Il discorso tenuto ieri da Putin segna il secondo vero inizio della guerra, scoppiata sul terreno fin dal 24 febbraio.
Il discorso tenuto ieri da Putin segna il secondo vero inizio della guerra, scoppiata sul terreno fin dal 24 febbraio.
Il Presidente della Russia dichiara che le sanzioni non scalfiscono il suo Paese, ma danneggiano soprattutto l’Europa; che il Vecchio Continente ha perduto la sua indipendenza, in quanto agisce per conto - e nell’interesse - degli Stati Uniti; e soprattutto che quanto veramente in gioco è l’ordine mondiale basato sulla supremazia dell’Occidente.
Si tratta di tre affermazioni di importanza capitale.
In primo luogo, Putin dice ai suoi connazionali che sono impegnati un una lotta mortale, esattamente come era avvenuto quando si trattava di respingere Napoleone ed Hitler: se la Russia dovesse perdere, cesserebbe di esistere; se viceversa la Russia dovesse vincere, questa volta imporrebbe all’Occidente il proprio modello di società e la propria concezione dello Stato.
Perfino l’Imperatore Alessandro I rimproverò l’eroe nazionale, il Maresciallo Kutuzov, per non avere inseguito Napoleone al di là del confine del Nemen.
Il Generale gli rispose che le sue truppe erano stremate, e bisognava farle riposare.
In realtà, Kutuzov riteneva che una invasione dell’Europa avrebbe contaminato idealmente la Russia: la quale doveva invece rimanere al riparo dell’influenza dell’illuminismo per mantenersi integra, e pronta a svolgere nel futuro la propria missione storica e spirituale.
Stalin fece una scelta diversa: certamente, non poteva spingere le sue truppe al di là della sfera di influenza stabilita a Yalta, ma il dominio sull’Europa Orientale era considerato dal dittatore georgiano soprattutto come una estensione dei propri confini militari, per mettersi al riparo da un’altra aggressione.
Quando questo limite è arretrato dall’Elba al Don, è partito inevitabilmente il contrattacco.
Che ora si è sostanzialmente impantanato in una guerra di posizione: dalla sorte di località come Severodonetsk e Krematorsk non dipende il destino dell’Occidente, e neanche quello della stessa Ucraina, che rimarrà in gran parte indipendente.
La vera guerra si combatte in tutto il mondo con il gas, con il petrolio, con il grano e con tutte le materie prime.
L’Europa può resistere soltanto se viene rifornita dagli Stati Uniti.
Ci domandiamo dunque se Washington avrà abbastanza gas liquefatto e abbastanza cereali per tutti, o se non dovrà rassegnarsi – analogamente a quanto succede per Kiev – a cedere dei territori, acconsentando ad una rettifica dei confini.
Come la Russia avanza in Ucraina nelle zone dove predomina la sua lingua e la sua cultura, così avanzerà in Europa Occidentale laddove si aderisce alla sua “weltatunshung” politica e spirituale.
Certamente, la fine della supremazia mondiale farà bene all’Occidente, come gli ha fatto bene la fine del colonialismo.
Lenin diceva: “Un popolo che opprime un altro popolo non può essere libero”.
Il fatto di non dominare più gli altri Continenti ha liberato l’Occidente da un peso: quel peso morale, quella colpa che le sue menti più sensibili ed illuminate – pensiamo a Franz Fanon e ad André Malraux - avevano denunziato.
È giusto nutrire per il nostro passato un senso di colpa, ed infatti nessuno lo rimpiange, né ha intenzione di restaurarlo.
Ciò detto, i principi della democrazia liberale e della laicità dello Stato – entrambi, non a caso, messi espressamente in discussione da Putin nel nome dell’autocrazia e del cesaropapismo – rimangono validi.
La nostra colpa è consistita nel non averli estesi ai sudditi extraeuropei.
Le democrazie dell’Europa si sono comportate come l’antica Atene, che praticava la democrazia per i propri cittadini - cioè per una minoranza - ma non per i “meteci”, e tanto meno per gli “iloti”.
Oggi, non ci sono tra noi né gli uni, né gli altri, ed anche i residenti musulmani godono giustamente della parità di diritti individuali e collettivi.
Dobbiamo dunque essere consapevoli di che cosa difendiamo, e sapere che questo richiede dei sacrifici.
I nostri mezzi di comunicazione, che drammatizzavano oltre misura l’epidemia, ora stranamente negano la gravità della mancanza di gas.
Che comporta – più ancora della stessa siccità – la mancanza di tutto.
Di tutto, meno che della nostra identità, che viceversa dobbiamo difendere: non in base ad un criterio razzista, che induce a disprezzare quella degli altri, bensì in quanto è l’unica che abbiamo.
La nostra salvezza dipende dal trovare qualcuno che sappia dire, come Churchill: “Vi prometto lacrime, sangue e sudore”.
Draghi promette soltanto la proroga del “superbonus” edilizio, oltretutto rischiando di non poter garantire neanche quello.
Non abbiamo – se si eccettua Bergoglio (che non a caso è stato scelto fuori dall’Europa Occidentale) - una classe dirigente all’altezza della situazione.
L’intero Occidente affronta la tempesta come “nave sanza nocchiero in gran tempesta”.

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Mario Castellano  21/6/2022
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