Abbiamo consultato attentamente il documento con cui cento giuristi di Napoli, avvocati, magistrati ed ausiliari giudiziari, hanno denunziato l'illegittimità costituzionale delle misure con cui si è reso quasi obbligatorio - generalizzando l'onere di esibirlo - il cosiddetto "green pass".
Chiariamo subito che condividiamo pienamente la conclusione cui pervengono i firmatari del documento, anche se non condividiamo le loro motivazioni. Quasi tutte le enunciazioni, contenute nella Costituzione, che essi invocano, hanno infatti un carattere soltanto programmatico, e non normativo. Esse indicano cioè ai legislatori dei criteri generali cui conformarsi, ma non stabiliscono un termine di confronto in base al quale si deve valutare la legittimità costituzionale della normativa ordinaria. Su questo punto, esiste un'ampia e consolidata giurisprudenza, espressa dalla Consulta. Le enunciazioni di ordine programmatico, secondo i giudici costituzionali, hanno un valore esclusivamente politico, la loro influenza sulla produzione legislativa è rimessa alla discrezione di coloro ai quali gli elettori conferiscono la relativa rappresentanza. Questo vale per tutti quanti i principi invocati nel documento, quali sono la dignità del lavoro e dei lavoratori, la solidarietà politica, l'obbligo di rimuovere gli ostacoli di ordine economico e sociale che limitino la libertà e l'eguaglianza tra i cittadini, ed infine il riconoscimento del diritto al lavoro.
L'unica enunciazione contenuta nella Costituzione, tra tutte quelle invocate, che riveste viceversa un indubbio carattere normativo è quella che stabilisce - ex articolo 32 - la riserva di legge in materia di trattamenti sanitari obbligatori. Nella fattispecie, si è fatto ricorso all'emanazione di un decreto legge, che nella gerarchia delle fonti del diritto si collega allo stesso livello delle leggi ordinarie. Di conseguenza, il principio della riserva di legge è stato rispettato.
Draghi, per una volta, ha evitato di intervenire mediante il solito decreto del Presidente del Consiglio. Evidentemente, gli uffici giuridici di Palazzo Chigi lo hanno ammonito circa il rischio che avrebbe corso ricorrendo ad un atto che non è neanche di carattere legislativo, ma viene considerato dalle norme in materia di attività del Governo quale atto amministrativo.
Nella formulazione dell'articolo 32 della Costituzione si trova tuttavia il fondamento per una possibile impugnazione della norma che impone l'onere del possesso del "green pass" per svolgere tutta una serie di attività lavorative. La legge che impone un trattamento sanitario obbligatorio - stabilisce la Costituzione - "non può in nessun caso violare i limiti imposti dal rispetto della persona umana". Ciò però avviene precisamente quando si usa la persona per compiere la sperimentazione - su base non volontaria - di una nuova terapia. I vaccini contro il "Covid" non hanno ancora terminato in nessun caso i procedimenti di sperimentazione, e dunque la medicina non ha ancora accertato nè se essi siano veramente efficaci, nè se possano produrre degli effetti collaterali nocivi.
Nell'ambito della comunità scietifica, si continua a manifestare un dissidio radicale su entrambe tali questioni. Fino a quando su di esse non si registrerà l'unanimità - o quanto meno il consenso della grande maggioranza degli esperti - la vaccinazione di massa riduce inevitabilmente l'intera popolazione italiana nella condizione di cavie, usate per una sperimentazione "in corpore vili". Tale situazione viene ulteriormente aggravata dalla mancanza di una adeguata informazione per gli utenti, come pure dal fatto che non sono obbligatori gli accertamenti relativi all'eventuale incompatibilità con il vaccino dei soggetti cui esso viene inoculato. Per giunta, come abbiamo già rilevato in precedenza, sono state stabilite delle sanzioni disciplinari nei confronti di quei sanitari che dissentono - in base alle loro convinzioni scientifiche - dall'obbligo vaccinale, e - quanto risulta possibilmente ancora più grave - si è vietato ai medici (compresi i professori universitari) di esprimersi su questa materia intervenendo sui mezzi di informazione senza il permesso dei superiori gerarchici: chi è il "superiore" di un professore ordinario, o di un direttore sanitario? Verosimilmente, una persona che non sa nulla di medicina.
Questa disposizione viola la Costituzione laddove - in questo caso con una disposizione chiaramente normativa, e non programmatica - garantisce la libertà di espressione. Da una parte, lo Stato considera accertata l'efficacia e la non pericolosità del vaccino, ma vieta dall'altra parte che se ne discuta in sede scientifica. Ciò significa conformare l'attività dei suoi organi - e degli altri enti pubblici - ad un pensiero unico ufficiale. Si tratta precisamente di quanto contraddistingue le dittature.

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Mario Castellano  02/10/2021
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