Crisi istituzionale e umiliazione del Quirinale: analisi politica
La crisi istituzionale aperta con la denuncia di un asserito comportamento scorretto tenuto da un consigliere di Mattarella si è conclusa con una pubblica, reiterata e definitiva umiliazione del Presidente della Repubblica.
Il quale rimane formalmente alla guida dello Stato, ma ormai ridotto a un ruolo irrilevante anche dal punto di vista formale.
Se davvero il Presidente fosse stato ispiratore del piano sovversivo illustrato da un deputato fedelissimo della Meloni, mandato avanti per mettere in risalto il rapporto di forze con il Quirinale, ormai disastrosamente squilibrato in favore di Palazzo Chigi, l’unico possibile precedente storico sarebbe quello costituito da Luigi XVI, catturato a Varennes e ricondotto a Parigi.
La Monarchia sarebbe durata formalmente ancora per qualche mese, ma il Sovrano era ormai tenuto in ostaggio dai Rivoluzionari.
I soldati incaricati di scortarlo tenevano i fucili rovesciati, e il giovane tenente Bonaparte, che comandava il picchetto d’onore sulla soglia del Palazzo Reale, non poté trattenere un’esclamazione in italiano.
Napoleone, rivolto a Luigi XVI, gridò: «Che coglione!».

In realtà, l’ultimo dei Borbone di Francia non fu capace né di adattarsi al suo nuovo ruolo di Sovrano costituzionale, né di guidare una Restaurazione.
Non sapendo che pesci prendere, si rivolse dapprima agli altri Sovrani europei, sperando che provvedessero in sua vece a tale bisogna.
Poi, visto che l’intervento straniero non veniva, tentò di fuggire.

Mattarella non ha mai tramato contro la Meloni, ma la Signora della Garbatella agisce contro di lui come se avesse le prove di tale intrigo.
Le quali dimostrano – sempre che non siano false e fabbricate per assecondare i disegni della Presidente del Consiglio – soltanto due cose.
In primo luogo, che nello “entourage” del Presidente vi sono dei soggetti in pieno disaccordo con il Governo.
Il che costituirebbe comunque un loro pieno diritto uti cives.
Non pare, peraltro, che tale opinione abbia influito sul comportamento del Capo dello Stato.
Il quale, a Roma, viene soprannominato eloquentemente “Firma Tutto”.

Qui il precedente è costituito da Vittorio Emanuele III, che promulgò perfino le “Leggi razziali”.
Senza manifestare alcuna perplessità, ma esprimendo soltanto commiserazione per i sudditi israeliti.
I quali videro mal ripagata la loro lealtà.

In secondo luogo, la Meloni finge di avere scoperto che a Berlino e a Parigi i nostri alleati europei sono coscienti dell’evidente contraddizione tra gli indirizzi assunti dalla politica interna ed estera italiana e la cultura politica liberaldemocratica,
che ha sempre ispirato le democrazie del Continente, ma è visceralmente rigettata dalla Meloni.
Di qui sorge un dissidio molto più insidioso e insanabile di quelli che esplodono regolarmente sulle più svariate questioni contingenti tra i soci dell’Unione,
e che è destinato a portare l’Italia fuori dall’Europa, verso una deriva mediterranea e “terzomondista”.

Al pari del complotto ordito da Mattarella manovrando un suo consigliere – che in realtà non è mai esistito, o tutt’al più è esistito soltanto negli auspici e nelle intenzioni, ma non si è mai concretizzato in un tentativo di rovesciare il Governo – è ugualmente frutto di invenzione anche l’asserito intrigo internazionale ordito dalla von der Leyen d’intesa con Scholz e Macron, che avrebbe dovuto provocare una sorta di colpo di Stato “bianco” diretto da soggetti stranieri.
I quali si sarebbero proposti di rovesciare l’attuale Maggioranza.
Il Parlamento avrebbe agito dunque come il Gran Consiglio nella seduta del Venticinque Luglio.
In quel momento, gli Americani già occupavano la Sicilia.
Oggi, più modestamente, una portaerei britannica sta incrociando tra Roma e Napoli (anche la “Perfida Albione” trama contro l’Italia, in combutta con Francia e Germania), ed era pronta a sbarcare le “Teste di cuoio” incaricate di arrestare il Governo,
qualora avesse resistito al colpo di Stato.

