avvertito i lettori – sta scivolando verso una situazione di violenza cronica, verso una fase storica contraddistinta da una violenza strisciante, che noi avevamo designato con il termine di “guerriglia civile”.
Da cui sarà difficile uscire, in quanto, da una parte, l’inevitabile repressione della violenza urbana non potrà verosimilmente eliminare questo fenomeno, ma, dall’altra parte, risulta impossibile un esito rivoluzionario consistente nella caduta del Governo.

Ciò è accaduto nel caso di alcune cosiddette “Rivoluzioni Colorate”, ma solo in quanto si erano mobilitati milioni di persone, paralizzando intere Nazioni.

Dalla giornata di lunedì ventidue settembre escono perdenti soprattutto due personaggi: la Schlein e Landini.
Il Tribuno di Canossa aveva annunciato uno sciopero generale di protesta contro il Governo italiano qualora la “flottiglia” fosse stata fermata, ovvero se ne fossero perdute le tracce.
Come era avvenuto per Antoniotto Usodimare, partito per circumnavigare l’Africa, di cui non si seppe più nulla.

I naviganti salpati da Genova continuano invece a informarci sulla loro crociera, dispensando agli utenti della comunicazione elettronica gustosi aneddoti sulla vita di bordo, cui evidentemente non erano abituati.
Lo prova il fatto che una di loro ha messo il pubblico al corrente di un singolare contrattempo: a causa di un’avaria, peraltro subito riparata, questa signora è stata costretta a svegliarsi alle sette di mattina.
Possiamo immaginare l’impressione causata dal suo disappunto sugli infiniti disgraziati costretti quotidianamente a balzare dal letto in ora antelucana.
Tale è la tempra dei nostri “rivoluzionari”.

Poiché la “flottiglia” è ancora localizzata nel Mediterraneo centrale, e dunque a prudente distanza dalle coste di Gaza, la condizione posta da Landini per scatenare addirittura uno “sciopero mondiale” (ricorrente in altri tempi nei propositi degli anarchici) deve essere considerata impossibile.
La condizione impossibile – come insegna il diritto – “vitiatur et vitiat”, e, di conseguenza, lo sciopero generale di Landini non c’è stato.

Si è viceversa verificato quello indetto da una sigla poco conosciuta, detta “Unione Sindacale di Base”, i cui vessilli sono stati innalzati nel corteo di Imperia, dove non si era mai saputo di una sua presenza.

L’astuto Landini, che non conosce il congiuntivo ma, in compenso, è molto esperto nelle manovre politiche, ha preferito delegare ad altri l’agitazione per due motivi, entrambi facilmente comprensibili: il fallimento nelle adesioni degli addetti alla produzione e la partecipazione molto parziale dei lavoratori addetti ai servizi avrebbero confermato – come è puntualmente avvenuto – la scarsa influenza della CGIL su tali categorie.
Inoltre, la repressione governativa risparmierà l’apparato dei funzionari delle Camere del Lavoro, i quali potranno così continuare indisturbati la loro attività di patronato, quella vertenziale essendo stata abbandonata ormai da tempo immemorabile.

La signora elvetico-germanico-statunitense sperava invece che la protesta, da lei stessa attizzata, sfociasse nella caduta della Meloni.
Il che non è avvenuto, e non avverrà.

La Schlein non metteva inoltre nel conto le violenze, che sono dovute a due fattori, entrambi prevedibili.
In primo luogo, anche se il pretesto costituito da Gaza avrebbe mobilitato una parte della base, dal momento che la propaganda ostile tanto a Israele quanto – di riflesso – al nostro Governo veniva già svolta efficacemente da tutti i mezzi di comunicazione, la vera motivazione che ha spinto i dimostranti alla violenza era costituita dalla loro condizione sociale, che permarrà, ed anzi si andrà sempre più aggravando, anche qualora, per ipotesi, la crisi del Medio Oriente venisse risolta.

Il pretesto “internazionalista” che ha scatenato la protesta verrà comunque dimenticato, o quanto meno passerà in seconda linea rispetto ai motivi di malcontento ben presenti nella società italiana.
Il soggetto cosiddetto “engagé” che guarda la televisione può indignarsi vedendo come sono trattati i palestinesi, ma anche la persona più lontana dall’impegno politico si arrabbia comparando lo stipendio percepito da una commessa del supermercato – pari a ottocento euro mensili – con le prebende elargite dal “Bassotto” ai dirigenti di “Rivieracqua” e del Comune, cioè decine di migliaia di euro quale compenso di un lavoro non svolto.
E che, qualora venga svolto, consiste nell’approvare senza fare una piega tutte le manifeste illegittimità consumate dal “Sindaco-Presidente”.

