Occidente, censura e guerra: tra propaganda e pacifismo
L’Occidente sembra attraversare una fase di schizofrenia.
Da una parte, ci si immerge sempre più in una situazione di guerra.
Dall’altra parte, si rimuove la possibilità stessa che la guerra possa scoppiare.
Mentre in realtà è già iniziata, essendo state via via introdotte tutte le discipline in vigore durante i conflitti.
Una delle quali consiste nella censura.
Che tuttavia non può essere imposta formalmente.
Lo impediscono da una parte la mancanza della Dichiarazione di Guerra o della proclamazione dello Stato di Guerra Interna, e soprattutto la vigenza delle norme costituzionali poste a garanzia della Libertà di Espressione.

A tutto ciò si rimedia a livello locale – complice la scarsità dei mezzi di informazione (a Imperia rimane soltanto l’Ufficio di Corrispondenza de “Il Secolo XIX”, mentre quello de “La Stampa” è perennemente chiuso) – mediante il costante invio di “veline” provenienti dall’apposito Ufficio del Comune.
Mentre la democrazia è noiosa, la dittatura è molto divertente, ed anzi assomiglia a una sorta di “Paese dei Balocchi”.
Durante il Fascismo, si inventava ogni giorno una nuova trovata propagandistica, che poteva consistere in una “campagna” ideologica o in una nuova “Opera del Regime”.
Verso la fine, l’intrattenimento delle masse cominciò a essere assicurato dalle azioni di guerra.
Questo fu il primo segnale della fine.

Il Regime “Bassotto” propende per le Opere Pubbliche, di cui si susseguono l’annuncio, la presentazione del progetto, la sua approvazione, il finanziamento e la “Posa della Prima Pietra”.
A questo punto, non rimarrebbe che l’Inaugurazione.
Per prolungare e moltiplicare il suo effetto propagandistico, non se ne celebra però una sola, bensì tante quante sono le “tranches”.
Tale rateizzazione è anche dovuta al fatto che a volte finiscono i soldi quando l’opera non è ancora terminata.
Si festeggia dunque quanto realizzato e ci si dà appuntamento all’“Inaugurazione” successiva.
In genere anch’essa parziale.

Per quanto riguarda la “Pista Ciclabile”, chi ne ha tenuto il conto è riuscito a enumerarne già cinque.
E non è finita.
In tutti i sensi, dato che il tracciato dell’ex Ferrovia permette un’ulteriore estensione della passeggiata.

Ieri, a Ventimiglia, si è celebrata l’apertura della Stazione Internazionale.
Che era però tale fin dal 1870, quando – per volontà dell’allora Presidente della Camera dei Deputati, Giuseppe Biancheri – si congiunse la linea per Genova con quella per Marsiglia.
In realtà, si è teso un nuovo filo dell’Alta Tensione (anche l’elettrificazione era avvenuta molto tempo fa), ma ora è aumentato il voltaggio.
Tutti i Sindaci della Provincia sono stati chiamati comunque ad applaudire.

I cittadini che danno un’occhiata alle “locandine” dei giornali, più numerosi di quanti li leggono al bar, e ancor più di quanti si possono permettere di comprarli, vengono sottoposti a un continuo bombardamento di annunci mirabolanti.
Che durante il “Ventennio” erano più rari, essendo diffusi dai Cinegiornali “Luce”, proiettati in tutte le sale prima della programmazione di intrattenimento.
Tutto questo per dire che a Imperia non c’è bisogno della censura.

In sede nazionale, essa risulta sempre più necessaria, ma viene praticata nella forma dell’autocensura.
Il “Corriere della Sera” ha intervistato il Ministro degli Esteri della Russia.
Il quale – non essendo notoriamente uno sprovveduto – ha preteso le domande e le risposte scritte.
Questa prassi costituisce un grosso favore per il giornalista, dato che l’intervistato non può lamentare a posteriori di essere stato malinteso, “tagliato” o addirittura riferito in modo deliberatamente distorto: Scripta manent.
Poiché però Lavrov aveva detto qualcosa di sconveniente, la Direzione lo ha censurato, asserendo che le sue risposte risultavano “non pubblicabili”.

Sembra di essere ritornati ai tempi delle “Brigate Rosse”, i cui documenti venivano definiti “deliranti” o “farneticanti”, ma quasi mai pubblicati.
Dato che i terroristi sparavano delle “cazzate”, la migliore propaganda contro di loro sarebbe consistita precisamente nel riferirle.
In effetti, le analisi sullo “Stato Imperialista delle Multinazionali” si collocavano allo stesso livello intellettuale dei temi della maturità svolti dagli studenti più asini, comunque promossi in seguito al cosiddetto “Voto della Commissione”.
Questa scappatoia favorì a suo tempo alcuni noti esponenti della politica locale.

Censurando gli sproloqui di Curcio, di cui ad Albenga resta proverbiale l’ignoranza, i cittadini finivano per credere che contenessero chissà quali verità, nascoste dal Potere in quanto per esso pericolose.
Oltretutto, si trattava di testi prolissi e noiosi, la cui lettura sarebbe stata lasciata a metà dalla maggior parte delle persone.