Qui il paragone più appropriato risulta quello con il putsch tentato contro Erdoğan,
che probabilmente fu una provocazione ordita dal Sultano per fare emergere i propri nemici e regolare i conti con loro.
Nel caso dell’Italia, è bastato dispiegare l’apparato spionistico di cui dispone il Governo,
il quale dimostra di controllare tutto ciò che si dice al Quirinale.
Se il Presidente della Repubblica viene spiato in tal modo, possiamo immaginare che cosa succede ai privati cittadini.

Un assessore di Imperia ha detto a una consigliera dell’Opposizione che vorrebbe indagare sulla sua vita privata.
In realtà, costui si augura di pubblicare quanto già acquisito nelle indagini.
Il Sindaco, intanto, querela i giornalisti e, per dimostrare ai sudditi che ripara i torti da loro subiti, impedisce che venga rimossa un’automobile in sosta vietata.
Poiché i vigili urbani – proprio a causa dell’esercizio di tale funzione – vengono notoriamente detestati, il “Primo Cittadino” dice loro ad alta voce quanto i comuni mortali non possono dire,
pena una denuncia.
Salvo poi usarli per acquisire informazioni sulla vita privata delle persone.
Il che è ben più grave delle ispezioni condotte dall’assessore Oneglio sui dehors di bar e ristoranti.

Siamo già, peraltro, arrivati alla presentazione di liste cosiddette “civetta”.
Chi vi si è candidato, o semplicemente le ha sostenute, è stato schedato.
Come se postulare per il Consiglio comunale, o dichiarare il proprio voto, costituisse un grave indizio di sovversione e dell’intenzione di commettere reati politici.
Non è casuale che venissero fatti circolare dei notori provocatori, incaricati di procurare adesioni all’Opposizione,
cui venivano attribuiti da costoro dei fantomatici propositi insurrezionali, mai messi in atto.
Salvo che si consideri tale la speculazione edilizia dei “Granatini”.

Il Governo nazionale procede intanto speditamente nella costruzione della “democratura”,
come dimostra l’uso sistematico, improprio e spregiudicato dei Servizi segreti rivelato dallo scontro con Mattarella.
Ancora una volta, i “Servizi” hanno “deviato”, come succede regolarmente in tutte le fasi cruciali della nostra vicenda civile.
Mussolini faceva pedinare dall’OVRA il principe Umberto per raccogliere prove della sua omosessualità.
Lo scopo era impedire la successione al Trono, su cui avrebbe dovuto pronunciarsi il Gran Consiglio.
Ora il Quirinale torna a essere oggetto di spionaggio.

Dall’altra parte, l’Esecutivo, mettendo nel conto quella crisi dell’Unione Europea che si prospetta con la fine della guerra in Ucraina, prepara un distacco dal resto del Continente e si accinge a prendere il largo nelle acque del Mediterraneo,
se non addirittura in direzione di altri Continenti.
Dove troverà certamente dittatori e semidittatori pronti a fornire il proprio appoggio a un’Italia “terzomondizzata” anche dal punto di vista politico,
nel nome del comune risentimento contro l’Occidente.

Il vero obiettivo dell’operazione con cui si è tentato di “mascariare” il Presidente della Repubblica non è l’innocuo inquilino del Quirinale, quanto piuttosto l’Europa, che tutti gli altri soggetti attivi sullo scenario internazionale hanno interesse a smembrare: divide et impera.
Quale errore è stato non far valere il Trattato “del Quirinale”, ideato precisamente per porre rimedio – quanto meno parziale – alla deriva dell’Italia.
E quale errore ha commesso Estrosi quando ha creduto di fermare tale deriva negoziando con il suo collega di Imperia, senza neanche far valere un rapporto di forze che vedeva ancora Nizza avvantaggiata rispetto a Imperia: a Scajola è bastato minacciare il suo collega di proibire l’approdo di un mercantile.

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Mario Castellano  12/12/2025 articolo del 20/11/2025
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