Tre notizie di altrettanti eventi si sono sovrapposte nelle ultime ore...
Tre notizie di altrettanti eventi si sono sovrapposte nelle ultime ore, risultando utili per chiarire la situazione dell’Italia.
La prima è che il nipote di Mattarella è stato chiamato a sostituire l’ultimo uomo di Conte tra i “grands commis” di nomina governativa.
Il Presidente della Repubblica si era comportato, nell’imminenza della sua rielezione, come un Cincinnato, pronto - dopo avere servito la Patria – a tornare al lavoro nei campi.
Quando però l’incapacità dei Partiti di trovare un sostituto decente lo ha costretto a rimanere in servizio, ha posto le sue condizioni.
Una delle quali consisteva nell’ottenere un mandato pieno, e non soltanto limitato nel tempo come era avvenuto con Napolitano.
L’altra condizione era l’inserimento della sua cerchia familiare nel giro delle nomine di Stato.
Il quale conferma il suo carattere non tanto centralista quanto – per così dire – centripeto: chi viene cooptato nel suo potere allenta progressivamente i legami con la provincia, e diventa romano.
Mattarella incursionava periodicamente in Sicilia per ricordare – peraltro giustamente – che la sua famiglia aveva pagato il prezzo più alto nella lotta contro la mafia, e che che questo impegno doveva dunque continuare.
Purtroppo per lui, per i Siciliani e per noi tutti, i Palermitani hanno dimostrato di essere di diverso avviso.
Le comitive ufficiali provenienti da Roma beneficiano gli artigiani fabbricanti di corone di alloro ed i gestori dell’Hotel delle Palme, ma per le necessità quotidiane ci si deve rivolgere proprio a quanti vengono esecrati nei discorsi di circostanza.
Un altro illustre siciliano, Marcello Dell’Utri, ha dimostrato che il suo legame con la terra di origine è più forte e reale rispetto a quello di Mattarella: quanto meno nel senso che è ancora in grado di prevedere i risultati del voto amministrativo.
Noi avevamo ben due zii famosi, l’uno piazzato nella Gerarchia della Chiesa Cattolica, l’altro nella gerarchia comunista (vale a dire statale).
Entrambi avevano perduto completamente la percezione di quanto avveniva – e soprattutto di quanto maturava – qui da noi in provincia.
L’uno, in occasione delle sue periodiche visite, era circondato da quelli che in Liguria si chiamano i “beghinassi”; l’altro dai funzionari della Federazione, che lo scortavano perfino quando passeggiava lungo i portici di via Bonfante.
La loro visione della realtà locale era modellata dalla lente deformante fornita dagli adulatori, mentre la situazione scivolava verso quanto si può constatare oggi leggendo le cronache giudiziarie.
Di questo, però, giungeva fino a Roma soltanto un’eco attutita.
La seconda notizia è che Draghi – come giustamente annota Stefano Folli su “La Repubblica” – non è ritornato precipitosamente a Roma per motivi urgenti di politica interna, bensì proprio perché l’azione che all’estero ci si attende da lui consiste nel tamponare la situazione, protraendo il più a lungo possibile quanto rimane dei rapporti con il Nord Ovest del mondo.
I mezzi a disposizioni risultano però sempre più scarsi: basti pensare che la prima voce di spesa non è ormai neanche l’Ucraina, dove l’offensiva russa si può considerare praticamente esaurita con qualche rettifica di confine, ma è divenuta quella riguardante il Pacifico.
La terza notizia è che Conte ha incassato un’altra mancia per non causare la crisi di governo.
Mattarella gli ha evidentemente allungato qualcosa con il classico “Buon uomo, andate a bervi un bicchiere”, con cui venivano liquidati un tempo i postulanti.
Ai nostri tempi, c’era un Sindaco di Sanremo che aveva avuto la malaugurata idea di ricevere, un giorno alla settimana, chiunque gli volesse parlare.
L’atrio del Municipio si riempiva puntualmente di ubriaconi, cui il Primo Cittadino consegnava di persona cinquemila lire a testa.
Il fatto che una simile prassi si sia instaurata –“mutatis mutandis” – anche al Quirinale, la dice lunga sullo stato delle Istituzioni.
La realtà è che i “Pentastellati”, come gli ex adoratori del Dio Po ed ex separatisti della Lega, possono soltanto rimanere abbarbicati alle loro poltrone fin quando possibile.
Se ritornassero tra le plebi tumultuanti delle periferie, verrebbero cannibalizzati.
L’unico che può ancora girare per le borgate senza temere per la propria incolumità è Bergoglio, che non lo fa da demagogo, ma da uomo che sa stare con la gente perché la capisce e ne viene capito.
Mentre il potere si stringe – e si restringe – la realtà sociale sfugge non soltanto al suo controllo, ma anche alla sua comprensione.
Per capirla, bisogna affidarsi non già agli eventi – cui si dedicano i giornalisti de “La Repubblica”, ormai divenuta la Gazzetta Ufficiale del “generone” romano - bensì ai fatti.
Che nemmeno sono citati, oppure vengono travisati.
A Roma, si moltiplicano gli incendi, originati puntualmente dalla “autocombustione”.
La quale causa in realtà – a detta degli esperti – non più dell’uno per cento di tali fenomeni, ed ancora meno quando scoppiano nell’abitato.
La protesta violenta non può affidarsi alle manifestazioni di piazza, che verrebbero facilmente fatte fallire, o comunque demonizzate come una forma di collaborazione col nemico.
Perfino quanti hanno spiegato le motivazioni di Putin – senza peraltro assolutamente dargli ragione – sono stati esposti al pubblico ludibrio quali “traditori”.
Miglior sorte è invece toccata a quei commercialisti che continuano a tutelare gli interessi degli oligarchi.
Il che, beninteso, rientra nei loro doveri professionali, mentre però non ne fa parte l’azione di “lobbyng” politica per la Russia (o per la Serbia).
Ecco dunque spiegato perché il cosiddetto “underground” agisce in modo anonimo con azioni di “commandos”, che rivelano organizzazione, decisione e controllo del territorio, come dimostrano i Resistenti ucraini nelle zone controllate dalla Russia.
Il controllo del territorio è proprio quanto sta mancando allo Stato.

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Mario Castellano  2/7/2022
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