Il Patriarca di Mosca ha rotto con il Papa, reo di averlo definito il “chierichetto” di Putin.
Il Patriarca di Mosca ha rotto con il Papa, reo di averlo definito il “chierichetto” di Putin.
L’uso di questa espressione costituisce l’ultimo tentativo esperito da Bergoglio per barcamenarsi: se veramente avesse voluto offendere il suo illustre Confratello, avrebbe detto “sacrestano”; se invece fosse stato più diplomatico, lo avrebbe definito “cappellano”.
Poiché però la sostanza non cambia, il Vescovo di Roma sarebbe incorso comunque nella scomunica, che fa seguito a quella fulminata contro il suo predecessore dell’epoca da Michele Cerulario, Patriarca di Costantinopoli, nel 1054.
Allora come oggi, l’oggetto del contendere era costituito dalla supremazia su tutta la Chiesa.
Il Papa di Roma voleva andare a Mosca, ma il suo collega si è addirittura negato al telefono: il che costituisce una offesa sostanzialmente più grave dell’epiteto con cui è stato definito.
Supponiamo, tuttavia, che l’incontro avesse avuto luogo.
Alla domanda “Che cosa posso fare per te?”, Cirillo avrebbe risposto: “Togliti di mezzo, perché devo prendere il tuo posto”.
L’obiettivo perseguito dal Patriarca - e dal nuovo Imperatore – consiste infatti nell’unificare l’ecumene cristiano sotto l’egida della “Terza Roma”.
In quest’ottica, la Prima e la Seconda devono cessare di esercitare qualsiasi potere.
Il paragone è azzardato, ma è come se nel 1915 l’Austria, per reagire all’intervento dell’Italia, avesse dichiarato guerra alla Santa Sede.
La quale non ha nulla a che vedere con l’altra sponda del Tevere, ma fa tuttavia parte dell’Occidente.
Ricordiamo un precedente: quando Ratzinger liberalizzò la Messa in latino, Cirillo gli mandò le sue congratulazioni.
Questa mossa rivela che il Patriarcato di Mosca punta sulla solidarietà dei tradizionalisti.
Un altro aspetto che il Cirillo non condivide, è la comprensione manifestata dal Papa nei riguardi degli omosessuali.
Se i Russi entrano a Kiev, proibiscono il “Gay Pride”.
Verso la poligamia, pare che vi sia maggiore tolleranza: Kadirov l’ha reintrodotta in Cecenia (con tanti saluti al principio di eguaglianza), e l’ha subito messa in pratica, prendendo due mogli.
Il capo della “lobby” filorussa in Vaticano è anch’egli poligamo.
Quando i Cosacchi abbevereranno i loro cavalli nelle fontane di Piazza San Pietro, costui potrà regolarizzare la sua condizione.

Se qualcuno nutriva ancora dei dubbi su quanto ci aspetta, l’intervista rilasciata a Rosalba Castelletti de “La Stampa” di Torino da tale Pjotr Tolstoj, pronipote del grande scrittore, dovrebbe averli dissipati definitivamente.
Secondo l’autorevole esponente del regime di Putin, l’attuale azione militare finirà solo “quando l’Ucraina non rappresenterà più una minaccia militare per la Federazione Russa e non ci sarà più la possibilità di trasformarla in una anti – Russia come l’Occidente ha tentato di fare negli ultimi trenta anni”.
Ci permettiamo di tradurre.
L’obiettivo di Putin consiste in un cambio di regime che trasformi questo Paese in uno Stato fantoccio della Russia.
Ciò non comporta tanto la sua smilitarizzazione – l’Ucraina non è assolutamente in grado di minacciare il suo potente vicino – quanto piuttosto la fine del tentativo di costituire una democrazia liberale.
Si teme dunque un contagio, e non una aggressione.
Tolstoj ha almeno il pregio di esprimersi con chiarezza.
Sull’asserito carattere nazista assunto dallo Stato ucraino, l’intervistato afferma che non si tratta propriamente di un ritorno alle concezioni politiche di Hitler, bensì piuttosto di “una ideologia (…) basata sull’odio nei confronti della Russia”.
Infatti, “la comunità internazionale (?) ha dato un’unica missione all’Ucraina indipendente: essere un contrappeso alla Russia”.
Traduciamo di nuovo: risulta intollerabile, dal punto di vista di Mosca, la convivenza di due Stati russi ispirati da ideologie contrapposte, e dunque l’uno o l’altro deve essere eliminato.
Il discorso ricorda quello di Lincoln sulla “casa divisa”: in quel caso, non potevano condividere nella stessa Nazione due società diverse, ciascuna governata secondo le sue regole.
Ecco dunque enunziato espressamente l’obiettivo strategico: “Ci fermeremo al confine con la Polonia”.
Non importa, infatti, quanto sia estesa l’Ucraina indipendente.
Anche se il suo territorio fosse molto ridoto, rimarrebbe la fonte dell’infezione.
Si può forse chiedere ad un chirurgo di estirpare solo una parte di un tumore?
I cinici, che riescono comunque ancora a graduare e ridurre le sanzioni alla Russia, rendendole inefficaci (“Dum Romae consulitur, Saguntum expugnatur”), diranno che non c’è granché di male: se la guerra è una questione interna, la Russia prenda pure tutta l’Ucraina, purché ci lasci in pace.
In realtà, la rivoluzione geo strategica perseguita da Putin riguarda anche noi: sia in quanto italiani, sia in quanto cattolici (o meglio in quanto cristiani, dato che Cirillo intende unificare sotto la “Terza Roma” tutte le Chiese.
“Questa crisi – dice infatti Tolstoj – provocherà la fine del dominio dell’ideologia occidentale”.
Il rapporto di forze favorisce la Russia, con la quale “stanno due terzi della popolazione del pianeta”.
Se l’intervistato si riferisce al Terzo Mondo, sono in realtà i cinque sesti.
Le sorti del conflitto dipendono comunque dalla tenuta del fronte interno, ed “il consumismo – dice Tolstoj – non è il tratto principale dell’uomo russo. Quando è in gioco la sopravvivenza del paese (…) per l’uomo russo l’aumento dei prezzi di qualche rublo non è una tragedia”.
Queste espressioni, più che dal suo antenato, sembrano tratte da Dostoevskij: il quale vedeva nel contadino russo l’esempio della povertà evangelica, o addirittura un “Alter Christus”.
Vedremo dunque chi resisterà di più.
Era inevitabile una domanda su Leone Tolstoj.
Il quale detestava la guerra, come tutti coloro – tra cui ci annoveriamo purtroppo anche noi – che l’hanno fatta.
La guerra piace soltanto a chi non l’ha fatta, come il baldanzoso Pjotr Tolstoj.
Il quale considera il ruolo di combattente del suo antenato più importante delle idee che il grande scrittore aveva elaborato in base all’esperienza maturata sul fronte.
Conta soltanto il fatto che Leone Tolstoj “ammazzava inglesi e francesi in Crimea”
I piemontesi non vengono citati: segno che il suo discendente non ci considera importanti.
In verit
à, l’Autore di “Guerra e Pace” aveva anche ammazzato ceceni in Cecenia.
Se “I Cosacchi” sono la sua ultima opera giovanile, “Sebastopoli” è la prima opera della maturità.
Le alleanze, però, sono sempre variabili: meglio non ricordare certi precedenti a Kadyrov.

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Mario Castellano  14/5/2022
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