I nostri vecchi raccontavano come durante la guerra si ascoltava Radio Londra.
Questa emittente, con i suoi programmi in italiano, svolgeva in quel tempo diverse funzioni, supplendo alla mancanza di una informazione indipendente dal regime e libera nel valutare gli eventi. In primo luogo, il gruppo di esuli antifascisti riuniti presso la redazione italiana della "BBC" comunicava ai connazionali rimasti in patria, e più tardi nella parte del territorio italiano ancora occupato dai nazisti, che cosa stava succedendo realmente nel mondo. In secondo luogo, veniva demistificata la propaganda fascista, anticipando il libero dibattito tra le diverse istanze politiche e culturali che si sarebbe aperto dopo la guerra. In terzo luogo, Radio Londra incoraggiava gli italiani ad insorgere ed a resistere, enfatizzando certamente il loro apporto alla causa degli alleati, ma anche dimostrando come un popolo possa trovare in sè stesso le ragioni e le energie necessarie per emanciparsi.
Non mancarono, nel dopoguerra, i tentativi di emulare quanto era avvenuto nel corso del conflitto. Giuliano Ferrara denominò "Radio Londra" il suo programma (molto ben retribuito) di propaganda per la causa di Berlusconi. Prima ancora, però, nel tempo dei Governi di unità nazionale, Tele Montecarlo diffondeva i discorsi di Montanelli, e i dirigenti della destra si riunivano "clandestinamente" (?!) per ascoltarli. Ad Imperia, questi convegni "carbonari" avevano luogo in una villa delle Cascine di Oneglia, promosse da un noto industriale oleario.
In realtà, la solidarietà tra i partiti costituzionali non mirava a costituire un regime totalitario, ma costituiva una prova di solidarietà necessaria per affrontare le difficoltà del momento, in primo luogo il terrorismo. Il tentativo di dipingere Andreotti come il Lenin italiano risultava dunque grottesco, e comunque non vi fu il minimo tentativo di reprimere la libertà di informazione e di dissenso.
Ora, però, si registrano dei sintomi di un ritorno al passato. Lunedì scorso, una manifestazione di camionisti ha rallentato il traffico su tutte le autostrade d'Italia. Ogni trattore era affiancato da quattro automobili, che impedivano il sorpasso da parte di chi lo seguiva. Non potendosi imputare alcun reato, gli autori della protesta erano passibili soltanto di una sanzione amministrativa per intralcio al traffico, che però nè la polizia stradale, nè i carabinieri hanno contestato. La società che gestisce le autostrade ha interrotto la trasmissione delle immagini della circolazione, diffuse dalle telecamere di sorveglianza. I mezzi di informazione non hanno dato notizia dell'accaduto, neanche per deplorarlo. La radio inglese ha invece riferito puntualmente quanto era accaduto in Italia, e sono sempre più numerosi i nostri concittadini che la ascoltano per conoscere le vicende di casa propria.
Non intendiamo esprimere una valutazione in merito agli obiettivi perseguiti dalla manifestazione, consistenti non tanto nel contrastare le misure restrittive connesse con l'epidemia, ma nel rivendicare la caduta del Governo. Per quanto riguarda i mezzi impiegati, non si può negare la loro illegalità, anche se non vi è stata nessuna infrazione delle norme penali. Questo, però, avrebbe consentito ai mezzi di informazione di criticare gli organizzatori. Chi viola la legge, infatti, squalifica sempre la causa che intende promuovere. Questo, però, in tanto vale in quanto ci si trovi in uno Stato di diritto.
Lungi da noi cadere nella istigazione a delinquere, o anche soltanto nella apologia di reato. Registriamo tuttavia come stanno sorgendo dei soggetti politici e sociali che considerano esaurite le possibilità di una azione condotta secondo criteri legalitari. Si obietterà che questo fu l'errore all'origine dei crimini commessi da chi si dedicò al terrorismo. Vi è però tra quella situazione - che noi abbiamo vissuto, subendo le minacce dei brigatisti - e l'attuale una differenza fondamentale. I promotori del terrorismo ritennero in primo luogo di rappresentare la classe operaia, ma era vero il contrario, in quanto i lavoratori si dissociarono immediatamente da loro. Essi consideravano inoltre che esistessero le condizioni per una insorgenza rivoluzionaria. Anche questo fu un errore: la gente non voleva un rovesciamento violento del sistema, ma invocava delle riforme. Oggi ricorre invece ad una azione illegale chi - a ragione o a torto - ritiene che dalla legalità sia uscito il Governo.
Noi abbiamo ripetutamente denunziato delle violazioni della stessa Costituzione formale. Ci si deve dunque domandare se ancora esistono i margini per agire nell'ambito della legalità. Dalla risposta a questa domanda dipendono le scelte di ciascuno. Non necessariamente, l'azione illegale è violenta. Ma la scelta dei metodi - una volta deciso di uscire dall'ambito strettamente legalitario - non è più di ordine giuridico, bensì soltanto di ordine politico. Ognuno assume la responsabilità penale e morale delle proprie azioni, ma la responsabilità politica si estende a chi ha privato i cittadini di operare efficacemente mantenendosi nell'ambito della legalità.
Il discorso torna al punto di partenza: c'è chi, all'estero, considera che l'Italia sia ormai arrivata a questo punto. Radio Londra, evidentemente, non incoraggia alla rivolta, ma registra le circostanze che hanno determinato da parte di alcuni questa scelta. Se di questo si potesse discutere in Italia, anzichè censurare le notizie e la relativa valutazione, non ci sarebbe nessun rischio di violenza. Che sorge invece quando viene meno l'informazione su quanto accade effettivamente nel nostro Paese.

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Mario Castellano  04/10/2021
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