Kafka, antisemitismo e politica italiana: riflessioni sul caso Fiano e sulla crisi del dibattito pubblico
Franz Kafka, con la sensibilità e la chiaroveggenza proprie dei grandi artisti, aveva anticipato l’Olocausto nel suo romanzo Il Processo, il cui protagonista finisce per rinunciare a difendersi, non essendo accusato di aver commesso una particolare azione. Nel qual caso, a volte, risulta possibile fornire la prova contraria.
Josef K. risponde di una colpa ontologica, e il suo peccato consiste nel fatto stesso di esistere. Per questo la pena di morte non soltanto costituisce l’unica sanzione adeguata, ma addirittura un rimedio per eliminare il male dal mondo. Queste furono precisamente le motivazioni addotte da Hitler per sterminare gli Israeliti.
Noi non sappiamo se l’Onorevole Fiano abbia letto Il Processo. Sappiamo però che questo noto e benemerito esponente del Partito Democratico dimostra di non aver meditato a sufficienza il capolavoro di Kafka. L’Autore non si riferisce espressamente agli Ebrei, ma la vicenda narrata pare alludere — senza che Kafka potesse ancora saperlo — agli effetti dell’antisemitismo.
“Semper judaeus, semper judaeus”: quando si è macchiati di una colpa ontologica, non serve distinguersi da quanti la condividono. Questa colpa, infatti, non lascia alcuna possibilità di redenzione.
L’Onorevole Fiano ha partecipato a numerose manifestazioni nelle quali ha espresso il suo più radicale dissenso verso l’operato di Netanyahu, ma non si è mai spinto fino a negare il diritto all’esistenza dello Stato di Israele, che sorge in base all’esercizio del diritto all’autodeterminazione. Se Israele cessasse malauguratamente di esistere, questo principio cesserebbe di essere in vigore, anche per l’Italia.
Fiano si ostina dunque ad applicare le categorie giuridiche che costituiscono il riflesso, nel diritto, dei principi dell’Illuminismo, il quale affermò dapprima i diritti dell’uomo, estesi successivamente alle collettività, e dunque ai popoli.
Secondo l’Islam cosiddetto “radicale”, gli Ebrei non sono soltanto privi del diritto all’autodeterminazione, ma dello stesso diritto all’esistenza. Per cui a Fiano si sarebbe impedito di parlare — come è accaduto all’Università di Ca’ Foscari — perfino se si fosse associato a quanti propugnano la distruzione dello Stato di Israele. Essendo ebreo, secondo costoro, Fiano non ha neanche il diritto di vivere.
Il noto esponente politico, pur protestando giustamente per il trattamento incivile che ha subito, continua tuttavia a credere che le categorie giuridiche e filosofiche occidentali possano essere accettate anche in partibus infidelium, cioè tra quanti ammettono soltanto un’interpretazione letterale del Corano, ritenuto “increato” e quindi non interpretabile in relazione al contesto storico della sua redazione, o meglio della sua asserita dettatura divina.
Fiano dovrà dunque, sia pure con rammarico, prendere atto del fatto che il conflitto mediorientale rimane insolubile, come abbiamo scritto nei giorni scorsi riprendendo quanto affermato da un noto studioso francese dell’ebraismo. Da una parte si fa appello al diritto internazionale e al pensiero filosofico che lo ha ispirato; dall’altra ci si basa soltanto sul precetto religioso, o sulla sua interpretazione da parte delle correnti più estreme dell’Islam, le quali risultano dominanti nel proprio ambito e trascinano sulle loro posizioni anche la sinistra occidentale.
Lo dimostra la partecipazione pedissequa — neppure scalfita da un minimo distinguo — del Partito Democratico alle manifestazioni di sostegno alla Palestina, nelle quali confluiscono anche esponenti di destra in cerca di consensi ottenuti attraverso la più bassa demagogia. Costoro, tra cui figura anche il Sindaco di Imperia, hanno però un vantaggio sull’Onorevole Fiano: se arrivano ad accettare il principio secondo cui Israele non ha diritto di esistere, salvano quanto meno la pelle, risultando immuni dalla colpa ontologica di essere ebrei. Ciò aggrava però la loro responsabilità morale.
