C’è una immagine che riassume il significato della visita compiuta dai “leaders” europei in Ucraina:
C’è una immagine che riassume il significato della visita compiuta dai “leaders” europei in Ucraina: i tre sono ritratti mentre rendono omaggio ai caduti sul luogo di una delle stragi, attorniati da Carabinieri italiani, da Gendarmi francesi e da agenti della Polizia tedesca, tutti quanti nelle rispettive uniformi.
Non appaiono invece i componenti l’Esercito e la Polizia dell’Ucraina, malgrado la prassi esiga che in occasione delle visite all’estero dei Capi di Stato e di Governo la loro sicurezza venga garantita dai responsabili locali, sia pure coadiuvati da quelli dei Paesi di provenienza degli ospiti.
Se dei dirigenti occidentali si fossero recati a Saigon, a Bagdad o a Kabul nel corso dei conflitti che si svolgevano da quelle parti, si sarebbe determinata la stesa situazione che abbiamo constatato a Kiev.
La spiegazione sta nel fatto che non si riponeva nessuna fiducia negli alleati locali.
Le Autorità di Kiev fanno dunque trasparire una sensazione di precarietà e di insicurezza, come sempre avviene quando si è al cospetto di un potere artificioso ed instabile.
Quanto agli Occidentali, se da una parte si rendono perfettamente conto – come dimostra il fatto di provvedere in proprio alla loro sicurezza – di tale situazione, dall’altra rimettono nelle mani di Zelensky tutte le decisioni riguardanti la guerra e le condizioni per porvi fine.
Un amico bene informato sulla politica internazionale, che abbiamo ascoltato ieri, ci diceva che la Russia combatte in Ucraina una sorta di guerra per procura per conto della Cina.
L’ipotesi risulta inedita e affascinante, e riporta con la memoria alla Corea, dove però i ruoli erano invertiti: in quel caso, infatti, era l’Unione Sovietica a spingere verso il conflitto i propri alleati.
Sempre secondo il nostro amico, Pechino potrebbe imporre una soluzione provvisoria – di tipo per l’appunto “coreano” - all’attuale confronto militare, imponendo a Putin di accontentarsi di quanto fino ad ora è riuscito ad occupare.
Altrimenti, non si vede una fine possibile delle ostilità, e la guerra è destinata a protrarsi a tempo indeterminato.
Se Zelensky non subisce a sua volta nessuna pressione da parte degli Occidentali affinché rinunzi ai territori occupati, rassegnandosi a considerarli definitivamente perduti, il Presidente deciderà infatti di prolungarla fino alla loro riconquista.
Si tratta però di un obiettivo palesemente irraggiungibile, che copre in realtà il disegno occidentale di fare esplodere la Russia, imponendole una guerra di logoramento.
Anche questo intento risulta però irrealizzabile, in quanto la Russia – diversamente da ciò che avvenne per la Germania durante la Prima Guerra Mondiale – dispone di risorse alimentari ed energetiche illimitate.
Più problematica è invece la tenuta del fronte interno occidentale, dove già si intravedono le conseguenze sociali devastanti della scarsità e dell’innalzamento del prezzo tanto dell’energia quanto delle materie prime.
Draghi dimostra di essere il più bellicoso dei visitatori di Kiev: la sua proposta a di un ingresso rapido dell’Ucraina nell’Unione Europea comporterebbe – quando venisse realizzata – l’estensione sostanziale a questo Paese delle garanzie derivanti dall’appartenenza all’Alleanza Atlantica.
Non si dimentichi che l’Unione ha ampliato la propria competenza alla difesa comune, e che gli accordi stabiliti con la NATO la qualificano come il suo “pilastro europeo”.
L’Ucraina in Europa aumenterebbe dunque il pericolo di un allargamento del conflitto.
Anche in questo caso, come ogni guerra, si possono scegliere i nemici, ma non si possono scegliere gli alleati.
Ai quali bisogna perdonare tutto – o quasi – pur di garantirsi la loro collaborazione.
Biden andrà in Arabia Saudita per chiedere al Principe Ereditario più petrolio per l’Occidente, ma il suo astuto interlocutore esigerà in cambio che non si parli più dell’uccisione di Kassogi.
Il gas israeliano – se e quando arriverà in Italia – passerà per l’Egitto.
Tutti quanti possono constatare che è bastato affacciare questa ipotesi perché si smettesse di parlare di Regeni.
Anche il “Sultano”, in cambio della sua mediazione sul grano dell’Ucraina, chiede mano libera contro i Curdi.
Draghi ha dovuto incassare la vittoria della Mafia nelle elezioni comunali di Palermo: alla “Onorata Società” è bastato indossare la casacca di un settore della maggioranza.
La coabitazione a Roma con personaggi come Dell’Utri - che in quanto berlusconiano ne fa parte integrante - non pare infastidire d’altronde neanche Letta: il quale comunque annovera autorevoli seguaci del “Cavaliere” tra i suoi più stretti familiari.
Il nostro amico ci dice che si sta ripetendo la “guerra fredda”, e che questa volta al partito del liberalismo assoluto si contrappone quello delle economie dirigiste, in cui la libertà di impresa è soltanto parziale.
Se si entra in una economia di guerra, queste società possono praticarla senza entrare in contraddizione con i loro principi, mentre le nostre sono costrette a smentire i propri presupposti ideologici.
Quando inizia un conflitto, ciò succede inevitabilmente: nella liberale Inghilterra, la censura sui mezzi di comunicazione rimase in vigore dal 1939 al 1945.
Nessuno, però, dubitava che in seguito la piena libertà di espressione sarebbe stata ripristinata, in quanto faceva parte dell’identità collettiva.
Da noi, ogni retrocessione in questo campo rischia invece di rimanere.
“Der Spiegel” ha pubblicato in copertina una panoramica di Palermo con la scritta “La Mafia vive”.
Sicuramente, Scholz ne ha preso visione, ma si può escludere che ne abbia parlato con Draghi durante il loro viaggio in treno.
Non già per ipocrisia, o semplicemente per educazione, bensì perché in guerra non si può andare per il sottile.
“Supermario”, naturalmente, non è un mafioso, né un colluso con la mafia, ma deve a sua volta collaborare con alcuni dei Partiti che l’hanno riportata a governare il Comune di Palermo.
Se l’attuale conflitto può essere letto come un episodio della guerra tra il Nord e il Sud del mondo, possiamo affermare che il Sud vince perché oppone al nemico il classico “muro di gomma”.
Mentre il fronte del Donbass resiste, in Italia avanza – lenta ma inesorabile – quella che Leonardo Sciascia chiamava la “Linea delle Palme”.