Autonomia e Identità: il voto nelle Marche e in Valle d’Aosta
L’esito elettorale delle Marche – disastroso per la Sinistra – ha obnubilato quello, viceversa molto positivo, conseguito dall’alleanza tra i Democratici e gli Autonomisti di varie tendenze, che conferma il Governo uscente della Valle d’Aosta, ampliando il precedente risultato, che fu comunque già positivo per questa Coalizione.
In apparenza, la formula del cosiddetto “Campo Largo”, che non ha funzionato ad Ancona, si dimostra viceversa efficace altrove nel captare il consenso degli elettori.
In realtà, per vincere non basta imbarcare indiscriminatamente chiunque.
Occorre definire degli obiettivi comuni, che non possono esistere se si contrae un matrimonio con un soggetto di difficile definizione – usiamo un eufemismo – come il Partito “Pentastellato”.
Il quale sorse sull’onda di un effimero successo di Grillo – più in qualità di comico che in qualità di politico – arruolando ogni genere di persone, accomunate però da due caratteristiche: si trattava di soggetti che cercavano nella cosiddetta “politique politicienne” un ascensore sociale tale da migliorare la loro condizione economica, provenienti, inoltre, per giunta, dall’estrema Destra.
Tipico il caso della Raggi, formata alla scuola di un fascista dichiarato quale Previti, e sostenuta al secondo turno da tutto quel “demi-monde” romanesco che, fin dalla fine della Seconda guerra mondiale, gravita intorno al “nostalgismo”, variamente declinato.
Il successo ottenuto dalla “Sindaca” annunziò pertanto quello – ben più ampio – mietuto successivamente, a livello nazionale, dalla Meloni.
I “Pentastellati” non votano mai, comunque, per i candidati democratici con cui sono teoricamente coalizzati.
I “Democratici” osservano, invece, la disciplina di Partito nel sostenere i seguaci di Conte, con cui, per giunta, i sostenitori della Schlein si dichiarano alleati, mentre quelli di Grillo rifiutano tale qualifica.
Può sopravvivere un matrimonio se uno dei coniugi si dichiara sposato, mentre l’altro lo nega?
La Schlein non fa nulla per chiarire questo equivoco, in quanto il suo calcolo, di ben corto respiro, consiste nell’allineare delle sigle sulla scheda elettorale, facendo attenzione a non chiarire su quali basi venga stipulata l’alleanza, per il semplice motivo che queste basi, in realtà, non esistono.
Risulta rivelatrice, a tale riguardo, la vicenda della Liguria.
Orlando rifiutò di riunire intorno a un tavolo le forze politiche convergenti sulla sua candidatura, tra cui era nostra intenzione inserire anche gli Autonomisti Liguri, la cui unica istanza consisteva – oltre alla richiesta di figurare con il proprio simbolo sulla scheda – nell’ottenere da parte dei Convergenti una presa d’atto delle loro istanze, che poteva limitarsi a riprodurre testualmente quanto afferma lo Statuto della Regione, a suo tempo approvato all’unanimità dal Consiglio, in merito all’identità delle genti della Liguria e alla loro aspirazione storica all’Autodeterminazione e all’Indipendenza.
Orlando mentì, facendo dichiarare dal responsabile della sua campagna elettorale che il confronto sul programma, rifiutato nella forma di una riunione dei diversi Partiti e Movimenti, sarebbe avvenuto in occasione dei confronti con gli elettori, che in effetti vennero celebrati nei capoluoghi, ma senza che il pubblico avesse diritto di parola.
Se questa è democrazia, tale regime esiste anche nella Corea del Nord.
In Valle d’Aosta, la linea condivisa tra i Democratici e i Partiti locali consiste nella difesa dell’Autonomia contro le pretese centralistiche dell’attuale Governo di Roma.
Oggi i fautori del decentramento sono costretti – in tutta l’Europa occidentale – a giocare, per così dire, in difesa, il che permette tuttavia di trovare nuovi interlocutori e di stipulare nuove alleanze, basate anche sul riconoscimento di un’identità comune.
Nelle Marche, l’identità regionale risulta particolarmente forte, come abbiamo potuto constatare vivendo per un certo tempo tra i suoi contadini.
Il parroco di Urbisaglia, l’ottimo don Marino, pronunziava l’omelia domenicale nella sua lingua regionale.
Questo creava qualche problema di comprensione a noi forestieri, ma gli procurava anche il nostro apprezzamento.
Se si fosse trovato con noi Osvaldo “Braccioforte” Martini Tiragallo, avrebbe certamente invitato il prevosto nel suo ristorante.
L’identità è stata però rappresentata – nel caso delle Marche – dalla Destra, che infatti ha vinto.
Il pur bravo Ricci ha impostato erroneamente la sua campagna elettorale sulla falsariga delle prescrizioni impartite dalla Schlein.
Farsi portavoce dell’Islam radicale in una terra dove – come abbiamo ricordato ieri – la gente accende i fuochi sulle colline per indicare agli Angeli la via che conduce da Nazaret a Loreto durante il trasporto della Santa Casa è risultato addirittura suicida.
