Il nostro amico, collega e concittadino Marco Ansaldo, originario di Camogli, è già entrato con pieno merito nella confidenza del nuovo arcivescovo di Genova, padre Tasca, come già lo è stato con il predecessore, monsignor Bagnasco.
Al nuovo pastore, che è anche nostro metropolita, Ansaldo dedica un lungo articolo, apparso sulla edizione regionale ligure del “La Repubblica”.
Quando esplose lo scandalo Teardo, che rappresentò un sinistro scricchiolio per il sistema dei partiti della “Prima Repubblica”, annunziatore di quanto sarebbe in seguito avvenuto con “tangentopoli”, un altro genovese, don Baget Bozzo, vide nell’accaduto una nemesi storica della guerra di Chioggia.
L’avventuriero politico di Savona era infatti originario di Venezia, ed il suo trasferimento in Liguria fu dovuto all’ufficio non particolarmente onorevole di “buttafuori” nei locali notturni, cui si dedicava prima di diventare funzionario del Partito Socialista.
Ora un altro veneto è stato designato quale arcivescovo di Genova e metropolita della regione conciliare della Liguria, che coincide con i confini dell’antica repubblica, estendendosi oltre l’Appennino: Bobbio, ancora formalmente sede vescovile, si trova addirittura in Emilia.
Il paragone con Teardo può risultare offensivo per padre Tasca, uomo e sacerdote integerrimo quanto il suo compaesano era corrotto. Tuttavia, il fatto che Venezia prevalga su Genova – quanto meno nel campo religioso – costituisce una diretta conseguenza del fatto che la chiesa dedicata a San Marco ha vissuto profondamente e creativamente il rinnovamento conciliare, promosso d’altronde da due antichi sudditi della “Serenissima” quali furono il bergamasco Roncalli ed il bresciano Montini, mentre solo da poche settimane – secondo una “vulgata” comunque approssimativa – è finita a Genova l’era di Siri ed è iniziato il dopo.
Questo, però, risulta vero solo in parte.
In primo luogo, Venezia sta vivendo le pulsioni autonomistiche comuni a tutta l’Italia, anzi a tutta l’Europa occidentale, in termini xenofobi e razzistici; né la chiesa ha saputo fare argine a questa tendenza, pur essendo guidata da pastori – pensiamo soprattutto al patriarca Cè – che non hanno certamente condiviso questa deriva.
La Liguria soltanto da poco è stata coinvolta nell’ondata destrorsa che ha investito l’intera Italia settentrionale, ed il cardinale Bagnasco ha fatto tutto quanto gli era possibile per contrastare le istanze reazionarie incarnate da Sonia Viale, espressione di un ambiente monarchico di Bordighera assolutamente contrapposto alle tradizioni democratiche ed alle radici repubblicane proprie della città di Mazzini.
Abbiamo notato a suo tempo, avendo avuto il privilegio di collaborare con monsignor Bagnasco, come risultasse paradossale che il venir meno di una cultura politica di sinistra avesse lasciato all’autorità ecclesiastica il compito di testimoniare l’ideale democratico della Liguria e dell’Italia.
Sbaglia dunque – come già abbiamo avuto occasione di scrivere – chi vede nel mandato episcopale di Bagnasco una prosecuzione pedissequa di quello di Siri, senza considerare che tra l’uno e l’altro sono inseriti Canestri, Tettamanzi e Bertone. Bagnasco ha saputo impiegare il radicamento sociale della chiesa, soprattutto nel mondo del lavoro, non per contrapporlo all’ambiente laico, ma per venirgli in soccorso, cercando di mantenere coeso un tessuto civile sempre più sfilacciato. Esattamente quanto la sinistra, dominata dal mediocre affarismo di Burlando, preoccupato soltanto di stabilire rapporti di affari con il settore opposto, aveva completamente trascurato.
Ansaldo sottolinea, con una punta di sorpresa, come Tasca si astenga dall’impartire direttive alla chiesa di Genova. Esattamente come Delpini a Milano. C’è stato perfino qualcuno che ha maliziosamente addebitato tale atteggiamento ad una carenza culturale dell’uno e dell’altro. In realtà, entrambi si sono messi all’ascolto delle loro rispettive comunità dei credenti, lasciando che tanto Milano quanto Genova esprimessero liberamente i loro indirizzi e le loro iniziative.
Senza la pretesa di eterodirigerle, né tanto meno indurle a realizzare una particolare concezione della chiesa: quella tradizionalista nel caso di Siri, quella aconfessionalista nel caso di Scola.
Bagnasco ha fatto nel campo spirituale l’esatto contrario di quanto ha fatto – naturalmente “mutatis mutandis” – Burlando nell’ambito temporale. L’ex presidente della Regione aveva concepito un disegno politico ben preciso, consistente nel trasformare il suo partito in uno strumento di operazioni immobiliari – i famigerati porti turistici – intraprese in contubernio con la parte politica opposta.
Era inevitabile che ciò comportasse non soltanto la rinunzia ad ogni contenzioso, ma anche l’avversione alla crescita civile della società ligure. La chiesa ha invece continuato a svolgere questa funzione.
Occorre dunque soltanto lasciarla lavorare, svolgendo tutt’al più un ruolo di coordinamento e di stimolo. Non certo di guida autoritaria.
Senza volere nulla togliere a padre Tasca, monsignor Bagnasco si è già mosso in questa direzione. Che certamente verrà accentuata per via della radice francescana del nuovo arcivescovo, ma la scelta che lo accomuna con il suo predecessore si basa sulla fiducia nella capacità di esprimere dei valori insita nella cosiddetta “società civile”. Ovvero nel “popolo di Dio”. Che in fondo sono due modi per significare la stessa cosa.

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Mario Castellano 15/08/2020
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