La Schlein contava naturalmente anche su questo per raccogliere adesioni alla protesta, che sta però generando la costituzione di un nuovo soggetto politico, mettendo la Segretaria nella classica condizione del cosiddetto “apprendista stregone” o di chi “cavalca la tigre”.

La partecipazione dei “democratici” alla protesta poteva risultare soltanto simbolica: al corteo di Imperia sono stati notati un esponente di “Verdi–Sinistra Italiana” e un solo seguace della signora elvetico-germanico-statunitense.
Si è viceversa constatata l’assenza tanto della Nonna – la quale, a causa dell’età ingravescente, non poteva verosimilmente marciare a piedi da Oneglia a Porto Maurizio – quanto del Nipote, la cui “défaillance” – trattandosi di un baldo giovane – risulta viceversa ingiustificata.

Il nerbo dei dimostranti è stato fornito dalla comunità islamica, il cui storico leader, Roberto “Hamza” Piccardo, umilia ancora una volta i “compagni” dell’ex Partito Comunista.
Nelle grandi città, quanti hanno assunto la guida del movimento erano invece dei giovani, in prevalenza di origine italiana, che hanno colto l’occasione offerta dai fatti di Gaza per sfogare la rabbia originata da una condizione sociale di emarginazione.

Questa è la principale differenza rispetto al Sessantotto e agli anni successivi: un tempo tutto sommato ancora di “vacche grasse”, specie se comparato con l’attuale.
L’altra differenza consiste nel fatto che il movimento di allora si scontrò non solo e non tanto con una repressione espressa dallo Stato, all’epoca guidato dalla Democrazia Cristiana, bensì soprattutto dal Partito Comunista, i cui dirigenti vedevano nella cosiddetta “contestazione” non già una spinta per realizzare l’alternativa, quanto piuttosto un ostacolo imprevisto alla propria cooptazione nel sistema di potere.
Che infatti sarebbe arrivata, con l’ingresso nel sottogoverno, una volta che il movimento era stato distrutto.

Ora il Partito Comunista, per fortuna, non esiste più, e il Partito Democratico – dopo avere aizzato la protesta, sperando di servirsene a proprio esclusivo vantaggio – se ne ritrae, per timore della violenza, ma ancor più avendo precisamente constatato che sta sorgendo un nuovo soggetto politico.
Il quale non è certamente dalla parte della ragione quando auspica la distruzione dello Stato di Israele, ma vi rientra nel momento in cui contesta, da una parte, un Governo autoritario, capace soltanto di aggravare l’ingiustizia sociale, e, dall’altra parte, una finta opposizione, che è soltanto in grado di condurre uno stanco gioco parlamentare, ma risulta assente da tutti i luoghi in cui si lavora e si elabora la cultura – non soltanto quella politica.

Nello scontro tra il nuovo movimento e un potere repressivo, il Partito Democratico è destinato dunque a rimanere annientato, avendo – come già si è detto – suscitato la protesta, ma non essendo in grado di condurla, per il semplice fatto che tale partito esiste ancora nelle istituzioni, ma non esiste più nel Paese reale.

La cooptazione dei comunisti nel sottopotere li ha ridotti infatti nella stessa condizione in cui si erano trovati i socialisti nel 1968.
Alcuni di loro si accodano individualmente al movimento, altri vi si oppongono per via di un “riflesso d’ordine” e addirittura passano, con armi e bagagli, nel campo opposto.
Non è un caso che Scajola abbia arruolato nel suo seguito un grande numero di staliniani.

Altri ancora sono spariti, come la Nonna e il Nipote.

L’esito immediato, in un autunno che sarà purtroppo prevedibilmente costellato di violenze, non può che essere la repressione, seguita da una situazione del tipo “L’ordine regna a Varsavia”, oppure da una cronicizzazione della violenza.
In entrambi i casi sorgerà inevitabilmente un nuovo soggetto politico.

Il ciclo del “Partito della Selvaggina”, contrassegnato dalla compravendita e dalla prostituzione di una finta opposizione – dopo avere prodotto un vuoto completo di presenza e di iniziativa politica, durato per più di una generazione – è comunque giunto alla fine.

Ringraziamo Dio per averci fatto vivere questo giorno.
Noi non speravamo più di vederlo.

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Mario Castellano  17/10/2025
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