Questa mattina siamo stati svegliati dalla notizia della fine ingloriosa della crociera intrapresa dalla “flottiglia”.
Agli israeliani è bastato svegliare nottetempo gli equipaggi facendo uso delle “bombe acustiche” – il nostro amico Osvaldo “Braccioforte” Martini Tiragallo, per descrivere tale azione, direbbe che li hanno “stransonati” (verbo equivalente, nella nostra bella lingua “braccese”, tanto all’italiano “assordare” quanto a “stordire”) – per gettare nel panico i croceristi.

Trattandosi di gente simile ai personaggi de Il giorno di Giuseppe Parini, che cade nel panico dovendosi alzare alle sette, si è trattato verosimilmente di un trauma gravissimo.
Sui malcapitati è stato per giunta irrorato il cosiddetto “peperoncino”, colpendo – dopo l’udito – anche la vista e l’olfatto.
Costoro sono stati menomati letteralmente in tutti i sensi.

Probabilmente l’ambasciatore di Israele è addivenuto con Tajani a un accordo sul metodo da usare per fermare i naviganti, costringendoli a un rientro inglorioso nei porti di provenienza, ma senza colpo ferire.
Oltre a qualche lieve danno alle imbarcazioni, non si riportano infatti lesioni gravi.
Quelle inferte dalla forza aerea israeliana sarebbero infatti considerate “lievi” in base alla nostra giurisprudenza, perseguibili dunque soltanto “a querela di parte”.
L’altro reato commesso dai piloti di “Tsahal” – abituati a ben più rischiose missioni di guerra – è quello di danneggiamento, anch’esso non perseguibile d’ufficio.

Tanto basterà comunque ai gloriosi naviganti per rientrare a Genova circonfusi dall’aureola dei martiri.
Cristoforo Colombo – se l’America non fosse esistita – non avrebbe potuto ritornare al di qua dell’Atlantico, non disponendo di acqua dolce a sufficienza.
Don Giovanni d’Austria, se avesse lasciato le acque di Lepanto senza affrontare la flotta del Sultano, non verrebbe oggi omaggiato come un eroe dall’intero mondo cristiano, passando viceversa alla storia come un pusillanime.
I naviganti spediti dalla Schlein nelle acque del Mediterraneo verranno invece ricevuti al loro ritorno quali “eroi internazionalisti”.

Questa definizione ci conduce alla prima delle tre lezioni che si possono trarre dall’accaduto.
Berlinguer – dicendo che si sentiva più al sicuro in Occidente, una valutazione maturata dopo che i servizi segreti sovietici avevano tentato di eliminarlo in Bulgaria simulando il solito “incidente stradale” – iniziò un processo di affrancamento da tre diverse influenze: una era costituita dai finanziamenti di Mosca, un’altra era rappresentata dall’obbedienza al Cremlino, la terza, e più nefasta, era la sudditanza ideologica, che impediva la revisione, e dunque la possibilità di proporre agli italiani un modello credibile.

Il rifiuto di quello semi-asiatico offerto da Stalin e dai suoi successori non soltanto veniva espresso dalla maggioranza dei nostri concittadini, ma anche da una quota sempre più rilevante degli stessi militanti della sinistra.
Alla Schlein è bastato adottare il paradigma islamista di Hamas – un movimento che si vanta di precipitare gli omosessuali dai grattacieli – per compiere a ritroso e in un solo colpo tutto il cammino intrapreso dal marchese sardo e proseguito, sia pure faticosamente e contraddittoriamente, dai suoi successori.

La signora elvetico-germanico-statunitense non vuole trasformare l’Italia in un altro dei vecchi Stati “satelliti” dell’Europa orientale, bensì in un califfato islamico.
Se ci riesce, occorre predisporre il telone dei pompieri per evitare l’esito fatale della sua caduta dai piani alti, trattandosi di un’omosessuale dichiarata.

Non risulta dunque casuale che la discordia sia entrata nel campo di Agramante.
Sulla “flottiglia” erano già scoppiate liti furibonde tra gli aderenti al movimento che riunisce omosessuali e transessuali e i sostenitori “puri e duri” di Hamas.
Tutti quanti si erano imbrancati in modo indistinto, ma la traversata ha fatto emergere le divergenze.

Tra i milleottantasette imbarcati da Garibaldi a Quarto, una volta arrivati a Talamone, era sorto un dissidio tra quanti acconsentivano a offrire il Regno di Napoli a Vittorio Emanuele di Savoia e i repubblicani irriducibili, i quali ultimi, una volta sbarcati, vennero dirottati sullo Stato Pontificio, dove vennero sbaragliati dalla pur imbelle gendarmeria.
Questo manipolo di disperati era guidato da tale Zaniboni, passato alla storia – a causa del suo insuccesso – come “l’inetto Zaniboni”, per contrapporlo al più fortunato “Eroe dei due mondi”.

Se le liti che hanno dilaniato i croceristi sono rimaste irrisolte, la piazza italiana era invece egemonizzata dagli islamisti.
I cosiddetti “froci”, essendo notoriamente alieni dalla violenza, hanno ceduto il sopravvento ai gagliardi giovani musulmani detti “di terza generazione”, i quali hanno sfogato la loro rabbia sulla polizia.

La seconda lezione che si può trarre dall’esito della battaglia aeronavale combattuta nelle acque di Creta, già teatro del combattimento di Capo Matapan, riguarda la fine del “turismo politico”.
Tempo fa abbiamo inviato alla rappresentanza in Italia della Generalità di Catalogna un libro che ricorda tutti gli italiani combattenti per la Repubblica spagnola.
Tra essi figurava il nostro indimenticabile maestro di politica e di morale Luciano Carlo Farini, già esule antifascista a Mosca, combattente sul fronte dell’Ebro e poi comandante partigiano, il quale in Spagna divenne l’amante di Constancia de la Mora, una nobildonna della più alta aristocrazia che si era separata dal marito rimanendo fedele alla Repubblica, morta in seguito in Messico per un incidente stradale e autrice del libro Gloriosa Spagna.

