Nel dibattito sull’autodeterminazione dell’Ucraina si è fatta molta confusione tra il Diritto ed altre scienze, quali sono la Storiografia e la Linguistica.
Lo stesso Putin, in un suo saggio di argomento storico tradotto ed ampiamente commentato in Occidente (redatto probabilmente da qualche accademico suo amico e sostenitore), aveva asserito che l’Ucraina non ha una propria identità nazionale, e che questo le impedisce di aspirare all’Indipendenza.
Altri invocano a sostegno di questa tesi il fatto che molti cittadini ucraini sono russofoni.
Ciò non ha impedito comunque che anche costoro si opponessero attivamente all’invasione: la resistenza coinvolge i civili proprio nelle zone dove si parla esclusivamente la lingua di Puskin.
Se il diritto all’autodeterminazione dipendesse da un fattore culturale, quale è per l’appunto la lingua, gli Stati Uniti d’America sarebbero ancora una colonia dell’Inghilterra, l’America Latina una colonia della Spagna ed il Brasile una colonia del Portogallo.
La Svizzera, dal canto suo, non esisterebbe nemmeno.
Occorre dunque in primo luogo rilevare che la condivisione del mezzo espressivo non impedisce la formazione di identità distinte, così come non impedisce l’esistenza di interessi diversi: l’uno e l’altro fattore confluiscono nella aspirazione a costituire dei nuovi Stati.
Queste differenze si formano con lo sviluppo storico delle diverse comunità: i Padri Pellegrini si consideravano inglesi, e non avevano certamente passato l’Atlantico con l’intenzione di fondare uno Stato.
I loro discendenti si proclamarono invece indipendenti dalla Madrepatria essendosi resi conto di costituire una Nazione diversa, e di avere interessi contrapposti a quelli dell’Inghilterra.
I motivi per cui una popolazione esercita il diritto all’autodeterminazione possono essere i più diversi, e comunque sono sempre insindacabili.
La Carta delle Nazioni Unite si limita a stabilire che lo “status” giuridico di un territorio deve conformarsi con la volontà espressa dalla maggioranza dei suoi abitanti.
Quasi mai, però, questa volontà si può esprimere mediante un referendum, celebrato per giunta sotto la supervisione della Comunità Internazionale: l’unico caso recente in cui ciò è avvenuto è stato quello del Montenegro, mentre in Scozia hanno prevalso i fautori della permanenza nella Gran Bretagna; se però avessero vinto gli indipendentisti, Londra avrebbe accettato tale risultato.
Negli altri casi, si produce un conflitto tra l’ordinamento giuridico interno, che non contempla la possibilità di una secessione e – per l’appunto – quello internazionale.
Si deve però osservare che nel caso degli Stati Federali il diritto a distaccarsene appartiene a ciascuno dei soggetti membri in virtù del fatto che il loro Potere di Imperio è tanto originario quanto lo è quello dell’Autorità centrale.
A volte la volontà di una popolazione deve tuttavia esprimersi mediante una guerra, una insurrezione, una disobbedienza civile, uno scipero generale.
Gli Ucraini hanno esercitato due volte il diritto all’autodeterminazione: prima votando in un referendum, e poi resistendo alla invasione.
La Russia, d’altronde, aveva riconosciuto immediatamente l’Ucraina, e la Costituzione dell’Unione Sovietica dichiarava espressamente che tutte le Repubbliche avevano il diritto a separarsene.
Il contenzioso riguarda le alleanze internazionali dell’Ucraina, ma ogni Stato indipendente ha il diritto di deciderle in totale libertà.
Sempre l’Unione Sovietica aveva invece proclamato che la sovranità di alcuni Paesi alleati fosse “limitata”, salvo poi revocare tale postulazione.
Noi siamo solidali con l’Ucraina in quanto i diritti dei popoli “simul stabunt, simul cadunt”, e non si può ammettere dunque nessuna eccezione.
Durante la “Guerra Fredda”, c’era chi giustificava l’invasione dell’Ungheria nel nome del Comunismo, così come c’era chi giustificava il conflitto in Algeria o il regime di discriminazione razziale in Sudafrica nel nome dell’opposizione al Comunismo.
Oggi, tutti questi pretesti ideologici sono venuti meno.
Nella nostra Città, gli unici soggetti che sostengono le ragioni della Russia sono non a caso i professionisti che curano gli interessi della Serbia, l’unico alleato rimasto a Putin in Europa insieme con la Bielorussia.
Questi Signori esercitano pressioni sull’Amministrazione Comunale affinché non aderisca alle manifestazioni di solidarietà con l’Ucraina.
Nel 1915, i Socialisti si attennero – a proposito dell’Intervento – alla formula “né aderire, né sabotare”: mantenersi neutralisti in una Nazione in guerra determinava però una contraddizione in termini.
Oggi il Ministro della Difesa della Repubblica è un ex comunista, convinto fautore dell’appoggio alla causa dell’Ucraina: segno da un lato che lo Stato italiano è cambiato profondamente, e dall’altro che la Sinistra si identifica in esso senza riserve.
Attendiamo però che la Federazione di Imperia del Partito Democratico si pronunzi espressamente su di una questione tanto decisiva, superando le ambiguità – usiamo un eufemismo – che avevano contraddistinto la sua posizione sui conflitti dell’ex Jugoslavia.
La scelta compiuta dall’Italia, in tutte le sue istanze rappresentative – il Parlamento, il Governo e le Autonomie Locali - non risponde soltanto ad un imperativo morale, ma soprattutto alla necessità di tutelare l’Indipendenza di chi l’ha già conseguita; come anche alla opportunità di stabilire un precedente su cui si fondano le aspirazioni di chi non l’ha ancora conquistata.
Non è un caso che oggi combattano a fianco degli Ucraini tanti uomini e donne originari delle cosiddette “Patrie Negate”.
Seguendo l’insegnamento di Mazzini, molti nostri connazionali compirono questa stessa scelta nel corso dell’Ottocento, e poi accorrendo in difesa della Repubblica Spagnola.
In quelle circostanze, si vennero formando le nuove classi dirigenti dell’Europa: nei crocevia della Storia si intrecciano i destini e si elaborano le idee.
Oggi, in Ucraina, sta maturando il nostro futuro.