La guerra in Ucraina, anche a prescindere da tutta l’aneddotica sullo scarso spirito combattivo dimostrato dalle truppe russe, ...
La guerra in Ucraina, anche a prescindere da tutta l’aneddotica sullo scarso spirito combattivo dimostrato dalle truppe russe, sulla corruzione diffusa nei ranghi delle Forze Armate di Mosca,  sulla arretratezza di un apparato logistico sbaragliato ed in qualche caso addirittura ridicolizzato da un nemico maggiormente motivato e preparato, rivela una realtà ancora più preoccupante dal punto di vista del Cremlino: l’attuale conflitto non viene percepito dal popolo come una causa nazionale decisiva, e dunque unificante.
Inutilmente, la propaganda ufficiale fa richiamo a quanto avvenuto all’epoca dell’invasione nazista - per non parlare di quella napoleonica - quando i Russi seppero distinguere tra un regime in cui molti non si riconoscevano e la Patria, cui viceversa tutti si dimostrarono fedeli.
In quel tempo, i nazisti cercarono invano dei collaborazionisti, senza trovarli nemmeno tra le fila dei monarchici rifugiati in Occidente.
Il Principe Yussupov, uccisore di Rasputin, che risiedeva a Nizza, rifiutò di mettersi a capo di un governo fantoccio, ed alcuni emigrati presero parte addirittura alla Resistenza.
Oggi, invece, sono già centinaia di migliaia gli intellettuali occidentalizzati delle “Due Capitali” – come le chiamano in Russia – che scelgono l’esilio, non riconoscendosi né nelle scelte di Putin, né nell’ideologia cui egli fonda il proprio potere.
Sulla quale influisce il richiamo identitario, nella prospettiva di restaurare sotto l’egida della “Terza Roma” l’unità del mondo cristiano, ricostituendo il principio di legittimità.
Il fattore identitario ha giocato però maggiormente in favore dell’Ucraina, che ha riscoperto la sua essenza nazionale.
Questo fattore ha giocato anche in favore di quei Paesi dell’Est di cui l’Unione Europea aveva criticato e sanzionato la politica interna, ritenuta non conforme con i principi della democrazia liberale.
I vari Polacchi e Magiari non mancheranno di far pagare a Bruxelles, con giusta ragione, la loro funzione di retrovia del fronte di guerra.
È mancata inoltre, nella strategia complessiva della Russia, una insorgenza nella stessa Europa Occidentale, che Mosca aveva a suo tempo incoraggiato – e sostenuto concretamente – contro le restrizioni causate dall’epidemia.
Per non parlare di quando la Russia appoggiava il separatismo catalano.
La politica estera di Putin ha rivelato la stessa inettitudine, e la stessa incapacità strategica, che ha caratterizzato la sua azione militare.
Quale lezione si può trarre da tutto questo?
Se l’attuale conflitto si può leggere come un momento del confronto tra il Nord ed il Sud del mondo, si conferma ancora una volta che i Paesi “poveri” sono imbattibili quando combattono sul proprio territorio una guerra asimmetrica.
Essi non sono viceversa in grado di reggere un confronto sul piano convenzionale.
I precedenti della prima di queste due diverse situazioni sono rappresentati dall’Algeria, dal Vietnam e dall’Afghanistan; quelli della seconda dalla Corea, dalla guerra tra gli Arabi e gli Israeliani e dall’Iraq.
Le ragioni del contenzioso rimangono però intatte.
È vero che l’Ucraina ha affermato vittoriosamente il proprio diritto all’autodeterminazione, e di questo tutti devono rallegrarsi.
È altrettanto vero che i nostri filorussi hanno dimostrato di essere un piccolo gruppo squalificato di pennivendoli e di politicanti falliti, non rappresentativo di alcun settore rilevante della società italiana.
La quale ha ormai metabolizzato la nostra collocazione nell’Occidente.
I collaborazionisti vengono d’altronde sempre reclutati tra chi non riesce ad emergere nel confronto delle idee e nella competizione professionale, e cerca una compensazione appoggiandosi allo straniero.
Rimane tuttavia intatto quanto la Russia avrebbe potuto esprimere se non lo avesse riferito ad una causa sbagliata, consistente nel negare il diritto all’autodeterminazione di un altro Paese.
Da una parte, permane la necessità di ricostituire un ordine internazionale più giusto, e dall’altra quella di conferire una ispirazione al potere politico, senza tuttavia cadere nella restaurazione di uno Stato confessionale.
Rimane, soprattutto, l’aspirazione dei popoli alla liberazione.
Da questo punto divista, sostenere l’Ucraina si è rivelata la scelta giusta e doverosa, in quanto si è stabilito un altro precedente positivo, impedendo di realizzarne uno regressivo e negativo.
In Europa Occidentale, le minoranze godono di tutele giuridiche e politiche tali da escludere ogni comparazione con la condizione sofferta in passato dall’Ucraina, ma rimane la loro tendenza alla piena indipendenza.
In questo senso, possiamo affermare che siamo tutti Ucraini: la fedeltà alla propria identità cerca – e finisce sempre per trovare - una piena realizzazione.

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Mario Castellano  20/5/2022
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