Come pure la diffusione del Buddismo ad opera del professor Bargnesi, con tutto il pittoresco seguito dei suoi sodali “macrobiotici”.
Bargnesi si proponeva quale “Grande Elettore” di Ricci, ma è stato il primo responsabile della sua disfatta.
La causa regionalistica, quella cioè delle cosiddette “Patrie negate”, che risultarono tali per effetto del processo di formazione degli Stati nazionali, esige – per risultare egemone – la rinuncia previa alle pregiudiziali ideologiche.
Il partito di lingua tedesca del Tirolo meridionale ha composto il Governo della Provincia di Bolzano insieme con i Fratelli locali della Meloni, ottenendo però in cambio il ripristino di alcune norme che erano state abrogate dai Governi precedenti.
Con il risultato paradossale che l’Esecutivo più centralista ha finito per dimostrarsi più aperto, nei confronti delle istanze autonomistiche, rispetto a quelli anteriori, cioè gli ultimi Governi dell’agonizzante Centro-sinistra.
Non certo in quanto la Presidente del Consiglio abbia trovato la sua Via di Damasco, bensì perché neanche la Signora della Garbatella può sottrarsi al rapporto di forze, reso evidente – e soprattutto spendibile nell’azione di governo degli Enti locali – dall’esistenza di forze autenticamente autonomistiche.
Sánchez governa la Spagna grazie al sostegno di due grandi Regioni tradizionalmente separatiste: la Catalogna e il Paese Basco.
Tra le altre cosiddette “Autonomie”, soltanto le Asturie sono guidate dalla Sinistra nazionale.
In tempi di dilagante centralismo, il Paese iberico è riuscito ad andare in controtendenza, avendo gli Autonomisti e gli Indipendentisti ottenuto un ampliamento dei poteri attribuiti alle due Regioni.
Certamente la radice dei loro rispettivi movimenti politici è antifascista.
Ciò non deve però impedire, quando le tendenze identitarie prevalgono su quelle ideologiche, di stipulare alleanze “trasversali”, precisamente nel nome del principio di Autodeterminazione.
Per questo abbiamo apertamente dissentito dalla scelta, compiuta dai nostri amici della Corsica, di non invitare alle loro “Ghjurnate” di Corte i Fiamminghi, i Tirolesi, i Bavaresi ed altri soggetti accomunati dalla stessa causa.
Non ci stanchiamo di ricordare un aneddoto molto significativo, risalente già ad alcuni anni or sono.
I Catalani avevano deciso di organizzare una grande manifestazione a Bruxelles, dove si riversarono a migliaia.
Né tutti costoro potevano permettersi un pernottamento in albergo, né peraltro la capienza turistica della città permetteva di alloggiare così tanta gente.
Si decise così che ciascun militante fiammingo ospitasse per una notte un catalano.
Conversando in francese – tutti gli abitanti tanto della Catalogna quanto della Fiandra parlano correntemente questa lingua – gli uni scoprirono che i Fiamminghi non erano “fascisti”, o ancora peggio “nazisti”, benché alcuni di loro avessero collaborato durante la guerra con l’occupante tedesco.
I Fiamminghi, però, non volevano l’Indipendenza perché erano “nazisti”: erano “nazisti” perché volevano l’Indipendenza.
Gli altri poterono, di converso, verificare come i Catalani non fossero “comunisti”, malgrado le etichette applicate ad entrambi dalla rispettiva propaganda ufficiale “centralista”, dedita logicamente a giustificare l’assimilazione culturale.
La Valle d’Aosta continuerà dunque a procedere sulla via dell’Autonomia, intrapresa fin da quando il Trattato di pace di Parigi impose all’Italia di riconoscerla, smentendo da un lato le mire annessionistiche della Francia, ma dall’altro lato ponendo un freno alla pretesa di Roma di omologare una popolazione alloglotta.
E permettendo così – per la fantasia della Storia – che si formasse un’area in cui l’identità di transizione, propria anche della Liguria occidentale, fosse riconosciuta.
La Valle d’Aosta è italiana dal punto di vista giuridico ed è francese in base alla sua lingua ufficiale, ma il suo popolo appartiene alla grande area culturale di espressione e di radice occitana, essendo il provenzale l’idioma usato comunemente.
L’uso del francese venne paradossalmente imposto dal Piemonte nel tempo precedente l’Unità d’Italia, quando la Valle era congiunta con la Savoia dal punto di vista amministrativo.
Ora, però, il regionalismo si fa strada anche a Chambéry.
Se l’identità, in conclusione, prevale sulle ideologie, chi la difende deve riconoscersi reciprocamente al di sopra delle divisioni prodotte artificiosamente dalla politica del Novecento.
Il nuovo secolo vedrà inevitabilmente – ed anzi già vede – la rinascita dei soggetti regionali.

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Mario Castellano  08/11/2025
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