Nell’imminenza delle due giornate di sabato 3 e domenica 4 ottobre – destinate in ogni caso a segnare una svolta nella nostra vicenda nazionale – abbiamo ascoltato due fonti: l’una connessa con i vertici delle Forze di Polizia e l’altra con quelli del Governo.
Entrambe – pur non conoscendosi tra di loro – hanno disegnato un quadro della situazione coincidente anche nei particolari.
Lo riassumiamo per i lettori, prima di aggiungere – tenendole ben distinte dalle informazioni ricevute – le nostre valutazioni.
Il ministro Piantedosi ha diramato alle Questure e ai Comandi provinciali dell’Arma dei Carabinieri una direttiva riservata, con cui prescrive alle Autorità preposte alla tutela dell’ordine pubblico l’uso più energico della forza nel reprimere ogni atto o comportamento illegale, che risulta ampiamente prevedibile ed anzi già realizzato a Torino, dove i manifestanti, essendo penetrati nella sede destinata a ricevere la von der Leyen, in visita ufficiale in città, l’hanno devastata, rendendola inagibile e provocando il probabile rinvio dell’incontro con la Presidente della Commissione europea.
La quale poteva naturalmente essere ospitata in altra sede, ma nella situazione attuale è più prudente che si tenga alla larga.
Ciò prefigura la difficoltà nel ricevere in futuro analoghe visite, soprattutto a Roma, creando dei problemi tanto allo Stato italiano quanto alla Santa Sede.
La violenza di piazza troverà comunque una risposta particolarmente energica, e tale da stroncarla, per lo meno nell’immediato.
A quale prezzo, lo sapremo sabato sera, quando si potrà tracciare un bilancio della “due giorni” appena iniziata.
Speriamo che non “ci scappi – come si suole dire – il morto”.
Anche se tale esito risulterebbe funzionale agli interessi – e forse anche ai disegni – di entrambe le parti in contesa, come cercheremo di spiegare.
La repressione di una violenza già programmata, aizzata dalle dichiarazioni rilasciate a Copenaghen dalla Meloni e destinate ad alimentare un incendio già peraltro appiccato, produrrà comunque gli effetti auspicati dal Governo.
La Presidente del Consiglio, allevata fin dall’età di quattordici anni in vista di un ritorno alla guerra civile, non vede l’ora di regolare i conti con la gente “de Sinistra”, con la quale è abituata a confrontarsi soprattutto nelle piazze.
Sabato sera, Piantedosi potrà proclamare che “l’ordine regna a Varsavia”, anzi, a Roma e nelle altre “cento città d’Italia”.
Questo per quanto riguarda l’esito immediato delle proteste programmate.
Per ciò che attiene ai loro effetti politici, l’occasione offerta dai disordini è quella che la Meloni attendeva fin dal momento del suo insediamento a Palazzo Chigi per dichiarare l’instaurazione del suo regime.
Il fascismo istituì la festività del 28 ottobre in quanto, in tale data, il Re aveva rifiutato di fermare la “Marcia su Roma”, anche se in realtà Mussolini sarebbe divenuto Presidente del Consiglio qualche giorno più tardi.
Il regime venne instaurato però formalmente in seguito al famoso discorso del 3 gennaio 1925 – quello passato alla storia per la citazione del “bivacco di manipoli” – quando il “Duce” uscì vincente dalla crisi causata dal delitto Matteotti.
Venne quindi l’emanazione delle cosiddette “leggi fascistissime”, che abolivano l’esercizio legale dell’opposizione.
Quali saranno i nuovi strumenti giuridici di cui si avvarrà la Meloni?
Questi strumenti, in realtà, già esistono.
Basti pensare al fatto che ogni ufficiale di polizia giudiziaria – in base al cosiddetto “Decreto Rave Party” – può intimare lo scioglimento, pena l’arresto e la condanna dei presenti, di ogni “assembramento” di almeno cinquanta persone qualora, a suo insindacabile avviso, metta in pericolo l’ordine pubblico o la salute pubblica.
Anche, in teoria, se si tratta dei partecipanti a un funerale che camminano dietro al morto.
Se Mussolini non modificò una sola virgola dello Statuto, oggi basta instaurare “de facto” una prassi nel mantenimento, per l’appunto, dell’ordine pubblico.
Sarebbe interessante, a tale riguardo, consultare la circolare inviata nelle scorse ore dal Viminale.
Si tratta, peraltro, pur sempre di un atto legislativo, anche se posto al livello più basso nella cosiddetta “gerarchia delle fonti”.
Chi però – forse senza nemmeno rendersene conto – ha segnato la rottura del quadro costituzionale è, paradossalmente, l’opposizione.
Landini, nel tentativo affannoso di appiccicare il proprio francobollo su una protesta indetta e guidata dalla misteriosa “Unione Sindacale di Base”, ha addotto quale giustificazione del mancato preavviso dello sciopero nei servizi pubblici la violazione delle norme costituzionali da parte del Governo.
In altre parole, ha denunciato la consumazione di un colpo di Stato, per cui non si ritiene più tenuto ad agire soltanto nell’ambito della legalità.
Noi abbiamo denunciato ripetutamente la manifesta illegittimità costituzionale di diversi atti – tanto legislativi quanto amministrativi – emanati dal Governo.
Il “Decreto Rave Party” non è certamente l’unico: basti pensare alla nomina di innumerevoli “commissari straordinari”, che assommano competenze tanto dello Stato quanto delle Regioni, non in via provvisoria, bensì senza che venga indicato un termine finale.
Alle Regioni vengono così sottratti poteri loro conferiti dalla Costituzione.