Un reggitore della cosa pubblica ha infatti il dovere di tutelare la convivenza pacifica tra i consociati, essendo questa — secondo la dottrina — la stessa ragione d’essere dello Stato. Scajola, invece, dice in sostanza agli islamisti e ai loro associati non musulmani che possono proporsi di sterminare gli Israeliti, purché egli venga risparmiato.
Umberto Saba, molto povero, quando entrarono in vigore le sciagurate leggi razziali del 1938, perse anche quelle piccole collaborazioni giornalistiche che gli permettevano di sopravvivere. Il Re, trattandosi di una gloria della letteratura nazionale, gli offrì ospitalità e protezione da parte di Casa Savoia. Il poeta rispose che, essendo perseguitati gli altri Ebrei, voleva essere perseguitato anche lui: l’unica risposta coerente all’ingiustizia era la condivisione.
Nessun dirigente del Partito Democratico ha però dato prova di analoga coerenza. Sarebbe stato infatti doveroso dire a quanti hanno impedito a Fiano di parlare: “Siamo tutti Ebrei”.
Così i capi del Nazareno hanno dimostrato di non credere in nulla di ciò che proclamano: non esprimono solidarietà a un loro dirigente; non reagiscono a una limitazione oggettiva delle libertà civili; assumono un atteggiamento di passività complice davanti a una grave manifestazione di razzismo, mettendosi al traino di chi, prendendo a pretesto la Palestina, mira a destabilizzare l’Italia.
Da una parte offrono alla Meloni un pretesto per accentuare l’autoritarismo del governo; dall’altra dimostrano che non esiste una terza via tra la “democratura” e l’islamizzazione.
Il nostro Sindaco crede anch’egli di potersi barcamenare tra queste due alternative. Scajola ritiene di trarre profitto da questa situazione conflittuale, comportandosi come se la nostra Provincia fosse un soggetto indipendente de facto e accentuando il carattere autoritario del proprio “governo”.
Il Sindaco critica la magistratura, in particolare la Procura di Cuneo, che — nell’inerzia di quella di Imperia — ha vietato la circolazione di veicoli adibiti al servizio pubblico che mettevano in pericolo l’incolumità dei cittadini. In Piemonte un gruppo di studenti ha rischiato di morire bruciato su un autobus, provocando la segnalazione della situazione da parte del Sindaco e il conseguente intervento della magistratura, che ha erogato soltanto sanzioni amministrative, senza procedere per il reato di “esposizione di persone al pericolo”. Di tale reato non sarebbe stato comunque imputato il Sindaco–Presidente.
Scajola dovrebbe dunque mostrarsi grato al potere giudiziario per non aver infierito su qualche suo seguace alla guida della Riviera Trasporti, facendo tuttavia cessare una situazione di pericolo che avrebbe potuto determinare la perpetrazione di altri reati, certamente colposi ma ben più gravi.
Ci pare, in conclusione, che il Sindaco anteponga la preservazione dell’immagine della sua amministrazione — pur considerandola lato sensu, dato che la “R.T.” non è un organo né della Provincia né del Comune, bensì solo un soggetto di diritto privato — al benessere dei cittadini. Nel momento in cui Scajola dimostra di non preoccuparsi della loro incolumità, li considera alla stregua di sudditi privi perfino del diritto personale all’incolumità fisica. Al posto dei diritti, si affermano i privilegi, come quello conferito a chi si è sottratto a un esproprio per pubblica utilità.
Se l’amministrazione comunale riteneva necessaria questa misura per l’interesse dell’ente pubblico, avrebbe dovuto emanarla. Se invece il bene immobile non doveva essere acquisito dal Comune, il suo acquisto può essere considerato come un beneficio indebitamente elargito a un privato cittadino. L’opposizione dovrebbe pronunciarsi per escludere che, in ciò che è stato deciso, non vi sia un venir meno al dovere di controllare l’operato dell’amministrazione comunale.