L’Ambasciata di Russia ha naturalmente pubblicato l’intervista per intero.
Facendo fare una pessima figura agli scribi di via Solferino.
La cui autocensura, frutto di piaggeria nei confronti delle Autorità, li ha spinti a nascondere delle affermazioni che non potevano produrre alcun effetto eversivo.

Mentre i giornalisti tradiscono in questo modo la propria funzione e dimostrano di essere già “embedded”, come si dice fin dal tempo delle “Guerre del Golfo”, senza bisogno di vestire il giubbotto mimetico senza le maniche, eretto a “status symbol” dei Corrispondenti di Guerra ed usato per atteggiarsi a eroi, ma anzi non si spostano neanche fino a Mosca per interloquire con Lavrov, si fa sempre più ampia la schiera dei “Pacifisti”.
La cui diffusione e il cui frenetico attivismo costituiscono un ulteriore sintomo dell’imminenza della guerra.

Jean-Paul Sartre dipinge di costoro un ritratto ironico e spietato ne “Il Rinvio”,
in cui vengono descritte tutte le loro sottospecie.
Le cui caratteristiche vediamo riflesse nei loro emuli di oggi.

Le signore dell’Alta Borghesia parigina che raccoglievano firme per evitare lo scoppio della guerra ricordano una nostra ex Consigliera Comunale, la quale procura al Corteo per Gaza l’adesione di un soggetto di cui è – come si suol dire – “massa e dirigente”.
In simili personaggi convivono due atteggiamenti: lo snobismo e la paura.
Non già della guerra in sé, trattandosi di persone poste al riparo di tutte le sue conseguenze spiacevoli, quanto piuttosto della necessità di prendere posizione.

La guerra è certamente un male, ma costituisce anche lo strumento utilizzato da ben definiti soggetti che intendono imporsi mediante la violenza.
La quale può essere fermata ricorrendo a un’altra e opposta violenza.
L’altro modo per impedire che l’ingiustizia venga perpetrata consiste nel dichiarare con forza e nel modo più chiaro che non si è disposti a subirla passivamente.

Nel 1938 ci si illuse che fosse possibile l’esatto contrario, e cioè che la violenza si sarebbe evitata dichiarando che non la si sarebbe contrastata.
A costo di arrendersi.
Quando poi la prepotenza si fosse imposta, la si sarebbe avallata, accettando i suoi risultati.
Questo avrebbero fatto i cosiddetti “collaborazionisti”.

Sartre spiega molto bene come Monaco – la stessa parola designa da allora la vergogna di chi si arrende senza combattere – fosse essenzialmente il frutto del rifiuto di assumere le proprie responsabilità.
Ponendo sullo stesso piano il torto e la ragione, tra cui non si voleva scegliere per timore delle conseguenze.

Si può naturalmente sostenere che la reazione di Israele al Sette Ottobre sia stata eccessiva, e in quanto tale ingiusta.
Se però si considera ingiusta anche la violenza perpetrata da Hamas, si sarebbe dovuto organizzare qualche protesta anche per quanto commesso dai terroristi.
Nessuno però di coloro che in seguito hanno sfilato contro Israele se ne era minimamente dissociato.

Supponiamo che Israele, per evitare ogni impopolarità, si fosse astenuto dall’intervenire a Gaza.
Come Daladier e Chamberlain avevano rifiutato a suo tempo di sostenere la Cecoslovacchia.
In tal caso, avremmo assistito non già a cortei di protesta, bensì a manifestazioni di esultanza come quelle che avevano accolto per l’appunto Daladier al suo ritorno a Parigi.
Il Presidente del Consiglio credette in un primo tempo che i dimostranti accorsi all’aeroporto intendessero trattarlo come un traditore.
Quando seppe che lo stavano osannando, commentò: “Che coglioni!”
Su questa battuta si conclude il racconto di Sartre.

Le posizioni nello stesso tempo realistiche e coerenti erano allora – e sono oggi – soltanto due.
O si accetta la necessità di comportarsi secondo il principio del vim vi repellere, e in tal caso si accetta la necessità di affrontare la guerra.
Oppure si afferma che la ragione sta dalla parte dell’aggressore.

Subito dopo il Sette Ottobre, girando per la città, abbiamo domandato a tutti i Musulmani che incontravamo – amici, conoscenti o sconosciuti – quale fosse la loro opinione sull’accaduto.
Tutti quanti – sia pure con diverse sfumature – espressero approvazione, e in qualche caso addirittura entusiasmo.
Tra i non musulmani, solo pochi espressero delle posizioni analoghe.
Quando però venne la risposta di Israele, anche chi aveva dissentito da Hamas si diede a protestare.
Mettendosi così oggettivamente al seguito di chi portava la responsabilità della guerra, avendola provocata.

Supponiamo che questo conflitto finisca per coinvolgerci.
Chi ha manifestato per Gaza sarà disposto ad arrendersi pur di farlo cessare.
Dopo di che, ci metteremo tutti il turbante, o altro copricapo islamico.
Il nostro Sindaco lo porta da molto prima del Sette Ottobre.

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Mario Castellano  29/11/2025 articolo del 14/11/2025
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