Perché dunque denunciare il colpo di Stato in seguito ad atti emanati dalle autorità di un Paese straniero nell’ambito della loro competenza, che come tali non possono venire imputati ad alcun organo dello Stato italiano?
L’unico motivo plausibile di tale comportamento consiste nella necessità di coinvolgere nella protesta quanta più gente possibile, sfruttando la propaganda filopalestinese offerta da tutti i mezzi di comunicazione, nonché l’abbordaggio della “Flottiglia”, salpata da Genova precisamente per ottenere tale scopo.
Siamo dunque entrati nella logica propria dei conflitti civili, che scoppiano quando le parti non si riconoscono più in regole condivise.
Lo sciopero generale viene denunciato dagli uni come illegale, mentre gli altri lo ritengono la giusta reazione all’illegalità in cui – a loro avviso – è incorso il Governo.
Abbiamo saputo dai nostri interlocutori che l’esecutivo esclude nel modo più assoluto la possibilità di una cronicizzazione delle violenze.
Dopo il “Sessantotto”, ci vollero ben sei anni di incubazione prima che iniziasse il terrorismo, la cui prima manifestazione fu il rapimento – ancora incruento – dell’ingegnere Idalgo Macchiarini della Sit Siemens, avvenuto nel 1974.
Questo esito – naturalmente ingiustificabile – si sarebbe evitato se il Partito Comunista avesse scelto la via della costruzione dell’alternativa, dando alle proteste un esito legalitario.
Se Curcio e Franceschini scelsero di diventare degli assassini, Berlinguer decise a sua volta di tradire quella parte del Paese che aspirava a un cambiamento pacifico, quale oggi – a differenza di allora – risulta viceversa impossibile, trovandoci di fronte a una nuova “democratura”.
La cronicizzazione della violenza ha però anche altre cause, che esistono oggi e non c’erano negli anni Settanta.
Una è costituita dal disagio dei giovani.
La scelta dell’illegalità da parte di alcuni nostri coetanei fu il risultato delle loro astrazioni ideologiche, adottate come pretesa giustificazione di comportamenti criminali.
Renato Curcio, raccomandato da monsignor Piazza – di cui era il figlio spirituale prediletto – poteva aspirare a un’agiata sistemazione, cui lo aveva destinato – malgrado i suoi manifesti limiti intellettuali – la Chiesa.
Franceschini era invece figlio di un alto dirigente del Partito Comunista.
Chi aveva la sua stessa fortuna ha fatto agevolmente carriera, a prescindere dalla preparazione acquisita.
C’era perfino qualcuno che aveva uno zio alto prelato e un altro zio dirigente delle Botteghe Oscure.
In questo caso, la concentrazione delle eredità genetiche produsse risultati tanto più eclatanti se comparati con la pochezza di simili persone.
Oggi, invece, tutte le analisi dei sociologi sulla cosiddetta “Generazione Zeta”, che riempiono le pagine dei giornali, ammoniscono sulla preparazione di una miscela sociale esplosiva.
Non tutti hanno la fortuna di essere figli di una grande banchiera di New York.
L’ultima differenza col passato è costituita dall’influenza dei servizi segreti stranieri.
Negli anni Settanta, l’Unione Sovietica non aveva interesse a destabilizzare i Paesi occidentali, che potevano ripagarla con la stessa moneta, come peraltro sarebbe avvenuto più tardi.
Oggi, invece, l’islam radicale non nasconde le proprie mire sull’Europa.
Noi non siamo propensi a credere nelle teorie dette “del complotto”.
Nessun detonatore produce lo scoppio se manca l’esplosivo.
Quando però c’è questa sostanza, il detonatore viene sempre procurato da chi ha interesse a destabilizzare un Paese.
Chi ha pagato cinquanta panfili di lusso comunque destinati ad andare perduti, sia in quanto Israele li avrebbe requisiti, sia perché le assicurazioni non risarciscono i danni di guerra?
Per non parlare di tutte le altre spese.
I provocatori sono già in azione, come dimostrano i fatti di Torino, che risultano funzionali a due distinti disegni.
Qualcuno vuole sottrarre la guida dell’opposizione a chi rimane ambiguamente incerto tra la scelta legalitaria e il ricorso alla violenza, ma qualcun altro – se addirittura non si tratta dello stesso soggetto – intende offrire al Governo il pretesto, atteso peraltro da tempo, per instaurare la “democratura”.
La Meloni e i suoi sostenitori commettono però un errore quando credono di impedire che la violenza diventi cronica.
Queste persone non sono in grado di decifrare né la situazione sociale né lo spirito del tempo, il famoso Zeitgeist, che non propizia – contrariamente a quanto avveniva un tempo – l’adesione alle ideologie, ma favorisce la tendenza ad affermare le identità.
A Manchester, un musulmano fanatico ha ucciso due israeliti.
Oggi ci siamo imbattuti nella gente che andava al corteo.
C’era qualche attempato e patetico esponente dell’estrema sinistra nostrana, munito delle sue ormai logore bandiere.
Prevalevano però di gran lunga – essendo gli uomini comunque impegnati nel lavoro (i dipendenti irregolari non possono scioperare) – le donne musulmane, tutte quante intabarrate nei loro indumenti tipici ed intente a trascinare con sé la numerosa figliolanza.
La Schlein danza discinta su un carro allegorico del “Gay Pride”, ma non ha bambini, salvo che ricorra, come la Meloni, all’inseminazione artificiale.
Le “madri dei credenti” – come le definiva il Profeta Maometto (che la pace e la benedizione siano su di Lui) – ricorrono invece a metodi più tradizionali, e ben più efficaci.