"La vittoria sarà di chi la vuole".
Questo motto, iscritto sulla tolda di una nostra nave da guerra, costituisce il migliore commento al risultato elettorale di Diano Marina, soprattutto se si aggiunge il corollario per cui la vittoria non sarà di chi non la vuole. Il generale Bellacicco è riuscito a collezionare due rovinose disfatte in due mesi. Se però a Kabul c'era l'attenuante di giocare in trasferta, nella sua città di origine - dove conosce vita, morte e miracoli di ciascuno degli abitanti, forte delle informazioni accumulate dal padre, storico maresciallo dei carabinieri - non può invocare nessuna scusa.
Napoleone perse a Waterloo contro Wellington e Blucher, che erano entrambi grandi condottieri. Bellacicco è stato travolto da Chiappori e Za Garibaldi, i quali sono viceversa due smandrappati capi bastone da strapaese. Il suo pari grado Bonaparte affrontò l'ultima e decisiva battaglia senza alcun piano strategico, e lo stesso errore - qui ricorre invece una analogia - ha commesso Bellacicco. Il generale (quello di Diano Marina) avrebbe vinto se avesse usato anche un solo argomento, ma quando lo abbiamo suggerito lo ha rifiutato, neanche tanto cortesemente. Di Bellacicco si ricordava - prima della campagna elettorale - un solo intervento in materia politica, pronunziato in occasione di un incontro tra colleghi e veterani. Rispetto ai contenuti di quel discorso, egli avrebbe dovuto compiere una energica virata, presentandosi ai cittadini quale difensore della democrazia, opposto ad una destra malata di estremismo e tendente all'eversione. Evidentemente, non se l'è sentita, e nel suo comizio ha parlato di tutto, meno che di politica.
Certamente, Diano Marina non è Roma, nè Parigi, ma la scelta non avviene soltanto in base all'acqua potabile ed alle fognature. Lo dimostra il fatto che il sindaco uscente ha basato le proprie scelte proprio in funzione degli acquedotti. C'era però un "piano B" - quello per l'appunto che abbiamo tentato di suggerire - consistente nel ricordare i propri meriti di soldato, leale servitore in uniforme dell'unità nazionale, contrapposta alle tendenze separatiste proprie della consorteria cui appartiene il rivale, che nel nostro Ponente Ligure ha scelto da tempo il secessionismo. Il contendente non avrebbe potuto opporre a questo argomento un rinnegamento delle scelte compiute dai propri capi. Dichiarandosi però separatista, avrebbe perduto gran parte dei voti del suo schieramento.
Bellacicco non poteva fare la frittata senza rompere le uova, cioè sottrarre alla destra Diano Marina senza spendere una sola parola per criticarla. Fare la guerra fa vedere tante brutte cose, ma insegna a decidere: noi siamo gli unici della nostra generazione - insieme appunto al generale - che ne sappiamo qualcosa da queste parti. Bellacicco non ha però saputo decidere. Chi ha deciso, è stata la cosiddetta "sinistra": la quale non esce dalla vecchia logica viziosa dei "partiti trasversali". Anche di questo, però, il generale doveva tenere conto. Lo stesso discorso "si parva magnis componere licet"  vale per Gualtieri, che deve ancora giocare la sua partita. Se vuole vincerla, deve cercare gli elettori uno per uno. Se vuole perderla, si affida alle mediazioni che Letta vuole intraprendere con Conte e con Calenda. Quest'ultimo, al pari della Raggi, si è postulato solo in odio ai democratici, con l'obiettivo di farli perdere. Si tratta dello stesso scopo logicamente perseguito dall'allieva prediletta di Previti.
Simili personaggi non cederanno mai un solo voto alla sinistra. I voti bisogna dunque conquistarli: "la vittoria - per l'appunto - sarà di chi la vuole". Gualtieri vince o perde a seconda di ciò che egli stesso decide. Il vero vincitore di questa tornata è comunque Draghi: più la destra e la sinistra si combattono, più si rafforza il suo potere.
Ciascuna città o regione vota secondo la sua rispettiva identità, anche se su di essa influisse una specifica tradizione politica divenuta nel tempo costume civile. Questa vale da una parte per Bologna e per Milano, e dall'altra parte per Trieste: dove le manifestazioni contro il "green pass" vedono non a caso il maggior numero di partecipanti in proporzione con la popolazione. Draghi dovrebbe dunque agire nel nome della identità nazionale. Che però non esiste: come sapeva bene Mussolini, il quale se la inventò, rivendicando l'eredità dell'antica Roma.
Il Presidente del Consiglio non tenta nemmeno di compiere una simile operazione, e si accontenta di avere commissariato le istituzioni dello Stato. Con il risultato che il suo regime viene inevitabilmente considerato estraneo e oppressivo in ciascuna delle "cento città d'Italia". Le quali non si sono mai messe spontaneamente d'accordo. Intanto, Draghi continua nel suo "divide et impera". Come ha fatto ogni predominio straniero sulla "fatal penisola".

Send Comments mail@yourwebsite.com Saturday, April 25, 2020

Mario Castellano  12/10/2021
Copyright ilblogdimario.com
All Rights Reserved