La grande Storia – quella che per l’appunto si scrive con l’iniziale maiuscola - produce in provincia un’eco attutita.
Chi pertanto vive lontano dai luoghi in cui essa viene decisa e consumata, può soltanto ricercare nella propria vita quotidiana il riflesso di quelle vicende che solo più tardi finiranno per coinvolgerlo.
Dalle nostre parti, operano badanti tanto ucraine (molto più numerose) quanto “grandi russe” (di numero decisamente inferiore).
Avendo incontrato una di queste ultime, si è svolto tra noi un dialogo tacitiano.
Alla domanda “Entrate?”, la Signora proveniente dalla lontana Moscovia ha risposto immediatamente “Si!”
Una sua collega ucraina, che accudisce un nostro concittadino completamente rimbambito, ha risposto ad analoga domanda in modo ben più verboso, nel suo pittoresco italiano: “Russi no entra perché ha paura di noi”.
La nostra amica confida evidentemente nella forza militare dei compatrioti, né mostra di temere quella che Johnson ha pronosticato come una “catastrofe umanitaria”.
Nel qual caso crescerebbe in modo esponenziale anche l’offerta di badanti sul mercato del lavoro occidentale.
Tutto ciò non pare comunque intimorirla.
Gli Europei Orientali si distinguono da noi Europei Occidentali per il loro nazionalismo, che produce dei riflessi anche dalle nostre parti.
Tempo fa, fecero irruzione in città alcuni mendicanti ungheresi: la risposta del “clan dei romeni”, che domina il settore, fu immediata e devastante: i magiari non vennero più avvistati, né vivi né morti.
Il contenzioso sulla Transilvania si era spostato sull’elemosina, in modo probabilmente cruento.
Da noi, simili atteggiamenti furono propri dei nonni, balzati al riscatto di Trento e Trieste (benchè la maggior parte di loro non ne avesse mai sentito parlare in precedenza), e – in misura più attenuata - dei padri: i quali comunque combatterono senza protestare le guerre di Mussolini.
Dato il suio entusiasmo nazionalista, risulta inutile obiettare all’amica ucraina che il suo esercito risulta pateticamente inadeguato per affrontare un nemico tra i più potenti del mondo.
Gli Arabi, nel 1967, erano convinti di gettare a mare gli Israeliani.
La fede, applicata al di fuori dell’ambito religioso, produce soltanto disastri.
Se i Russi e gli Ucraini sembrano entusiasmati dalla prospettiva di regolare i loro conti, gli Italiani praticano invece la rimozione.
La radio dice che Draghi ha indotto Putin a più miti consigli, superando in megalomania il Berlusconi di Pratica di Mare.
Per il resto, si tace sulla prospettiva di congelare, di rimanere a piedi e di mancare dei prodotti essenziali.
In occasione delle precedenti crisi internazionali, i mezzi di comunicazione si dilungavano nelle notizie e nelle analisi, fino al punto di alimentare l’allarmismo; al tempo della “guerra dei sei giorni”, alcune ditte fecero l’inventario, credendo che fosse stato dichiarato lo stato di emergenza.
Ora, invece, non si parla neanche più dell’epidemia, bensì soltanto del Festival di Sanremo.
Qui, però, la grande Storia ci tocca da vicino.
Chi si avventura nella “città dei Fiori” può osservare come sia invasa dai mezzi autosnodati della R.A.I., mentre gli addetti alle salmerie lasciano le loro vetture personali in sosta vietata, certi della propria impunità: i Vigili Urbani riconoscono infatti a costoro una sorta di immunità diplomatica, come se fossero plenipotenziari di una potenza straniera.
Il comportamento degli ospiti ricorda però piuttosto la “suranchère” dei funzionari coloniali, che ci trattano come un popolo inferiore.
Non meraviglia dunque che sabato prossimo – per la prima volta nella storia - una parte dei sanremesi intenda marciare sulla sede della manifestazione.
Nel clima infuocato del “Sessantotto”, il leggendario Pacifico (“nomen non omen”) Zeviale minacciò di lanciare i “contestatori” – di cui si era proclamato “capo” – contro il Casino.
Il corteo non riuscì però neanche a partire da piazza dei Dolori, il cui nome avrebbe dovuto suonare come una ammonizione.
Quanto non poté l’estremismo, potrà forse l’identitarismo: questa è la scommessa di cui attendiamo l’esito.
Pare che il morale della truppa sia altissimo, come quello dei miliziani ucraini.
I sanremesi compongono da tempo il nerbo delle unità di “élite” dei “No Vax” impegnate sulle diverse piazze d’Italia, e si accingono ad ospitare a loro volta i rinforzi, provenienti da tutto il Settentrione.
Ecco come l’Ucraina influisce sull’Occidente: anche noi viviamo il nostro conflitto identitario, dopo che a lungo ci si è divisi su quello del Donbass come i tifosi di due squadre contrapposte: salvo alcuni esagitati, arruolatisi come volontari chi da una parte, chi dall’altra.
Né influisce sull’Italia soltanto l’emulazione: c’è anche l’appoggio offerto dalla Russia a chiunque sia disposto a fare opera di destabilizzazione.
Per giunta, il silenzio imposto ai mezzi di informazione sulle precedenti manifestazioni induce i protestatari a mettercela tutta per farsi notare, ed il Festival offre loro una occasione irripetibile.
Sull’opposto versante, il Sindaco Biancheri si è già schierato contro i manifestanti, benché fino ad ora assolutamente pacifici, esibendo nei riguardi del Potere romano lo zelo tipico dei collaborazionisti.
La stessa accondiscendenza dimostrata dalla Polizia Municipale nei confronti degli ospiti provenienti dalla Capitale rivela chiaramente quale sia la scelta del Primo Cittadino: Sanremo è ormai dilaniata da un conflitto civile.
Sul versante opposto, si è infatti deciso di varcare il Rubicone.
“Alea jacta est”, direbbero i dirigenti dei “No Vax” se conoscessero il latino: in realtà il loro linguaggio tribunizio rivela che parlano italiano peggio di Landini.
La badante ucraina, unendosi al coro di chi parla male la lingua di Dante, riassumerebbe così la situazione: “No Vax fa grande casino in strade!”
Post Scriptum.
Padre Fanzaga, ormai arruolato senza adeguata preparazione nella propaganda contro Putin, afferma che l’invasione dell’Ucraina scatenerebbe il cosiddetto “effetto domino”, e che seguirebbe l’attacco contro la Polonia, i Paesi Baltici ed infine l’Europa Occidentale.
Questa storia era già stata diffusa al tempo del Vietnam.
In realtà, chi rischia un “effetto domino” è la Russia, dato il suo carattere composito: per cui dopo l’Ucraina, potrebbe essere la volta dei Ceceni, degli Ingusci, dei Tartari, dei Calmucchi e delle popolazioni mongoliche della Siberia.
Tutte queste genti sono state tenute insieme prima applicando la concezione imperiale dello Stato, poi quella sovietica ed infine una quella grande russa, panslavista e panortodossa.
Ciò non significa che Putin abbia ragione, ma vuole dire che è in gioco l’ideologia su cui si fonda il suo potere: come era già successo al tempo della Prima Guerra Mondiale, quando l’Austria dovette scatenare il conflitto essendo in gioco il principio di legittimità, su cui si reggeva l’Impero.
Dall’altra parte, si affermava il principio opposto, quello cioè della sovranità popolare.
Lo scontro era inevitabile, e solo uno dei due poteva sopravvivere.
Il pericolo di guerra viene dal ripetersi di una situazione analoga.