In esso racconta una vicenda che coinvolse molti nostri illustri connazionali: da Nenni a Pacciardi, da Longo a Vidali e ai fratelli Rosselli.
Abbiamo anche conosciuto due liguri combattenti per la Repubblica: il sanremese Vittorio Guglielmo e il savonese Pacifico Calambrone.
I “Garibaldini di Spagna” pagarono un prezzo di sangue altissimo alla causa antifascista.

Ogni tragedia però, come insegna Marx, viene replicata quale farsa.
E la farsa – di cui fummo desolati testimoni – sarebbe andata in scena in Nicaragua, dove il “turismo politico” italiano, e più in generale occidentale, avrebbe toccato i vertici del ridicolo, con i “volontari” che si improvvisavano raccoglitori di caffè – uno dei lavori agricoli più difficili – con il risultato di rovinare le coltivazioni, e con i loro dirigenti che si mettevano al servizio di una polizia politica inquadrata dai tedeschi orientali, la quale coniugava l’ottusità dell’autoritarismo prussiano con la ferocia degli indios “Nauhatl”, dediti fin da prima della Conquista a una perenne guerra tribale tra i “Xaltevas” e i “Subtiavas”.
In quella guerra finimmo per essere, nostro malgrado, coinvolti, essendo stati uccisi nostro cognato e nostro nipote.

Passi per le avventure tragicomiche di chi giocava alla rivoluzione.
Quanto risultava inaccettabile era la pretesa dei sandinisti di imporre all’Italia il loro modello, che consiste nella guerra civile permanente.
C’era però nella nostra sinistra chi si faceva convinto assertore di una tale delirante pretesa: alludiamo ai “Veltroniani” Claudio Bernabucci, Dario Conato e Marcella Marchioni Strangeli.
Tra i futuri “Rifondatori” brillavano invece Filippo Beltrami e Luisa Morgantini, alla quale il Comune di Bologna ha affidato la dirigenza delle “Mense del Popolo”, con il risultato di produrre una gestione economica disastrosa.

Potremmo proseguire a lungo nell’aneddotica; preferiamo piuttosto anticipare la terza e più grave delle nostre conclusioni.
I “turisti politici” finiscono quasi sempre per essere strumenti inconsapevoli nelle mani altrui e usati per un disegno che essi non sono neanche in grado di decifrare.
A volte si tratta di propagandisti che non conoscono minimamente il contesto culturale in cui vengono proiettati, con il risultato di rendere poco credibili nei Paesi di origine le storie che raccontano.
Altre volte, costoro vengono invece usati da soggetti completamente diversi rispetto ai loro referenti ufficiali e apparenti.

La “flottiglia” è stata attaccata solo dopo che un’ondata di manifestazioni aveva dimostrato il sentimento di simpatia di ampi strati della popolazione italiana nei riguardi dei palestinesi di Gaza, che indubbiamente si trovano in una condizione miserevole, dalla quale però possono uscire soltanto con l’emigrazione.
I Paesi arabi li respingono.
Non rimane dunque che l’imbarco verso l’Europa, dove l’azione di solidarietà nei loro confronti produrrà quanto meno l’effetto di farli ricevere a braccia aperte, come era già avvenuto per i siriani vittime di Assad, i quali furono applauditi nelle stazioni ferroviarie tedesche, come a suo tempo i reduci dal fronte occidentale – tanto più omaggiati in quanto perdenti.

Prepariamoci dunque a ricevere i “Gazawi”, i quali però arriveranno da noi già radicalizzati e pieni di risentimento non solo nei confronti di Israele, ma anche nei riguardi dell’Occidente, i “crociati” essendo notoriamente alleati e complici dei “sionisti”.
Questo dice la propaganda dell’Islam radicale.

Non c’è da temere soltanto la violenza contro gli israeliti – già di per sé esecrabile – ma anche una ulteriore spinta estremista (di cui non si sentiva assolutamente il bisogno) nelle comunità islamiche.
Per non parlare della difficoltà di assorbire una nuova massiccia ondata migratoria, il cui arrivo risulta però tanto più probabile in quanto i persecutori dei musulmani non si sono limitati a distruggere Gaza, ma hanno anche colpito – sia pure in modo non altrettanto cruento – i “marinai” della “flottiglia”, usati come pretesto per un’operazione che invoca la causa della Palestina, ma mira soprattutto a incrementare la presenza islamica nell’Europa occidentale.

I cui governi – compreso quello italiano – non potranno negare il proprio contributo a una soluzione “umanitaria” della crisi, che conviene a Israele, non essendo più nella necessità di sterminare la popolazione civile; conviene ai Paesi arabi, i quali non dovranno ricevere ospiti sgraditi; e conviene infine agli stessi nostri dirigenti.
Costoro infatti si appunteranno una medaglia per avere impedito un esito ancora più tragico, dimostrandosi ospitali nei riguardi dei nuovi venuti.
Chi avrà più da guadagnare sarà però Hamas.
I “Fratelli Musulmani”, di cui questo gruppo costituisce la sezione palestinese, piazzeranno in Europa un numero enorme di combattenti e di aspiranti “shahid”, cioè di “martiri”.

“Mohammed” Bensa, a questo punto, può andare tranquillamente in pensione.

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Mario Castellano  16/10/2025
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