Abbiamo conosciuto di persona Arrigo Levi solo quando, avendo ricevuto un riconoscimento da parte dell’Amministrazione Provinciale di Imperia, tenne a Sanremo un “lectio magistralis” sull’Europa, in cui spiegò lucidamente – fondandosi sulla sua cultura cosmopolita – le radici dell’avversione tanto da parte dei dirigenti britannici come da parte del generale De Gaulle, nei riguardi del processo unitario.Quella lezione, in cui Levi ammonì sull’irriducibilità degli inglesi nei riguardi di tutto quanto riguardava e coinvolgeva il continente, dovrebbe essere pubblicata di nuovo, risultando anticipatrice della crisi in cui è precipitata l’Unione in seguito alla “brexit”.
Del grande giornalista, all’epoca direttore de “La Stampa” di Torino, ricordavamo un altro insegnamento, l’onestà intellettuale dimostrata quando gli era toccato di raccontare alla televisione la guerra del 1967, che costituì il coronamento di quella cui aveva partecipato nel 1948.
I dirigenti della Provincia di Imperia erano stati tra quanti all’epoca parteggiavano per Nasser, e continuavano ad applaudire Arafat, rimproverando implicitamente Israele per avere affermato il proprio diritto all’esistenza e all’autodeterminazione.
Sarebbe risultato facile a Levi non soltanto rinfacciare a costoro questo gravissimo errore della sinistra italiana, che aveva anteposto i propri meschini interessi di bottega alla coerenza con i principi in cui diceva di credere, ma anche ammonirli su quali sarebbero state le conseguenze se non si fosse rimediato in tempo allo sbaglio. Queste persone avrebbero concluso in seguito la loro carriera politica facendo da caudatari a Milosevic.
Levi era perfettamente informato sulle scelte compiute da quanti gli stavano rendendo omaggio, ma – da gran signore quale era – non volle infierire.
Essendo riunite in quella circostanza a Sanremo le redazioni di quattro grandi giornali europei – tra cui per l’appunto “La Stampa” di Torino – che avevano promosso l’edizione di un inserto comune, Levi alternava con gli uni e gli altri le lingue da lui perfettamente conosciute, non soltanto come mezzo espressivo, ma anche come strumento per penetrare culture e mentalità diverse.
“Cittadino del mondo”: questa è la definizione più appropriata tra le molte escogitate in questi giorni per definire Arrigo Levi.
Si dice però che le sue ultime parole siano state pronunziate in parte nella lingua regionale, ed in parte in ebraico. Levi, alla fine del suo lungo viaggio attraverso tanti paesi e tanti eventi, era ritornato alle proprie radici. Ricordando quelle familiari, aveva raccontato a Gerusalemme – in presenza del Presidente Napolitano – come i suoi antenati, provenienti da Roma, avessero seguito gli Estensi da Ferrara a Modena. Entrambe queste città erano state, in epoche diverse, capitali di antichi stati italiani.
Levi credeva nella patria europea, ma proprio per questo era conscio di quanto risultasse importante – insieme con la dimensione e l’identità spirituale e culturale continentale – anche quella regionale. L’identità europea è però fondata sulla comune radice giudaico-cristiana.
Ricordiamo uno scritto di Levi in cui egli notava come l’Olocausto avesse privato l’Europa di una delle sue nazioni più antiche e più importanti.
“Dove c’erano i milioni – scriveva riferendosi ai suoi correligionari – sono rimaste le migliaia”. Per questo, dopo avere contribuito giovanissimo alla lotta contro il nazifascismo mandando dall’esilio di Buenos Ayres le sue corrispondenze al giornale e al Partito d’Azione, Levi era partito volontario per la guerra di indipendenza dello Stato di Israele. Eppure Levi non era né un israelita praticante (si dichiarava infatti agnostico in materia religiosa), né tanto meno poteva essere considerato un nazionalista.
Dopo avere combattuto per Israele, non ne volle nemmeno assumere la cittadinanza: per lui, l’importante era avere contribuito alla causa della libertà dei popoli. Per quanto riguardava in particolare il suo popolo, l’Olocausto ammoniva della necessità di costituire uno stato nazionale in cui l’identità ebraica potesse essere, salvaguardata, insieme con la stessa sopravvivenza fisica degli israeliti.
Uomo profetico, Levi viveva proiettato in un futuro nel quale la loro presenza nel Medio Oriente venisse finalmente accettata e per questo non esitò a criticare le autorità di Gerusalemme quando a suo avviso si mostravano renitenti a riconoscere i diritti dei palestinesi.
Non sappiamo se le ultime vicende, con l’allacciamento di nuovi rapporti diplomatici, siano state conosciute da Arrigo Levi. Ci auguriamo che così sia stato, perché gli avrebbe dato la prova di come nessuno sia più realista degli utopisti.
Era però veramente Levi un utopista?
Il grande giornalista ha vissuto abbastanza per constatare come tutte le grandi aspirazioni, tutti i grandi disegni trovano infine la loro realizzazione. Occorre però che trascorra il tempo di una esistenza umana, o anche quello di più generazioni.
Questo è d’altronde uno dei grandi insegnamenti della Bibbia, che egli conosceva molto bene in quanto libro di storia del suo popolo, più che come testimonianza della rivelazione. Una volta, accompagnando il Presidente della Repubblica in qualità di suo addetto stampa, per giustificare la sua presenza, Levi fu presentato quale “rabbino del Quirinale”: questa carica, in realtà, non esiste, ma venne inventata nella circostanza. Essendo però indicato come tale, Levi dovette officiare una funzione, e lo fece impeccabilmente. In seguito, avrebbe raccontato questo aneddoto facendo dell’ironia su se stesso.
L’eredità morale e intellettuale che ci lascia è immensa. Noi crediamo però che quanto si pensa e si dice alla fine del proprio percorso umano esprima il riassunto e la morale dell’esistenza.
Se è così, quella di Levi ha avuto due punti di riferimento, quello costituito dalla sua piccola patria locale, e quello rappresentato dalla dimensione universale, che poteva essere rappresentata dall’ebraismo come dall’Europa.
Nessun ideale è però veramente grande se non riesce a vivere, a radicarsi, a realizzarsi nel piccolo mondo dove ciascuno affonda le proprie radici.
Arrigo Levi è ritornato a Modena, tra i suoi antenati, come per rendere conto di essere stato fedele alla loro eredità ed al loro insegnamento.
La sua intera esistenza ne ha testimoniato il valore.